[Il retroscena] Decreto dignità, siamo alla quarta versione. Conferma le preoccupazioni leghiste: si faranno meno contratti
Le proteste di Lega e imprenditori convincono Luigi Di Maio a riscrivere il testo del decreto, che giunge alla quarta versione: via interi capitoli, entra un fondo a favore delle società sportive finanziato coi tagli alle stesse società sportive. Ma la sorpresa è nella relazione illustrativa, nella quale i giuristi ammettono che diminuirà - anzichè aumentare - il numero dei contratti. In compenso aumenta il costo del lavoro. “Potremmo modificarla in Parlamento”, ammette il vicepremier. Che lavora già alla quinta versione
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Quella arrivata ieri sera agli Uffici legislativi di Palazzo Chigi- gli stessi che coordinano le attività dei ministeri ed esaminano i provvedimenti più delicati - è la quarta bozza. Sulle cartelline c’era scritto proprio così: “quarta”. Perché il “Decreto dignità”, annunciato da Luigi Di Maio ma contestato dalla Lega e dal mondo imprenditoriale, è un po’ come la tela di Penelope: di giorno sembra prendere forma e di notte c’è qualche mano che inserisce delle modifiche, cancella qualche passaggio e tenta di riscriverlo. Così, chi chiede di vedere le carte, si trova di fronte a una sorta di gioco delle tre tavolette in cui non si capisce mai dove sia la versione definitiva.
Ad accorgersi che, per esempio, era scomparso “tutto il capitolo” sulla “somministrazione del lavoro”, è stato il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Barra. “Abbiamo cercato di far capire che era sbagliato l’intervento sullo staff leasing e mi pare che dall’ultima bozza tutto questo non venga più richiamato”, diceva infatti ieri. Aveva ragione: già nella versione precedente erano scomparse le norme sui “rider” che erano state sbandierate come il primo provvedimento del neo ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico e si è ridotto sensibilmente il cosiddetto “split payment”, che interesserà solo la platea dei professionisti e non tutti come era stato annunciato. E lo spesometro? Rinviato.
La quarta - e ultima? - bozza contiene invece gli strumenti che secondo il vicepremier e leader dei Cinquestelle dovrebbero rendere meno precario il lavoro: rinnovare un contratto a tempo determinato costerà di più rispetto a quanto accade oggi e non lo si potrà più fare a tempo illimitato. Questo almeno è quanto si legge nella relazione illustrativa che accompagna la bozza: “Si applicherà un costo contributivo crescente di 0,5 punti per ogni rinnovo a partire dal secondo. In questo modo sarà possibile disincentivare l’utilizzo del contratto a termine, il quale deve rappresentare una tipologia utile esclusivamente ad esigenze limitate e particolari”. Secondo Lega e imprenditori (ieri lo ha detto chiaramente al Corriere un leghista-imprenditore come il veneto Claudio Da Re), questo aumento delle tasse e l’irrigidimento dell’impalcatura contrattuale rischierebbero però di disincentivare le assunzioni e addirittura di favorire il lavoro nero.
I ministri pentastellati difendono l’impianto della loro legge, ma il bello è che ad ammettere che le nuove norme diminuiranno il numero dei contratti di lavoro - anziché aumentarlo - è proprio la stessa relazione al decreto, nella parte dedicata alle coperture finanziarie. Ecco la frase incriminata: “Si può, dunque, ritenere che l’eventuale minor gettito derivante dalla contrazione dei contratti a tempo determinato sia bilanciato, da un lato, dalle maggiori entrate derivanti dalla maggiore propensione al consumo dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e, dall’altro, dall’aumento del contributo addizionale in misura incrementale (aumento di 0,5% punti per ogni rinnovo del contratto), il quale comporterà un incremento dei costi certamente rilevante a carico del datore di lavoro”.
La formulazione è piuttosto involuta, ma quello che sembra chiaro è che gli stessi esperti che hanno preparato la legge - e, si suppone, il ministro che vi ha apposto la firma - sanno benissimo che le cose stanno esattamente come sostengono i critici del testo: si stipuleranno un numero inferiore di contratti di lavoro e gli oneri a carico delle imprese aumenteranno. Ha senso allora intervenire in questo modo? E’ quello che si chiedono i leghisti. in primis Matteo Salvini. Giocando di sponda con la richiesta di reinserire i voucher per i lavori nell’agricoltura avanzata dal suo ministro Gianmarco Centinaio, il capo della Lega la usa come un grimaldello per sfasciare il provvedimento, continuando a parlare di “un testo che può essere migliorato in Parlamento”.
I partner di governo però fanno muro. “Non consentiremo che il testo venga annacquato”, ripete continuamente il vicepremier. Ma nella spola tra i due rami del Parlamento difficilmente il governo giallo-verde potrà ignorare gli allarmi del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia secondo il quale, anziché stabilizzare i lavoratori, le nuove norme, rischierebbero di “aumentare il turn over”, così come le contestazioni delle associazioni degli artigiani, di Confesercenti e Confcommercio. Anche per questo, Di Maio lascia intuire che alla fine potrebbe esserci una quinta versione del decreto: “Il passo successivo è abbassare il costo del lavoro sui contratti stabili e possiamo farlo anche nel Decreto dignità durante il dibattito parlamentare”, ha detto ieri sera in tv.
In attesa del dibattito parlamentare, dalla bozza esaminata dai giuristi è emersa anche un’altra “sorpresa”. Per ragioni difficilmente comprensibili, il ministro ha deciso di inserire nel Decreto dignità anche la creazione di un fondo da destinare a interventi in favore delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro, in genere piccole o piccolissime. Per finanziarlo, però, non si è trovato di meglio che eliminare le agevolazioni fiscali previste fino ad oggi proprio per le stesse società sportive dilettantistiche. Il fondo è a finanziamento crescente, con una dotazione di 6,9 milioni di euro nel 2018, di 11,5 milioni di euro nel 2019, di 9,8 milioni di euro nel 2020, di 10,2 milioni di euro nel 2021 e così via, per un totale di oltre 54 milioni, fino al 2023. Ma la copertura è stata trovata con la soppressione di tre articoli della legge di Bilancio 2018, che cancellano proprio le agevolazioni fiscali previste a loro favore: il taglio del 50% sull’Ires, la riduzione dell’aliquota Iva al 10% e uno sconto sui costi Inps per i dipendenti di queste stesse società. Così, adesso, contro il Decreto dignità protestano pure le associazioni sportive.