[L’analisi] Solo una donna resiste allo tsunami Lega-Cinque Stelle. Il dato clamoroso di Pisa, Siena e Imola
Se Bologna e Firenze erano le roccaforti storiche della sinistra, Siena era la sua capitale finanziaria, e anche il modello di una città che era felice. I sindaci sconfitti del pd che sfilano davanti ai microfoni ripetono tutti la stessa cosa, come se non ci fosse niente adesso contro questo vento inarrestabile del populismo. Come se il loro partito, rinchiusosi nella ridotta a difesa del sistema, non ne fosse minimamente responsabile. Eppure, è così semplice, perché ha ragione la Mancinelli, basterebbe tornare a far politica

Adesso magari il volto tranquillo da profia neanche troppo severa di Valeria Mancinelli diventerà l’immagine della Resistenza, primo sindaco del pd già confermato, nella neppure troppo rossa Ancona, dentro alla terra di Forlani, vecchia dc e vecchi tempi, quando non era ancora mezzanotte e le altre sfide ballavano. Ma in realtà l’ultima notte delle elezioni ha consegnato definitivamente alla cronaca della politica la fine di un’epoca e l’implosione di un partito, rottamato inesorabilmente dal suo rottamatore.
Da ieri sera la Toscana rossa non esiste più: la maggioranza dei suoi capoluoghi, Massa, Grosseto, Arezzo, Pistoia, Pisa e Siena, cioé tutti quelli che sono andati al voto da quando ci pensa Renzi, è passata nelle mani dei suoi avversari, tutti compresi, nessuno escluso, Movimento Cinque Stelle, Lega e perfino il Centrodestra nella sua versione moribonda di Forza Italia dei tempi che fu. Per dire, il centrodestra dove si è presentato nella sua versione d’antan, come a Imperia, è stato sconfitto addirittura da un suo fuoriuscito abbastanza chiacchierato come l’ex ministro Scajola della casa a sua insaputa.
Il dato più clamoroso, che vale come quello di Pisa, è rappresentato da Imola, roccaforte storica della sinistra, a due passi da Bologna, piccola città di neanche 70mila abitanti ritenuta importantissima dai vertici dei Cinque Stelle che hanno portato non a caso tutti i loro pezzi da novanta per sostenere Manuela Sangiorgi al comizio conclusivo sul prato della Fortezza: Danilo Toninelli, Riccardo Fraccaro, Luigi Di Maio e chissà perché addirittura Chiara Appendino. Forse non c’era nemmeno bisogno di tutta questa manifestazione muscolare.
Il Pd ormai perde da solo, una corsa velocissima verso l’uscita: di là c’è il buio, la fine. Aspettando gli incomprensibili commenti delle nullità che lo rappresentano (Martina l’ultima volta era stato capace di cantare vittoria, mentre Renzi sta sempre in poltrona a godersi lo spettacolo con i popcorn: beato lui che mangia e beve e capisce tutto), basta leggere le notizie. A Terni vince la Lega, strabattendo il candidato dei Cinque Stelle, con il pd che perde dappertutto, piccoli e grandi comuni, perde Cinisello Balsamo, perde Ivrea, la città dei Casaleggio, in favore del centrodestra, che forse in generale tra i vincitori di questa domenica è il più vincitore.
Alla fine, persino il volto di Valeria Mancinelli, l’ultimo incredibile sindaco che resiste nel giorno della disfatta, diventa in realtà, come le sue parole, l’epitaffio del pd renziano, quando risponde al cronista che le chiede di spiegare perché lei sia riuscita a vincere: «Perchè qui abbiamo fatto quello che dovevamo fare ovunque. Qui la politica non ha pensato a se stessa. Ma ha cercato di pensare alla città. Perché qui abbiamo fatto la politica utile, che tenta di trovare una risposta ai problemi di tutti. Abbiamo fatto quello che deve fare la politica».
Certo, adesso le parole, qualsiasi parola, se le porta via il vento. Restano i risultati e le immagini della vittoria, la festa di Pisa con il nuovo sindaco che esulta nella piazza riempita dalle bandiere della Lega di Salvini. La burbanza del Matteo ministro dell’Interno con vista padronale sul governo aveva fatto visita in Toscana, puntando molto, e forse anche di più, su Siena, dove si è precipitato persino due volte per suonare la carica: «Quelli del pd sono preoccupati perché sanno che perderanno poltrone. A loro interessa solo quello. In Toscana rischia di saltare un sistema di potere poco trasparente che la sinistra ha sempre gestito. Sanno che per loro è finita».
Un’altra pacchia allo sgombero. Siena era importante per molti motivi: innanzitutto, era la più difficile da prendere, visto che nella città del Palio la Lega non aveva sfondato come a Pisa, dove era passata dallo 0,35 per cento di cinque anni fa, al 25 del 10 giugno, polverizzando anche l’ottimo risultato ottenuto nelle politiche, con il 17. A Siena si partiva da un molto più deludente 9 per cento, senza considerare il misero 3,35 di Forza Italia. Poi è il comune del Monte dei Paschi, con un partito, il pd, che aveva sempre rappresentato tutto, il governo e l’opposizione, recitando insieme le due parti in commedia, il potere e il contropotere.
Se Bologna e Firenze erano le roccaforti storiche della sinistra, Siena era la sua capitale finanziaria, e anche il modello di una città che era felice. I sindaci sconfitti del pd che sfilano davanti ai microfoni ripetono tutti la stessa cosa, come se non ci fosse niente adesso contro questo vento inarrestabile del populismo. Come se il loro partito, rinchiusosi nella ridotta a difesa del sistema, non ne fosse minimamente responsabile. Eppure, è così semplice, perché ha ragione la Mancinelli, basterebbe tornare a far politica, pensare agli altri, non a se stessi e alle vendette da coltivare quando si perde, magari sedendosi in poltrona con i popcorn.