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Csm, elezioni con brivido e rinvio. Silurato l’uomo di punta di Fdi. Il fallimento delle riforma

Passano 9 membri laici su 10. Serve una nuova votazione il 24 gennaio. Valentino, lunga militanza nel Msi e An e candidato alla vicepresidenza, cambiato a votazione già iniziata. Non ce la fa il sostituto Giuffrè. Pd e M5s fanno muro anche contro Carbone (Terzo Polo) che passa comunque. Opposizioni spaccate

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
sala riunioni del Csm
La sala riunioni del Csm (Foto Ansa)

A sera restano due vittime nell’arena del Parlamento riunito in seduta comune per l’elezione dei dieci membri laici del Consiglio superiore della magistratura: la riforma del Csm che si è rivelata tutto il contrario rispetto alla sperata trasparenza e meritocrazia; la tenuta di Fratelli d’Italia costretta a perdere in corsa, a votazione già avviata, il suo uomo più prestigioso, Giuseppe Valentino, 77 anni, ex sottosegretario, in Parlamento dal 1996 al 2013, lunga militanza prima nel Msi e poi in An, Presidente della Fondazione Alleanza Nazionale. Un vero uomo-partito su cui era stato raggiunto l’accordo che fino alle 17 di ieri pomeriggio sembrava inattaccabile. Ma la notizia che Valentino è indagato in un procedimento connesso al maxiprocesso antimafia Gotha della procura di Reggio Calabria, veicolata e cavalcata dal Movimento 5 Stelle, ha fatto saltare il banco. Giorgia Meloni è stata costretta a cambiare nome in corsa e a sostituirlo con l’amico e professore universitario avvocato Felice Giuffrè. Su cui nessuno, tantomeno i 5 Stelle, hanno avuto da eccepire. Ma che dovrà aspettare una seconda votazione per entrare a palazzo dei Marescialli. Il suo nome è stato indicato a votazione iniziata e molti del destra-centro avevano già votato Valentino.

Fallita la riforma del Csm

La vera sconfitta è l’ acclamata riforma del Consiglio superiore della magistratura. Il difficile compromesso che l’ex ministra Cartabia aveva condotto in porto in nome della “lotta al dominio delle correnti nella magistratura” e alla “trasparenza dell’elezioni dei membri laici” è andato in frantumi alla prima prova. Raramente si ricorda un’elezione più carbonara e clandestina. Il risultato è una lista di nomi che nonostante lo specchietto per le allodole della “pubblicità di candidature e autocandidature sul sito della Camera” è stato alla fine stilato, deciso e concordato nelle segrete stanze dei partiti. Il foglietto con i dieci nomi dei candidati che i parlamentari ieri si passavano tra le mani (“dammi altre copie di questi benedetti foglietti” diceva ieri un ministro di Fdi in Transatlantico allo staff dell’ufficio stampa mentre stava scoppiando il caso Valentino) la dice lunga sulla consapevolezza con cui sono stati scelti i nomi dei prossimi componenti laici del Consiglio superiore della magistratura.
Tradito il criterio del merito poiché è di tutta evidenza che i nomi sono stati scelti in base a criteri di lottizzazione e spartizione di posti: quattro a Fratelli d’Italia (Isabella Bertolini, Daniela Bianchini, Rosanna Natoli); due alla Lega (Fabio Pinelli e Claudia Eccher, avvocato di Salvini); uno a Forza Italia (Enrico Aimi, ex parlamentare); uno al Pd (il professor Roberto Romboli), uno al Terzo Polo (l’ex parlamentare Ernesto Carbone indicato da Italia Viva) e uno ai 5 Stelle (Michele Papa, professore universitario, amico di Conte). E’ vero che ci sono stati numerosi auto candidati che hanno deciso di correre iscrivendosi sul sito dedicato della Camera. Ma i loro nomi non sono mai stati in gioco e è i dieci nomi sul biglietto sono stati indicati dai leader di destra e sinistra, decisi in base ai desiderata dei partiti e al loro peso specifico. Tradita anche la questione di genere, e tradita soprattutto nel centrosinistra: solo Fratelli d’Italia l’ha onorata eleggendo tre membri laici sui quattro disponibili. Durissimo Riccardo Magi, deputato di +Europa. “Nonostante l'innovazione delle candidature pubblicate sul sito della Camera che ha rappresentato un timido passo avanti, l’elezione dei membri laici del Csm è stata ancora una volta caratterizzata dagli accordi nelle segrete stanze e nei corridoi. Nessuna discussione, nessuna motivazione o assunzione di responsabilità pubblica sulle candidature e sui comportamenti di voto. Lo stesso incidente di percorso sulla candidatura di Valentino, scoppiato nel mezzo della prima chiama, è la dimostrazione più eclatante della mancanza di trasparenza e discussione pubblica. Per non parlare della pretesa parità di genere”. In Transatlantico i peones di destra e di sinistra fanno commenti ancora più taglienti. Sulla carta, diciamo così, non sono nomi che richiamano chissà quali titoli ed esperienze come invece dovrebbe essere per il governo della magistratura.

L’ “incidente” Valentino

E’ scoppiato quando la chiama era già iniziata. I 5 Stelle - Conte posizionato tra aula e Transatlantico a fare il direttore d’orchestra con i suoi - si sono accorti in ritardo che il nome di Valentino poteva creare problemi. “Fino a oggi all’ora di pranzo l’accordo era chiuso e blindato con tutti” sibila un deputato di Fdi. Ma voi non sapevate che era indagato? “Presumo di sì visto che fu anche interrogato in aula al processo ma sarà stato valutato di scarsa rilevanza”. In realtà, mandare al Csm uno che magari è innocente e però in quel momento ha il problema di risultare coinvolto in un’inchiesta per ‘drangheta, non sembra esattamente il profilo dei criteri a cui Giorgia Meloni dice di ispirarsi per la stagione delle nomine. E la velocità con cui è stato sostituito in corsa, suggerisce che Valentino sia stato più una scelta di partito che non di Giorgia Meloni. La quale, appena i 5 stelle hanno sollevato il problema chiedendo “spiegazioni” senza ottenerle ai capigruppo di Fdi, non ha esitato a fare il cambio in corsa. Con un nome - Felice Giuffrè, avvocato e professore universitario stimato da tutti - di alto profilo e su cui infatti nessuno ha avuto da eccepire. Giuffrè però è stato indicato quando i senatori avevano già votato e infatti si è fermato a 295 voti e non ha raggiunto il quorum richiesto di 3/5 (364 voti). Un esito abbastanza prevedibile e c’è da chiedersi perchè Fratelli d’Italia abbia deciso di andare comunque avanti nella votazione eleggendo 9 candidati su 10. Rinunciando cioè proprio al suo nome di punta. Non solo: rischiando che nella prossima votazione (convocata per il 24 gennaio) non si riesca di nuovo a raggiungere il quorum (sempre 364 per le prime due convocazioni) per qualche nuovo e diverso veto incrociato sopraggiunto nel frattempo. Anche il Pd non avrebbe comunque fatto avere i suoi voti a Valentino. Il ministro Lollobrigida e il presidente del Senato Ignazio La Russa ieri pomeriggio erano in evidente imbarazzo tra le difesa dell’amico Valentino e il diktat sul nuovo nome. In fondo bastava tenere sul nome e arrivare alla terza chiama quando basta la maggioranza dei presenti e non più i 3/5 dell’assemblea. Già si parla di “crepa” nel partito e non sarebbe neppure la prima. E’ un fatto che Meloni abbia deciso di cambiare nome e andare dritta su Giuffrè. Quasi che non aspettasse altro.

Il caso Carbone

La seduta è stata segnata anche dal caso Carbone, avvocato, ex parlamentare, escluso dal Parlamento con ricorso sul conteggio dei voti nella passata legislatura, fedelissimo renziano. Ancora una volta, ad accordo blindato, 5 Stelle e Pd hanno iniziato sollevare distinguo. Nessun procedimento penale stavolta. Solo una questione di “antipatia” - non si può definire in altro modo - e di pregiudizio sulla persona perchè, appunto, molto vicino a Renzi. Ancora una volta i distinguo sono iniziati a votazione iniziata con il chiaro intento di 5 Stelle e Pd di far saltare il candidato renziano. Il gioco non è riuscito: Carbone è risultato eletto con 399 voti, una trentina in più del necessario. Tabelle alla mano gli sono mancati i voti 5 Stelle, Pd e anche qualche altro voto sparso qua e là. Terzo Polo sempre più isolato dal resto del centrosinistra. Micidiale come sempre Matteo Renzi: “Non ho capito perchè ci debbano essere dubbi su Carbone. Non va bene perchè è amico mio? Vabbè, allora vi spiego che Enrico Letta ha indicato il suo amico professor Romboli di Pisa che guarda caso guidava i Comitati del No ai tempi del referendum. Conte ha indicato il suo amico professore universitario Michele Papa (eletto comunque con 506 voti, su di lui il patto ha retto con correttezza da parte anche di Fdi). Il Terzo Polo ha trovato l’accordo sull’avvocato Carbone. Dove sta il problema?”. Che è stato ed è per l’appunto un fedelissimo del senatore fiorentino.

Opposizioni divise e accanite

Quando c’è un voto segreto, vanno letti tutti i segnali. Che arrivano per l’appunto dai numeri. I quali raccontano molto. Fratelli d’Italia, ad esempio, ha perso qualche voto (pochi) anche della maggioranza. Il problema è, si dice nei capannelli di centrodestra, “la voracità”. Meloni cioè “s’è voluta prendere anche il Csm umiliando una vota di più, ad esempio, Forza Italia cui ha lasciato un solo candidato”. Il professor Aimi. Il ragionamento è più o meno questo: la premier già s’è presa la Giustizia (Nordio) ora anche il Csm (e vedremo però come andrà l’elezione del vicepresidente). Poteva, insomma, essere “un po’ più generosa”. Invece no. Il criterio è sempre lo stesso: il vincitore prende tutto, agli altri i resti e in quota parte. Ora, se è vero che Fratelli d’Italia ha dovuto subire una brusca frenata ma tutto sommato ha tenuto sui voti, le opposizioni sono risultate una volta di più spaccate come non mai. Nel Pd giravano ieri dubbi sul professor Romboli definito, nel modo più gentile, “un giustizialista” con qualche variabile lessicale sul “manettaro”. Il tentativo è di tentare il blitz al Csm e vincere, grazie al voto dei togati, la battaglia per la vicepresidenza. Romboli ha preso più voti di Papa (506). Vedremo. E chissà chi in queste ore a palazzo dei Marescialli ha preso il posto di Palamara nella conta dei candidati alla vicepresidenza. E’ uno “sporco” lavoro ma qualcuno dovrà pur farlo. E’ il Csm, anche dopo la tanto elogiata riforma.

 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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