Crosetto scippa la leadership a Meloni, il ministro fa politica. La premier ancora tentata dal comizio
La giornata ha messo a confronto i due fondatori di Fratelli d’Italia. Entrambi davano le Comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio Ue (Meloni) e del decreto Ucraina (Crosetto). Premier polemica ed evasiva su temi chiave come Mes e Pnrr. Il titolare della Difesa fa politica, sigla un patto Atlantico con le opposizioni e isola 5 Stelle e Sinistra

Crosetto batte Meloni 2 a uno. Il ministro della Difesa convince e piace, anche alle opposizioni che si dividono - e questo forse era il vero obiettivo del governo - sulle comunicazioni sul nuovo decreto Ucraina: Pd e Terzo Polo “insieme”e promosse dall’aula; 5 Stelle e Sinistra in un angolo e bocciate. La Presidente del Consiglio, che doveva fare le comunicazioni in vista del Consiglio europeo che inizia domani a Bruxelles, avrebbe invece fatto, secondo le le opposizioni ma non solo, “il solito comizio perchè ancora non ha capito di essere il capo del governo e non più la leader dell’opposizione”. In ritardo (ma questo è un peccato tutto sommato veniale) , europeista e atlantista convinta sul dossier Ucraina, contraddittoria su immigrazione, all’attacco sulla crisi energetica. Rivendicativa, polemica e con troppi “sorrisini” mentre parlano i deputati dell’opposizione ma in sostanziale continuità con il governo Draghi che però attacca e accusa di immobilismo.
Il ritorno in aula
Era atteso uno standing diverso da parte della premier Giorgia Meloni al suo primo ritorno in aula dopo la fiducia, dopo cinquanta giorni di governo e alla vigilia del suo primo Consiglio europeo. Invece sono stati completamente ignorati dossier chiave come il Pnrr e il Mes che hanno una loro urgente attualità ma sono scomodi perché ancora senza una soluzione da parte della maggioranza. Al posto della sostanza, spesso hanno prevalso sarcasmo e vittimismo. “Osservo – ha detto la premier - che è bizzarro essere accusati nello stesso dibattito di essere troppo sovranisti e troppo mainstream. Tranquilli, noi non scimmiottiamo nessuno e le etichette troppo semplicistiche che negli anni hanno provato ad affibbiarci stanno tornando indietro come boomerang”. Insomma, ieri molti, anche nella maggioranza, hanno visto sul banco del governo una leader di partito nostalgica dell’opposizione anziché il Presidente del Consiglio di un paese fondatore della Ue. Qualcuno lo ha spiegato a voce alta. Il leghista Stefano Candiani, ad esempio: “Presidente Meloni, lei ha fatto un elenco dei vertici ai quali ha già partecipato quasi volendo dimostrare di essere legittimata. Ma non ne aveva bisogno perché quella legittimazione lei ce l’ha già”. Micidiale. Come il paragone tra la premier e il ministro della Difesa Guido Crosetto. “Lei molto in difesa, lui molto ministro della Difesa, è stato bravo, ci è piaciuto, ben altro spessore e autorevolezza” osservava a metà pomeriggio un deputato del Terzo Polo.
Il duello non richiesto
Per uno di quegli “scherzi” che a volta il calendario dei lavori d’aula s’ingegna a fare, ieri il Parlamento ha offerto un involontario duello tutto interno tra la premier e il ministro della Difesa che non sono due qualsiasi nella storia di Fratelli d’Italia. Potremmo dire che i Fratelli stanno a Meloni tanto quanto Crosetto, La Russa o Rampelli (che, osservano in molti, è l’unico di quella “storia” a non essere stato premiato negli incarichi). Meloni ha tenuto ieri mattina le consuete Comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo (oggi e domani). Una mattinata tra intervento, dibattito generale, replica, dichiarazioni di voto e voto. Stamani replicherà al Senato. Dove ieri mattina, mentre Meloni parlava alla Camera, Crosetto ha tenuto le “sue comunicazioni sul decreto legge Ucraina che prevede anche l’invio di armi per la difesa di Kiev. Le stesse che ha replicato ieri pomeriggio alla Camera parlando dal banco del governo appena lasciato libero dalla premier. Insomma, servita così su un piatto, era impossibile non fare confronti, paragoni e tirare qualche conclusione. “Si è rivolto a ciascuno parlamentare intervenuto nel dibattito generale chiamandolo per nome – ragionavano ieri alcuni deputati Pd e della Sinistra - che è sempre una forma di rispetto spiegando con argomenti e cuore le ragioni del decreto, mettendo a nudo le contraddizioni stando sempre nel merito senza mai offendere, sottolineando con orgoglio la specificità delle forze armate italiane e come in questi mesi la diplomazia abbia sempre lavorato e cercato continuamente la strada della pace”. A giudicare dal gradimento dell’aula, ieri Crosetto ha scippato la premiership a Meloni. Anche perché il titolare della Difesa aveva 39 di febbre ma non si è sognato di mollare un secondo l’aula.
Trentacinque minuti e qualche scintilla
La premier ha parlato per 35 minuti e ha indicato i tre nodi principali da affrontare nella riunione di Bruxelles: l’Europa deve avere “un ruolo ancora più incisivo” nella crisi ucraina; sul fronte energetico deve ricalibrare la risposta contro la speculazione che al momento è “insoddisfacente e inattuabile”; sul dossier immigrazione si deve “passare dal dibattito sulla redistribuzione che ha fallito a quello sulla difesa comune dei confini esterni dell'Ue”. Un intervento incentrato soprattutto sul ruolo del suo governo che vuole “avere più Europa in Italia, piuttosto che più Italia in Europa”.
In generale, pochi applausi e qualche scintilla. All’inizio, ad esempio, quando – in ritardo di 20 minuti “causa traffico, scusate ho calcolato male i tempi” – l’onorevole Giachetti (Iv-Terzo polo) ha sottolineato lo sgarbo istituzionale: “Chiedo agli uffici di presidenza se sia mai successa una cosa del genere, vede signora Presidente, non siamo i suoi camerieri”. La replica: “Non ho mica detto che è colpa di Gualtieri, poi ognuno trarrà le sue conclusioni”. Scintille anche in coda alla replica quando Meloni ha definito “solo propaganda” (dei 5 Stelle) le tesi di chi dice che “la soluzione per la pace è fermarsi”. “Lo spazio di manovra per il cessate il fuoco appare oggi assai limitato e l'Italia appoggerà in ogni caso gli sforzi in proposito ma è chiaro che ci sono solo due vie per arrivare alla pace: la resa dell'Ucraina, “ma sarebbe un’ invasione”; o lo “stallo” sul campo che potrebbe spingere Mosca a “venire a più miti consigli”. Da qui la difesa totale del sostegno militare a Kiev e delle sanzioni a Mosca. E il monito: “Non dobbiamo consentire che Putin utilizzi la carenza di cibo come arma contro l'Europa, come già sta facendo con il gas e il petrolio”. Sulla crisi energetica “siamo pronti a fare tutto quello che c’è da fare per fermare la speculazione” ma “gli unici interventi davvero efficaci e risolutivi devono arrivare dall'Ue” che è “in ritardo su una situazione epocale” e ha finora prodotto ricette “insoddisfacenti” (come il price cap dinamico che scatterebbe quando le quotazioni sono tra 200 e 220. La prima proposta, cassata è stata a 270). Poi il pizzino a Germania e Olanda: “Andare in ordine sparso, pensando che chi è più forte economicamente possa salvarsi, se necessario a scapito degli altri non è solo un'illusione ma tradirebbe l'idea di Europa decantata in questi anni”. Non una parola su Mes e Pnrr che pure è all’ordine del giorno del Consiglio Ue.
Su guerra, energia, “Piano Mattei per l’Africa” la continuità con il governo Draghi è totale. Per camuffarla un po’, ancora una volta la premier ha voluto rivendicare al suo governo un “decisionismo” che sarebbe mancato al suo predecessore. “Abbiamo messo in sicurezza la raffineria siciliana Isab-Lukoil, uno dei tanti dossier finora irrisolti”. Commenti a margine, sempre delle opposizioni: “Prima o poi Draghi s’i…..a e le risponde …”.
Ancora attacchi alla Francia
Sull’immigrazione continua l’attacco alla Francia e all’Europa. “Sull’immigrazione la soluzione è fermare le partenze e difendere i confini europei. La ricollocazione non funziona visto che ha riguardato 197 profughi su 94 mila. La Francia ne ha presi 38 e chiedetevi perché Parigi si è così agitata quando hanno dovuto aprire i loro porti alla prima nave ong. L’Italia non può essere l’unico porto di sbarco in Europa come è stato finora”. Ma l’accordo di Dublino e i trattati internazionali dicono purtroppo questo. E’ chiaro che non se ne esce mettendo l’Italia contro il resto d’Europa. contro. Con questi toni, soprattutto, è difficile immaginare a breve la soluzione del gelo diplomatico tra Roma e Parigi. E anche il resto d’Europa. Dovrebbe essere questo il primo pensiero del governo, anche in vista delle scadenze del Pnrr e del nuovo Patto di Stabilità. Vedremo se stamani, nella replica al Senato, Meloni cambierà tono e starà più sui temi.
L’eleganza di Crosetto
Come ha fatto il suo ministro della Difesa. “Gli aiuti militari finiranno quando ci sarà un tavolo di pace” e non si tratterà soltanto di armi, saranno inviati anche generatori di energia, visto l'attacco alle infrastrutture ucraine. Sia nelle comunicazioni che nella replica (soprattuto) Crosetto ha tracciato la definitiva linea del Governo precisando che l'attuale esecutivo non sta facendo altro che “ribadire” la linea di quello precedente. Nessun passo indietro né in avanti, dunque. In vista di un eventuale sesto pacchetto di aiuti militari verrà seguita la stessa procedura attuata durante il governo Draghi: il contenuto del decreto sarà secretato e sarà fatto un passaggio con il Copasir. “Tutti all'interno e al di fuori di quest'aula siamo per la pace e ripudiamo la guerra come strumento di offesa, tutti nessuno escluso, a cominciare dalle nostre forze armate che seguono il dettato costituzionale” e sono addestrate per operazioni di peace keeping e non certo per difendere i confini del proprio paese. Scenari rimossi e che Crosetto non esclude possano incidere anche sulle riserve dei nostri magazzini di armi e munizioni. Affermazione mai sentita prima nei vari dibattiti sull’Ucraina. Ma “noi non molliamo, non flettiamo dalla nostra posizione”.
L’eleganza di Crosetto si è vista soprattutto nella replica quando ha risposto ai 5 Stelle che lo avevano accusato di conflitto di interessi. “Fa un certo effetto - ha detto Marco Pellegrini - visti i suoi recentissimi trascorsi come principale lobbysta dell'industria bellica italiana sentirla parlare della necessità di aumentare le spese militari, sfruttando l'onda emotiva della guerra in Ucraina”. Senza alzare di un solo decibel la sua voce, il ministro ha rivendicato il suo precedente incarico (presidente della Confindustria della Difesa). “Rispetto le idee diverse ed è giusto confrontarsi in questo luogo che si chiama Parlamento ma non accetterò mai la semplificazione e la personalizzazione dello scontro”. Così come non accetterò mai che “si pieghi la realtà”. Perchè vedete - ha detto rivolto ai banchi dei 5 Stelle - “io so chi ha firmato l’accordo Tempest: si chiama Elisabetta Trenta, (ministra della Difesa, M5S, ndr) nel Conte I ed io ero lì accanto lei esercitando il mio allora ruolo più che legittimo”. Così come l’attuale ministro è stato presente a tutti i vertici Nato in cui dal 2014 in poi è stato ribadito l’impegno di portare il budget militare al 2%, “compresi quelli in cui era premier il vostro leader Giuseppe Conte. E siccome il mio ruolo era legittimo, ero accompagnato dal presidente del Consiglio in carica. Se vuole le allego anche le foto”.
“Pacifinto” è il neologismo di giornata.
Amarissima la conclusione dell’intervento. “Indicando nemici - è stata la considerazione di Crosetto - si ottiene un obiettivo che non è politico ma di far odiare le persone da persone che fanno dell'odio la loro ragione di vita. Non mi sono fatto odiare per 59 anni e non voglio diventare un obiettivo perché alcuni di noi devono crescere nei voti e nei sondaggi”. Touchè, si potrebbe dire.
Il patto atlantico
Al di là del confronto-duello Meloni-Crosetto, ieri la giornata ha portato un risultato politico evidente. A favore della maggioranza. In Parlamento lo hanno già ribattezzato “il patto atlantico” . Un intenso lavoro diplomatico dei ministri Luca Ciriani e Guido Crosetto con Pd e Terzo polo ha portato a una limatura delle risoluzioni di Pd e Terzo Polo in votazione alla Camera e al Senato, sulle comunicazioni della premier e sull'invio delle armi a Kiev. Così che poi, in un gioco di astensioni incrociate, sono passate sia quelle di maggioranza sia quelle dei dem e di Azione-Iv. Con l'effetto di isolare politicamente il M5s, ma anche di mandare un chiaro messaggio a chi nella coalizione di governo in passato ha tentato la via dei distinguo sull'aggressione russa e i suoi effetti. Tra Lega e Forza Italia.