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Aria di crisi di governo? Ecco che torna a fare capolino il tema legge elettorale

Tempi di discussione. A chi conviene e a chi no il Rosatellum e a chi il Brescellum. Tutte le mosse dei partiti

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Aria di crisi di governo? Ecco che torna a fare capolino il tema legge elettorale

Continua a sentirsi una leggera brezza di crisi di governo. E’ stato rimandato a mercoledì, causa tragedia della Marmolada, l’incontro decisivo tra Draghi e Conte per capire se i 5Stelle resteranno al governo o meno: la pancia dei 55 preme su Conte per farla, il leader frena e tentenna, il Pd lo ha avvertito: se salta il governo, salta l’alleanza. Nell’attesa, ecco che, come il gelato d’estate, torna il tormentone della e sulla legge elettorale. Certo, a prima vista, appare assai stantio, frusto, ripetitivo. Sabato ne hanno parlato in diversi, rinfocolando polemiche e lanciando suggestioni. A un’iniziativa lanciata dalla Cgil di Landini, “Il lavoro interroga” – una sorta di ‘conclave rosso’ che fa intravedere sempre, dietro, la suggestione di un ‘partito del Lavoro’ di ispirazione cigellina - che ha riunito esponenti di partiti politici di sinistra (Pd, LeU, altri), di centro (Iv, Azione) e di ‘campo largo’ (i 5Stelle) - è stato tutto un discettare e cinguettare, sull’argomento, al netto dell’oggetto dell’assise (le politiche del lavoro). 

Enrico Letta, che giudica il Rosatellum “la legge peggiore degli ultimi 40 anni” (dimenticandosi, colpevolmente, del Porcellum), vuole cambiarla “per dare ai cittadini, e non ai partiti, il potere di scegliere i parlamentari”, indicando il male (“assenza di rappresentanza e partecipazione”), ma non la cura (quale sistema elettorale). Conte, più esplicito, indica nel sistema proporzionale “una soluzione contro l’astensionismo”, anche se non ne è la panacea. Osvaldo Napoli (Azione) registra che “sulla via del proporzionale c’è una gran folla, da Letta a Conte”, assicura che solo questi assicura “la governabilità” e invita Salvini “a una riflessione” perché “se lui e Conte non vogliono andare, con il cappello in mano, a elemosinari collegi da Meloni e da Letta, è loro interesse primario un sistema proporzionale che consenta agli elettori di scegliere i parlamentari”, che poi sarebbero le preferenze. Solo Ettore Rosato (Iv), che del Rosatellum è il padre, difende l’attuale sistema in vigore (“non distante dal Mattarellum, che era il sistema perfetto”), ma è, chiaramente, orgoglio di papà. Il centrodestra nicchia, per ora. La Lega, formalmente contraria (“Non siamo la Caritas del Pd” disse, icastico, Roberto Calderoli), tace mentre da Forza Italia parlano solo gli ostili e fedeli, perinde ac cadaver, alla coalizione di centrodestra (Gasparri, Bernini) e sfottono pure: “Il Pd si rassegni. Perderà le elezioni e con la legge elettorale oggi in vigore”.  

A chi conviene cambiare la legge elettorale

Ma a chi conviene cambiare l’attuale sistema (il Rosatellum: due terzi di collegi plurinominali proporzionali composti sulla base di liste bloccate e un terzo di collegi uninominali maggioritari in cui vince il primo che arriva e perdono tutti gli altri) per adottare un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% (metodo di base proporzionale con Camera e Senato divisi in pluri-circoscrizioni regionali, soglia di sbarramento nazionale al 5%, forse capolista bloccati con alternanza di genere e, a seguire, eletti tutti e solo con le preferenze, detto Germanicum o Brescellum perché scritto dal presidente della I commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia)? Al Pd sicuramente, per liberarsi dell’abbraccio ‘mortale’ dei 5Stelle e restringere un ‘campo largo’ che non ingrana la marcia. E anche perché Letta batte e ribatte sul fatto che non vuole più parlamentari ‘nominati’ ma homines novi (sindaci, società civile) che corrano a perdifiato per cercarsi i voti con il ritorno delle preferenze. Al Movimento, specie se facesse cadere il governo, per correre da solo: il Pd mai si alleerebbe con un M5s che silura Draghi, in versione ‘descamisada’. Alla Lega, anche, per evitare di dover cedere lo scettro della coalizione – e fin troppi collegi, dati i sondaggi - a FdI. Poi, all’ala governista e liberal di Forza Italia, che crede sia possibile governare con l’agenda Draghi anche ‘dopo Draghi’. A un rassemblement centrista degno di questo nome, forte e autonomo, come quello che potrebbe nascere attorno Calenda o a Di Maio, ma non a piccoli partiti difficili da coalizzare (Iv di Renzi). Di sicuro, non conviene alla Meloni e a chi, in FI, vuole dargli lo scettro di leader del centrodestra. O a piccoli partiti che si accontentano dell’utilità marginale di un pugno di collegi sicuri e di uno sbarramento che, ad oggi, è fissato appena al 3%. Il problema è, però, un altro. Cambierà mai, la legge elettorale? Un vecchio adagio parlamentare recita che, quando se ne parla e/o realmente si fa, la legislatura è agli sgoccioli, e ancora non lo è. Inoltre, cambiarla, passando a un proporzionale (semi-puro), vuol dire dire addio a due coalizioni ‘storiche’ – centrodestra e centrosinistra – in un colpo solo e far nascere reunion di area centrista.  

“Le fragole non sono mature”…. Timori e tentazioni di centrodestra e centrosinistra

Per ora, però, “le fragole non sono mature”. Solo se il M5s darà davvero vita a una crisi di governo, il Pd spingerà in modo serio e forte per cambiare la legge elettorale e dividere le sue sorti da Conte, rompendo il ‘campo largo’. Infatti, il Pd non potrebbe certo allearsi con un partito che fa saltare Draghi e apre il baratro delle urne anticipate mentre il Paese è angosciato da tante crisi su tanti fronti (guerra, recessione, siccità…) e con una manovra economica d’autunno ancora tutta da scrivere e da impostare. Ma se Conte andasse fino in fondo il Pd farà di tutto per convincere la Lega che è meglio separare i propri destini dalla Meloni e, intanto, separarsi dai 5S, cambiando una legge elettorale che Enrico Letta definisce “la peggiore degli ultimi quarant’anni”, dimenticando colpevolmente, però, il Porcellum. Sempre una crisi di governo, o la nascita di un Draghi bis con una maggioranza diversa dall’attuale o un governo di scopo per passare le temperie dell’autunno e scrivere la Finanziaria, sono i soli elementi che potrebbero convincere anche la Lega a staccarsi da FdI e cercare una propria e autonoma strada per la ‘resurrezione’, abbandonando il maggioritario per il proporzionale.

Del resto, una serie di calcoli già oggi in tasca alle forze politiche del centrodestra dicono che, nei 221 collegi uninominali di Camera (147) e Senato (34) che resteranno in piedi dopo il taglio del numero dei parlamentari (da 945 a 600, senza il taglio i collegi maggioritari sarebbero 231 alla Camera e 116 al Senato), dicono che le medie ponderate del 2018 tra Lega – FI – FdI non sarebbero più rispettate. Secondo il fixing attuale, spetterebbero 106 candidati nei collegi a FdI, 52 alla Lega, 38 a Fi e 15 ai vari cespugli ‘minori’ dei gruppi centristi. Per la Lega, sarebbe un salasso non indifferente, specialmente nei collegi delle 5 regioni del Nord (76) dove il rapporto, per la Lega, da tre a uno con FdI di quattro anni fa crollerebbe a uno a uno. Insomma, la Lega avrebbe tutta la convenienza al proporzionale. Per non dire di Fi, in risalita nei sondaggi, e con l’ala liberal che preme per continuare l’esperienza Draghi (con Draghi o altri) anche nella prossima legislatura. Figurarsi ai centristi variamente assortiti, anche se qui l’arma è a doppio taglio: i vari Renzi, Calenda, Di Maio, Mastella, Toti-Quagliariello, etc., se riescono a mettersi insieme possono contare e pesare quanto valgono, superando lo sbarramento del 5% di un sistema proporzionale, ma se invece non vi riescono molto meglio, per loro, tenersi l’attuale Rosatellum. Non correrebbero neppure, nei collegi uninominali (o si farebbero candidare, catapultati, in una manciata di collegi ‘sicuri’ garantiti dagli eventuali alleati più grandi), ma la soglia di sbarramento nella parte proporzionale (347 collegi plurinominali tra Camera e Senato, più 12 eletti all’Estero, per un totale di 600 seggi, compresi i 221 collegi uninominali detti prima) è, nel Rosatellum, molto più abbordabile, solo al 3% e in quella quota un partito può prendere eletti (mentre se sta sotto l’1% non porta eletti a sé o altri e se sta tra l’1% e il 3% li porta alla coalizione con cui si presenta nel maggioritario).

Ne consegue che, anche per i partiti molto piccoli (Italexit di Paragone, Alternativa c’è degli ex 5s, Sinistra ecologista di SI-Verdi) non conviene, paradossalmente, il Brescellum ma il Rosatellum.

Infine, va anche detto che, se prendesse quota, il Pd potrebbe allettare il centrodestra innestando, sul proporzionale semi-puro, un ‘premietto’ di governabilità di 20/30 seggi al primo partito meglio piazzato, sempre in quota proporzionale. Ma così ci si spinge troppo avanti. Per ora, la sola cosa vera che c’è è che, di sistema elettorale, si torna a discutere. Il che succede sempre in due soli casi, recita un vecchio adagio parlamentare: quando una legislatura è effettivamente agli sgoccioli, cioè ai suoi ultimi mesi (e, in teoria, non è questo il caso) e quando c’è una crisi di governo che rischia di mandare ‘tutti a casa’. E questo, però, stavolta potrebbe essere il caso… 

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
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