Consulta in stallo e ridotta a undici giudici. E’ guerra sui nomi dei quattro sostituti
Il Capo dello Stato chiede da mesi di coprire i posti vacanti, tutti di nomina parlamentare. Ieri la tredicesima fumata nera. Ormai se ne riparla a gennaio. Meloni insiste su Marini, il Pd punta su Pertici. Fi ha un tris, Sisto, Zanettin, Casellati. Il quarto giudice dovrebbe essere “neutro”. Il presidente Fontana si scusa: “Li ho convocati tutte le settimane…”
Da oggi sono rimasti in undici, il minimo legale per poter lavorare. Trattandosi dei giudici della Corte Costituzionale, la faccenda è seria. Si fatica a trovare precedenti di una composizione a ranghi così ridotti. Se a questo si aggiunge che il Presidente della Repubblica sollecita da mesi il Parlamento di provvedere all’elezione dei giudici vacanti, la faccenda assume anche un valore provocatorio. Più Mattarella chiede “fate presto” e più la maggioranza fa orecchie da mercante. Tutte pessime notizie per la salute della democrazia. Anche perchè ieri il presidente della Camera Lorenzo Fontana è stato costretto ad ammettere. “Io ce l’ho messa tutta a convocare le Camere per le votazioni in seduta comune, lo faccio una volta a settimana, poi se la fumata è sempre nera…” e ha allargato le braccia. Aggiungendo a mezza bocca: “Mi dicono anche che faccio sprecare soldi con queste convocazioni inutili che tanto non c’è l’accordo”.
Tutto rinviato a gennaio
L’ultima fumata nera è di ieri, la numero dodici per l’elezione di un giudice della Consulta e il terzo scrutinio per l’elezione di altri tre giudici. Ed è chiaro che fino a metà gennaio non ci sarà soluzione.
La Corte ha un funzionamento da orologio svizzero, uno di quei meccanismi quasi perfetti che i padri costituenti hanno calibrato fino all’ultimo dettaglio sulla scorte dell’esperienze del mai-più alle dittature e agli orrori del secolo breve. La composizione – cinque giudici di nomina presidenziale, cinque nominati dalle magistrature e cinque dal Parlamento, tutti che escono dopo al massimo nove anni qualunque ruolo abbiano raggiunto – è tale per cui è praticamente impossibile uno sbilanciamento politico da una parte o dall’altra.
Ovviamente la politica ci prova. E questa volta più di altre. I quattro giudici mancanti sono infatti tutti di nomina parlamentare: uno, l’ex presidente Silvana Sciarra, non viene sostituito da circa un anno; gli altri tre decadono – il presidente Barbera ed entrambi i suoi vice, Franco Modugno e Giulio Prosperetti - il 21 dicembre, tra dieci giorni. “Anche oggi è stata fumata nera- si è rammaricato il presidente della Camera Lorenzo Fontana –, la buona notizia è che si è abbassato il quorum (non più necessario i 3/5 dell’assemblea) e che la prossima volta potrebbe essere quella buona”. Il problema è che per la prossima volta bisogna aspettare gennaio visto che la sessione di bilancio impegnerà il Parlamento fino all’ultimo giorno utile, cioè il 31 gennaio. “Per questo motivo – ha spiegato ieri Fontana – non ha previsto una nuova convocazione per le prossime settimane”. Lavorando di lunedì e venerdì forse una mezza giornata verrebbe fuori. Ma il punto è che i maggiori partiti non hanno ancora trovato l’accordo politico.
Barbera: “Inutile vincolare la scelta all’appartenenza politica”
Tanto che ieri Barbera, al termine dell’udienza pubblica in cui era previsto il saluto ai tre giudici uscenti, ha pronunciato parole di fuoco. “Per il buon funzionamento della Corte è fortemente auspicabile che il prima possibile si arrivi a una ricomposizione del Collegio a quindici componenti”. Poi il monito politico: “Il Parlamento, nella scelta dei nuovi giudici, non enfatizzi più di quanto sia necessario le diverse sensibilità politiche e culturali dei candidati. Nel lavoro della Corte costituzionale è essenziale il metodo della collegialità: le diverse sensibilità dei singoli giudici contano ma poi, necessariamente, devono confrontarsi con quelle di tutti gli altri componenti del Collegio. E queste diverse sensibilità non vengono compresse bensì arricchite, grazie al confronto collegiale”. Per chi non avesse orecchie, il concetto è chiaro: stop alla lottizzazione della politica che poi viene nella prassi superata dalla dimensione collegiale della corte.
Belle e sagge parole. Inutili, a quanto pare, visto la difficoltà delle trattative tra le parti. Uno spettacolo triste, che non fa onore. Vediamo perché.
Il caso Marini
Chi ha messo la faccenda subito sul piano inclinato del comando-io/decido-io è Giorgia Meloni. Era l’8 ottobre quando la premier tentò, con un blitz svelato dai giornali grazie alla pubblicazione di alcune chat private dei Fratelli d’Italia, di far eleggere alla Corte il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, che è anche l’autore della riforma del premierato. La premier aveva precettato i gruppi di maggioranza che sulla carta hanno 355 voti su 363 necessari. Ciascuno doveva votare Marini in un modo (nome e cognome esteso; iniziali del nome e poi il cognome; cognome e poi una iniziale del nome puntata e l’altro esteso) per poi procedere alla conta della fedeltà. Le opposizioni, compreso l’accordo, non ritirarono la scheda così che nessuno fosse tentato di garantire gli otto voti mancanti. Il rischio di bruciare il nome di Marini era a quel punto troppo alto. E anche la maggioranza votò scheda bianca. Tutto saltato, ira di Meloni, non tutti in maggioranza sembrarono così dispiaciuti. Il metodo “avanti-marsh” quella volta non funzionò. Per qualche veterano anchye di maggioranza, fu motivo di orgoglio. Elly Schlein puntò il dito contro i banchi di Fratelli d’Italia: “I giudici della Corte sono materia condivisa, se ne parla, si discute, non si fanno i blitz”.
Il “neutro” che neutro non è
La verità è che da allora le cose non sono migliorate. Ed è inutile convocare l’aula se non c’è l’accordo sui quattro nomi. Maggioranza e opposizione si parlano, questo sì. I partiti più grandi hanno il proprio delegato alla trattativa. Merloni ha affidato il dossier al fedelissimo sottosegretario Mantovano. Per Tajani è al lavoro Maurizio Gasparri. Nel Pd ci pensa Elly Schlein.
Meloni insiste su Marini, incurante del conflitto di interessi per la riforma del premierato. Schlein insiste sul professor Andrea Pertici, l’avvocato pisano che ha rappresentato la Toscana nel ricorso contro la legge sull’autonomia. I parlamentari della destra obiettano: se è in conflitto di interessi Annibali, allora lo è anche Pertici.
Il “Cencelli” della Corte prevederebbe un giudice a Fratelli d’Italia, uno a Forza Italia, uno al Pd e uno “neutro”. Gli azzurri tengono coperto il nome: il viceministro Francesco Paolo Sisto? L’onorevole Zanettin? Il ministro Casellati? Sul quarto nome, che dovrebbe essere quello “neutro” sono andate in scena le peggior performance visto che ciascuno ha provato a spacciare per neutro chi neutro non era. Ad esempio Renato Balduzzi, ex ministro della salute del governo Monti e che, insomma, proprio neutro non è. Senza l’accordo è inutile andare in aula. Pagina non bella, anzi triste. Mattarella inascoltato.