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I "saggi" del Pd consigliano a Elly di cambiare spartito, di fare proposte concrete. Obiettivo: infilarsi nelle difficoltà della maggioranza

A quasi un anno dall’elezione della segretaria il centrodestra - seppur nelle difficoltà di una coalizione eterogenea - continua a restare attorno al 48% nei sondaggi. Allo stesso tempo il centrosinistra non ha svoltato nei sondaggi

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
Elly Schlein
Elly Schlein (Foto Ansa)

Elly Schlein è stata eletta segretaria del Pd nel febbraio scorso. Come dice un decano del Parlamento in quota Nazareno: «È un’era geologica fa». Non è trascorso nemmeno un anno dalla sua elezione ma il contesto è completamente cambiato. Il centrodestra - seppur nelle difficoltà di una coalizione eterogenea - continua a restare attorno al 48% nei sondaggi e il partito di Giorgia Meloni resta sempre ben saldo in prima posizione. Addirittura si dice che potrebbe arrivare a sfondare il 30% alle prossime elezioni europee. Allo stesso tempo il centrosinistra non ha svoltato nei sondaggi.

I "saggi" del Pd consigliano a Elly di cambiare spartito

Non c’è stata quell’inversione di tendenza auspicata, ad eccezione dell’inizio del mandato di Schlein. Per tutte queste ragioni i più “anziani” del Partito democratico - rimasti a suddividersi la torta delle correnti - suggeriscono a «Elly» di cambiare spartito, di ritornare centrali nel dibattito. La preoccupazione - nemmeno tanto celata - è che la scena sia occupata da Giuseppe Conte. Il leader dei 5Stelle continua a prendere le distanze dal campo largo. Non perde occasione per smarcarsi, per differenziarsi dal Pd. Per dire, al Nazareno non hanno certo digerito che l’avvocato del popolo si sia presentato in conferenza stampa per presentare «la sua contromanovra». «Non era meglio scriverla insieme e mandare un messaggio di unità?». L’unità ad oggi c’è stata solo sul salario minimo e su pochi altri provvedimenti. Poi è chiaro che l’obiettivo comune resta quello di mettere in crisi l’attuale maggioranza di governo. «Ma ci vorrebbe qualcosa in più», come suggerisce una prima linea del Nazareno.

Serve una nuova strategia

Su queste note nasce l’idea dei “saggi” del Pd di provare a far cambiare strategia e approccio alla segreteria del Pd. In sintesi «meno no a prescindere» e «più proposte che mettano in difficoltà la maggioranza di governo». Anche questa volta, come ha raccontato Francesco Verderami sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, il più lesto di tutto è stato Dario Franceschini. «Dario è il pendolo del Pd, lui è la maggioranza. Ha introiettato una massima di Antonio Bisaglia: “Stare sempre in maggioranza”». Area dem, la corrente degli ex margheritini del Pd che include anche diversi profili provenienti dai Ds, è la galassia più grande del Nazareno. In fondo, spiegano, che «senza l’apporto di Dario, Elly non sarebbe mai diventata segreteria». Sta tutto qui quello che sta succedendo. Ecco, Franceschini scommette sul fatto che sia finito «il tempo della radicalità». E che sia arrivato il momento di sedersi al tavolo con la maggioranza, almeno nella stesura delle nuove regole del gioco. Tradotto, sulla riforma costituzionale e sulla legge elettorale il Pd dovrà farsi trovare pronto con una proposta credibile che possa incunearsi nelle difficoltà della compagine di centrodestra. E che ci siano spazi lo si comprende leggendo in controluce quello che, ad esempio, ieri ha scolpito nel corso della presentazione del professore Angelo Lucarella, il presidente della Commissione Affari costituzionale della Camera Nazario Pagano.

La riforma elettorale

L’azzurro ha evidenziato come «la riforma elettorale diventi una priorità, ora che si discute di riforma costituzionale». E ancora, sempre Pagano: «Bisogna mettere mano alla legge elettorale e bisogna farlo subito. L'aver previsto un premio di maggioranza al 55% rende indispensabile rivedere il Rosatellum che, dopo la riduzione del numero dei parlamentari, non è più adatto a garantire rappresentatività. So che non sarà semplice trovare una soluzione idonea e che non esiste una legge elettorale perfetta ma dobbiamo assolutamente aprire un nuovo capitolo e avanzare una nuova proposta». Un messaggio che viene letto come un’apertura al centrosinistra. Da qui il Pd non solo cercherà di portare al tavolo delle trattative una sua proposta di riforma. Ad esempio, il modello semipresidenziale oppure il cancellierato tedesco su cui Forza Italia si è sempre espressa in maniera favorevole. Una strategia che servirà soprattutto a mettere in evidenza le contraddizioni interne alla maggioranza. Non è un caso allora se ieri il Pd Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari istituzionali del Senato, si sia espresso in questi termini: «Nelle audizioni di oggi in Senato sul ddl di riforma costituzionale Meloni-Casellati, che pure hanno visto intervenire tre accademici favorevoli al principio dell'elezione diretta del premier, si è capito bene come mai il testo uscito dal consiglio dei ministri - frutto di un tormentato braccio di ferro tra Lega, Fi e Fdi - sia stato definito il 20 novembre scorso un 'pasticcio da Tso' da un illustre esponente della stessa maggioranza come il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè».

Obiettivo: infilarsi nelle difficoltà della maggioranza

Va anche in questa direzione che qualche giorno in aula al Senato, nel corso della votazione al ddl antiviolenza, sia intervenuto Filippo Sensi, un profilo moderato all’interno del gruppo Pd a Palazzo Madama. Passaggio più significativo di quest’ultimo: «Sarebbe bello se il segno di questa legislatura fosse un percorso comune sulla violenza contro le donne, su una sanità più efficiente, penso alla questione della salute mentale, su un lavoro più dignitoso, su una crescita più sostenibile, su un territorio più ricucito, su città più sicure, sul diritto allo studio e alla casa, su carceri senza bambini dentro, su meno e non più armi nelle case degli italiani». Tutto questo è stato interpretato dalle parti del centrodestra come una mano tesa. Franceschini e non solo si sono messi in testa che tutto questo possa giovare anche ai sondaggi. Ma soprattutto serva a ridare centralità a un partito che nell’ultimo periodo è stato risucchiato da Giuseppe Conte che fa una cosa e poi dice il contrario, che apre al campo largo e poi un attimo dopo ritratta. Senza dimenticare il segretario della Cgil Maurizio Landini che - secondo molti al Nazareno - «ormai ambisce a fare il federatore del sinistracentro». Uno scenario che preoccupa i centristi del Pd che vorrebbero sempre una coalizione di «centrosinistra» mai di«sinistra-centro».

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