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Carlo Calenda magnifica se stesso e la piccola Azione

“Siamo piccoli, ma cresceremo”. Al centro si lancia Azione, a sinistra Manifesta. I centristi provano a parlarsi, ma litigano già tra di loro

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Carlo Calenda

“Ma cosa abbiamo combinato in questi due anni?". Carlo Calenda apre il congresso di Azione con la soddisfazione di avere smentito i gufi che dicevano che non ce l'avrebbe mai fatta a creare un nuovo partito. Che Azione era solo lui e qualche amico. "E oggi siamo sesto partito italiano secondo i sondaggi". Apre i lavori dopo avere ascoltato alleati, amici, possibili interlocutori che, proprio come nei vecchi congressi, sfilano davanti ai delegati per portare il loro saluto. Messaggi politici da memorizzare e tirare fuori da qui alle prossime elezioni politiche. Non ci sono quelli del Movimento cinque stelle e di Fratelli d'Italia. Ma con loro Calenda non ci pensa proprio ad allearsi. E lo dice dal palco. "Noi con populisti e sovranisti non andremo mai". Prima parla, collegato da remoto, Giancarlo Giorgetti. E dice che con Azione si può dialogare, ci sono punti di convergenza. E il leader di Azione conviene. "La Lega può essere un interlocutore se decide cosa essere. Se è quella di Giorgetti si può dialogare. Ma se è quella di Salvini non può essere: non è né dignitoso né serio dire una cosa la mattina e dire il contrario la sera". Giorgetti però avverte che ci sono problemi istituzionali da risolvere, riforme da fare. E avverte che la legge elettorale proporzionale non va bene: "serve un governo che decide e non pensi ai tornaconti elettorali".

Giorgetti smonta il sistema proporzionale

Il proporzionale non serve al paese, spiega Giorgetti: "La legge elettorale proporzionale, fatta solo per avvantaggiare qualcuno, è sempre sbagliata. La riforma della legge elettorale deve essere fatta per avere un governo che possa decidere sia a livello nazionale che europeo", spiega. "C'è un senso di urgenza che investe noi che facciamo politica - continua - ma io non vorrei che questa urgenza di cambiamento e di riforma, in parte portata avanti dal governo Draghi e dal Parlamento, si riduca solo a una discussione sulla legge elettorale. C'è bisogno di energie nuove e di una classe dirigente che possa dare il proprio contributo". Quello che serve, secondo il ministro dello Sviluppo economico, è "un governo che decida, una democrazia che aiuti la crescita senza pensare a tornaconti elettorali. Serve un importante impegno di riforme: da vent'anni abbiamo avuto cambi di maggioranze, solo in questa legislatura un campionario incomprensibile per i nostri osservatori esteri". Secondo Giorgetti, "ora al di là delle baruffe quotidiane i richiami che vengono sull'aggiornamento delle istituzioni siano ineludibili, penso ai tre poteri, ma anche al rapporto tra governo e Parlamento".
Sfilano gli altri. Enrico Letta, per esempio, è ecumenico. Ringrazia Calenda e Azione. Lui pensa al suo campo largo e Calenda deve starci dentro. "Sono sicuro che ci troveremo insieme alle prossime politiche", dice il segretario del Pd.

Letta annette Azione al campo progressista

"Sono sicuro – continua Letta - che insieme faremo grandi cose per il nostro Paese, sono sicuro che voi giocherete un ruolo importante e che insieme, senza ambiguità tra di noi, vinceremo le elezioni politiche del 2023 e daremo un governo riformista e europeista a questo Paese". Giorgetti replica subito: "Non vi posso promettere come ha fatto Letta che vinceremo insieme le elezioni ma sono certo che tra noi ci saranno ampi margini di collaborazione".

I possibili alleati, centristi e non, di Azione

Parlano poi Toti, Rosato, Della Vedova. Coraggio Italia, Italia dei Valori, +Europa sono possibili alleati di quel centro che potrebbe andare oltre il 10 per cento. Tutti parlano di progetto liberal-democatico, ancorato all'Europa. E non a casa il primo a parlare, in francese, è Stéphane Séjourné, europarlamentare e presidente del Gruppo Renew Europe. Calenda e Renzi ci stanno già dentro. Ma pure Letta si rifà agli stessi valori, anche se sta fra i Democratici e i socialisti. E anche Antonio Tajani che però sta nel Ppe. Ma sull'Europa Calenda sembra avere le idee molto chiare: si potrà fare una vera Unione solo se si cacciano fuori la Polonia e l'Ungheria.

Azione si struttura: vuole diventare partito

Lo slogan potrebbe anche essere, come diceva una vecchia canzone per bambini degli anni ’70, “siamo piccoli, ma cresceremo”. Azione – la formazione politica fondata da Carlo Calenda - diventa così un partito (eletti i direttivi provinciali, 108, e quelli regionali, pronta la direzione nazionale) ed è pronta a un dialogo con tutti, a 360 gradi, esclusi M5s e FdI, orizzonte il liberal-socialismo. Ieri mattina, dunque, al Palazzo dei Congressi di Roma, si è aperto il primo congresso del movimento, che ha eletto segretario il suo leader naturale, Carlo Calenda, ad oggi solo europarlamentare europeo che però, uscito dal Pd, oggi sta nel gruppo di Renew Europe, dove già siede Iv di Renzi (e Macron). Azione, e il suo leader, non sono affatto ‘tentati’ da ipotesi neocentriste cui lavorano, invece, Toti e Quagliariello da un lato e Renzi dall’altro. “Oggi non ci vuole un centro nel senso deteriore di un centrismo – dice Calenda - ma ci vuole una terza area politica, che sia l'area del riformismo pragmatico, di un modo di fare politica serio e responsabile che non è ostaggio dei 5stelle da un lato e dei sovranisti dall'altro”. Non a caso i lavori del congresso sono stati aperti, come si diceva prima, da esponenti di quasi tutte le forze politiche: il segretario del Pd Enrico Letta (il rapporto tra lui e Calenda, nonostante qualche screzio passato, è solido), il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, quello della Salute Roberto Speranza, il vice-presidente di Forza Italia Antonio Tajani, il presidente di Iv Ettore Rosato, il co-fondatore di Coraggio Italia Giovanni Toti, il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova. Ed è proprio con quest’ultima formazione che la fusione – a livello parlamentare e partitico – è a un passo, tanto che i 3 deputati e i 3 senatori (da poco è arrivata, new entry, la senatrice di FI Masini, uscita in polemica con FI sul ddl Zan) coabitano già e lavorano nel Misto, anche se per ora sotto forma solo di sotto-gruppo.

Porte sbarrate a Fratelli d’Italia e grillini

Da tutti gli interventi degli ospiti, pur se con toni differenti, c’è la volontà di ricercare un dialogo, a partire dal leader dem, che alla platea assicura: “Insieme vinceremo le elezioni politiche del 2023”. Calenda incassa l'apprezzamento di tutti e assicura che “il Pd rimane un interlocutore e anche Italia Viva. Poi Forza Italia e perfino una parte della Lega, quella di Giorgetti”. Porta sbarrata, invece, per Giorgia Meloni e i grillini: “non dialoghiamo e non accettiamo il confronto con M5s e Fdi. Il dialogo si fa dai valori comuni.

Calenda vorrebbe un sistema proporzionale

Qualunque sistema elettorale ci sia noi con sovranisti e populisti no”. A proposito di sistema elettorale, Azione opta per il proporzionale con sbarramento alto, al 5%, ma è pronto a gettare il cuore oltre l’ostacolo anche con il sistema attuale, il Rosatellum, pur se, in quel caso, finirà, giocoforza per allearsi col Pd e il centrosinistra. Azione non si definisce né di centro, né di sinistra, né di destra. “Facciamo riferimento – la butta alta Calenda - a un partito che si chiamava Partito di Azione, un partito liberal-socialista. Nei prossimi giorni Calenda partirà per un tour nel Paese “Italia sul serio”, che durerà un anno. L'orizzonte sono le elezioni politiche, con i passaggi intermedi delle amministrative, a cui Azione si presenterà da sola dove possibile. E se +Europa è al momento l'unico ‘partner’ stabile, si punta all’alleanza con il Pd ma, Calenda lo ribadisce a Letta, mai col M5s, già nei comuni.

Intanto il polo neocentrista litiga al suo interno

Non che, va detto, le cose procedano spedite, nella galassia neo-centrista. Dopo tanto parlare di ‘terzo polo’, aggregazione centrista, ‘gruppone’ di oltre cento parlamentari, per ora i giochi stanno a zero. Iv resta per conto suo, Cambiamo-Idea pure. Anzi, dentro il mini-gruppo formato da tre sottogruppi (Idea di Quagliariello, Cambiamo! Di Toti, la personalità forte e autonoma di Brugnaro) si litiga a più non posso. In pratica, Brugnaro non vuole salpare le ancore dal centrodestra, gli altri due attori sì. Ha riunito – una cosa un po’ comica – i parlamentari di Coraggio Italia, senza invitare quelli di Cambiamo e tantomeno quelli di Idea di Quagliariello, ma tracciare una linea netta tra le due aree è praticamente impossibile, oggi. In pratica, la sola vera differenza è il futuro lontano: Toti e Quagliariello vogliono costruire un nuovo ‘centro’, staccato dai poli attuali (peraltro assai divisi, al loro interno) mentre Brugnaro vuole restare ancorato al centrodestra, Lega e FdI incluse. Inoltre, Brugnaro ha i soldi – e dunque i cordoni della borsa – in quanto imprenditore di successo, con diversi sponsor dalla sua, mentre Toti e, soprattutto, Quagliariello hanno il fiuto e la capacità di fare politica, che a Brugnaro – troppo naif e troppo egoriferito – manca del tutto. Infine, della partita sarebbero – in teoria – anche l’Udc di Cesa, Noi con l’Italia di Lupi e Noi di Centro di Mastella, ma mentre quest’ultimo è, a sua volta, molto spregiudicato, Cesa e Lupi non lo saranno mai abbastanza per rompere in via definitiva con il centrodestra. Infine, c’è Iv di Renzi. A lungo tentato di dare vita al ‘centrismo’, anche grazie a una nuova legge elettorale, ora sembra scommettere in un nuovo ‘patto’ con il nemico di sempre, Letta, cui il rapporto con il M5s frana ogni giorno di più: a entrambe potrebbe dunque convenire per portare a casa la pelle ed eleggere qualche parlamentare (Renzi) e creare un ‘fronte ampio’ il più possibile (Letta). Una convenienza che potrebbe tornare utile anche sulla legge elettorale. Infatti, Renzi sta tornando sui suoi passi: ora preferisce tenersi stretto il maggioritario, cioè il Rosatellum, con i collegi per barattarne alcuni con il Pd e farsi eleggere ed evitare di cercare il mare aperto con i centristi cui lo costringerebbe il proporzionale.

Manifesta. Anche a Sinistra ci si riposiziona

Ma anche nell’estrema sinistra ci si prova, a fare massa, riaggregarsi e riposizionarsi. Quattro deputate ex del Movimento 5 Stelle hanno danno vita a 'ManifestA', nuova componente alla Camera dei Deputati sotto le insegne di Rifondazione comunista (che, dopo decenni fuori dal Parlamento, vi torna) e Potere al popolo (che si era presentato come cartello elettorale alle Politiche del 2018 senza ottenere seggi) che oggi si presenta ufficialmente. Sono Simona Suriano, Doriana Sarli, Yana Ehm e Silvia Benedetti (al Senato c'è già Matteo Mantero che si è collegato, a sua volta, con Pap) e il progetto in realtà guarda direttamente al 2023. Alle prossime Politiche, infatti, quest'area della sinistra radicale potrebbe presentarsi in concorrenza al centrosinistra e con alla guida Luigi De Magistris, ex sindaco di Napoli e già candidato della sinistra radicale alle Regionali in Calabria. Il nome 'ManifestA' è ovviamente un richiamo al famoso manifesto di Karl Marx ma quella 'a' finale è un riadattamento in chiave femminista e allo stesso tempo un invito alla mobilitazione. Un triplo richiamo identitario a battaglie vecchie e nuove del movimento comunista e per i diritti: "La nostra è una proposta politica concreta - affermano le deputate di 'ManifestA' - che metta finalmente al centro la giustizia sociale, l’ambiente, il pubblico e che dia vita a un modello di sviluppo che si contrapponga fermamente alle ricette neoliberiste, ai processi di privatizzazione, e al potere economico e politico dominante, che ignora l’interesse collettivo”. E sarà probabilmente proprio con la denominazione di 'ManifestA' che questo pezzo di sinistra si proporrà alle elezioni del prossimo anno, in opposizione al governo di Mario Draghi - le quattro deputate uscirono dal Movimento proprio dopo l'appoggio al suo esecutivo del M5s - ma pure al fronte progressista, nella convinzione che non ci siano margini di dialogo con il Pd. L'ex due volte sindaco di Napoli sarà con ogni probabilità il volto trainante del progetto anti-sistema e che punta a raccogliere consensi non solo nell'area di sinistra-sinistra e dei movimenti ma anche in quella dei delusi 5 Stelle.

De Magistris leader della futura sinistra radicale?

Del resto, De Magistris fu eletto a Napoli entrambe le volte fuori dai tre poli (centrodestra, centrosinistra e M5S) e appoggiato da Rifondazione. Alle elezioni regionali in Calabria dello scorso anno invece, con lo stesso schema, arrivò terzo, con il 16,2 per cento. Dopodiché, se c'è davanti tutto il 2022 per organizzare una lista capace di riportare in Parlamento dalla porta principale il rosso antico, molto dipenderà anche dalla futura legge elettorale e dalle soglie di sbarramento: se ci sarà il proporzionale con il 5% di sbarramento è molto difficile che il sogno di ‘Manifesta’ si avveri, se fosse al 3% chissà, forse. Da ricordare, infine, parlando di ‘frattaglie’ della estrema sinistra, che Sinistra italiana procede a un processo di fusione-inclusione con i Verdi italiani e che, fuori dall’aggregazione di Manifesta, resta il Partito comunista di Marco Rizzo, il quale vanta a sua volta un rappresentante in Parlamento in Emanuele Dessì. A sua volta un ex M5s, ovvio.

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