Europa, adesso rischia tutta la Commissione. Trump e Musk preparano il pop corn
Nuova giornata di incontri e mediazioni e nulla di fatto. Il Pse, di cui il Pd è la componente più numerosa, non vuole votare Fitto. “Il problema non è la persona ma è politico” spiega Nardella. L’accusa è al Ppe che ha allestito un doppio forno con maggioranze variabili. Ma socialisti e verdi non vogliono allargare alla destra di Meloni la maggioranza dell’esecutivo Ue. Polemiche in Italia. La premier tace su Musk ma attacca Schlein
E' tutto bloccato. Peggio, rischia di saltare tutto. Anche la Commissione. Soprattutto l’Europa. Sono le nove di sera quando fonti del gruppo Socialisti e Democratici fanno filtrare che “ormai si è rotta completamente la fiducia con il Ppe. Fitto non avrà i voti del nostro gruppo in commissione Affari Regionali, in nessun caso. Non è una questione spagnola, né un problema con l’Italia o con Fitto, ma un problema con l'estrema destra. Il pacchetto dei vicepresidenti è da cinque, quelli di S&d, Renew e Ppe: noi negoziamo per quel pacchetto. Se vogliono votare Fitto con un'altra maggioranza, lo votino”.
Fumata nera
Si chiude così una giornata tesissima a palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea. La presidente della Commissione è stata tutto il giorno in ufficio per trattare e ricomporre. Senza riuscirci però. Si è bloccato il processo per il via libera ai sei vicepresidenti esecutivi tra cui Fitto, della nuova commissione di Ursula von der Leyen. Erano stati auditi martedì ma a sera è la stessa von der Leyen ha deciso di bloccare tutto “fino a data da destinarsi” proponendo poi una votazione “a pacchetto” per sottrarre gli altri 4-5 vicepresidenti dal gioco dei veti incrociati. I problemi sono due: Fitto, ministro del governo Meloni e tra i fondatori del gruppo dei Conservatori, la destra che dovrebbe più moderata, e l’ungherese Oliver Varhelyi, membro di Fidesz, il partito di Viktor Orban, che invece siede tra i banchi del gruppo dei Patrioti, la destra più estrema. Il problema è “semplice”: che ci fanno, si chiedono socialisti e verdi, due politici di destra in un governo di centrosinistra?
La “colpa” è un po’ di tutti
Di fronte a questa “domanda”, si è fermato tutto. Questa volta la colpa sta un po’ da tutte le parti perchè è figlia di cambi politici repentini - l’avanzata delle destre in tutta Europa e nel mondo - che non rispecchiano più la maggioranza politica di centrosinistra - Ppe, Pse, Liberali e Verdi - che ha scelto von der Leyen e Roberta Metsola come garanti del governo e del parlamento europeo. Il voto è stato a giugno, i top jobs, i vertici europei sono stati decisi a luglio, sei mesi possono essere un’era geologica in politica. E così è stato. In realtà i primi segnali che il voto delle Commissioni su commissari e vicepresidenti si sarebbe complicato più del previsto, è arrivato martedì a fine mattinata quando, in contemporanea con l’audizione di Fitto, veniva sentita la spagnola socialista Teresa Ribera che ha la vicepresidenza esecutiva com superdelega al Green deal, all’Industria e all’Energia. Ribera è finita sotto attacco dei Popolari, guidati dagli spagnoli per l’alluvione e i morti di Valencia: le hanno chiesto le dimissioni qualora dovesse essere rinviata a giudizio per quella tragedia. Una pretesa a cui il Pse ha detto no. In risposta i Socialisti e democratici, anche loro guidati dagli spagnoli, hanno alzato la posta: non solo contro il ruolo di vicepresidenza a Raffaele Fitto (Ecr) e contro la nomina dell'ungherese Oliver Varhelyi ma minacciando anche di non votare la Commissione von der Leyen perchè “il Ppe di Manfred Weber ha abbracciato la destra” per una maggioranza alternativa. I liberali accusano i loro compagni della piattaforma - socialisti e popolari - di essere irresponsabili e di mettere a rischio il progetto centrista.
Il problema è “politico”
Ieri, il nuovo tentativo di mediazione di Von der Leyen è finito con un nulla di fatto. “Non c'è accordo, confermiamo il voto contro Fitto e Varhelyi” ha ribadito Stefan Lofven, presidente del Pse. “Non possiamo accettare che il Ppe tradisca la maggioranza pro-europea a favore di un’alleanza alternativa di estrema destra. Se il Ppe vuole questa nuova maggioranza, allora deve assumersene la responsabilità. Non è una sorpresa, lo diciamo da sempre: non accetteremo l’estrema destra al tavolo”. In serata poi la precisazione: iI Pse, di cui il Pd è la delegazione più numerosa, voterà cinque vicenresidenti ma non Fitto che, se von der Leyen accetta, passerà con i voti della destra. E’ un pessimo segnale quello che stando l’Europa. “L’incursione di Musk che vorrebbe licenziare i giudici italiani e le votazioni sui vicepresidenti della nuova Commissione von der Leyen danno nell’insieme un’immagine di debolezza che non fa bene all’Italia e neppure alla Ue” scriveva ieri Massimo Franco sul Corriere della Sera. Di meglio in poche righe non si poteva dire. Le destre e i populisti, che tifa per la democrature invece che per le democrazie - una folta schiera di capi di stato che vede in prima fila Putin e a ruota Trump - in questo momento si sta godendo la scena con tanto di pop corn. In tutto questo a farne le spese è il povero Fitto, forse il pezzo migliore del governo.
Ursula, Andreotti e il “doppio forno”
Il punto è che la vicepresidenza a Fitto è considerata da socialisti e liberali la certificazione che l’asse politico della maggioranza nata in Parlamento a giugno quando è stata votata von der Leyen si è spostato decisamente verso destra. In queste settimane, ad esempio, ci sono state una serie di votazioni in cui il Ppe si è schierato con Ecr e Patrioti. E sempre di più von der Leyen è sembrata una novella Andreotti alle prese con il più classico dei due forni: una volta si vota con la destra e una volta con la sinistra a seconda dei dossier. Maggioranze alternative. Prendere a bordo i meno peggio - i Conservatori - nella speranza che i Patrioti si sgonfino cammin facendo. Ma un segnale di collaborazione, di fronte ai risultati elettorali Ursula von der Leyen deve darlo.
Meloni ritrova la voce
In Italia è piena polemica. Giorgia Meloni, che tace in modo clamoroso di fronte alle invasioni di campo dell’amico Musk a cui invece ha risposto per le rime il Capo dello Stato, ieri ha subito ritrovato la parola di fronte ai veti per il pupillo Fitto per il cui incarico si era vantata in lungo e in largo perchè il suo governo, pur non avendo votato von der Leyen, aveva ottenuto la vicepresidenza esecutiva per Fitto. “Altro che isolamento del governo italiano” aveva detto. Tre settimane fa però, nelle comunicazioni al Parlamento prima del Consiglio europeo, aveva iniziato a preoccuparsi: “Mi dicono che le sinistre non voteranno Fitto. Chiedo al Pd, che del Pse è la componente più numerosa, se veramente sarà capace di remare contro gli interessi del Paese”. E’ lo stesso argomento che la premier ha usato ieri. “Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein: a Raffaele Fitto, commissario italiano, va tolta la vicepresidenza della Commissione che la presidente von der Leyen ha deciso di affidare. L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra”ha scritto su X.
Il voto finale a fine novembre
Le cose non stanno così. Il problema è politico. E Meloni lo sa molto bene visto che quando era all’opposizione ha usato ogni mezzo per affermare la sua diversità e alterità. Nel 2019, ad esempio, il gruppo Ecr, in cui c’è Fratelli d’Italia, votò a favore di Gentiloni nella Commissione e poi in aula contro la Commissione del von der Leyen 1. “Ci deve dire chiaramente se l'asse si sta spostando a destra” ha ripetuto il capo delegazione dei dem, Nicola Zingaretti.“Ora Meloni basta con le favolette. Nel 2019 eri contro la nomina di Gentiloni a commissario europeo e organizzavi addirittura una protesta davanti a Palazzo Chigi. Oggi ci vuoi dire che bisogna votare Fitto senza se e senza ma perchè altrimenti siamo contro l'interesse nazionale. Gli Italiani sono stanchi di queste prese in giro” ha replicato l'eurodeputato Pd, Dario Nardella. Difficile dire come andrà a finire. Anche nel Pd ci sono opinioni diverse. La preoccupazione principale è danneggiare l’immagine dell’Europa che proprio in queso momento deve essere più compatta ed efficiente di smepre. Il Ppe, del resto, tutto vuole tranne che ritrovarsi a votare solo con le destre. Se in qualche modo dovesse passare la ratifica dei vicepresidente ( a pacchetto, come chiede von der Leyen; o separati come vuole il Pse), la parola finale toccherà al Parlamento in seduta plenaria a fine novembre. E a Strasburgo il voto sarà segreto.