Corsa al Colle. La rivincita del peone. Le schede bianche non sono quante devono essere
Il parlamentare ignoto si ribella ai big e si diverte. Il primo scrutinio lo perde ‘Bianca Scheda’: 672 voti sono 250 in meno di quelli che dovevano essere, una debacle per i partiti
Quando il presidente della Camera, Roberto Fico, alle 21.41 de la tarde, legge il risultato del primo scrutinio capisci che o la Sorte è assai beffarda oppure il ‘regno del peone’ ha colpito ancora. Sulla carta, il partito di ‘Bianca Scheda’, come viene affettuosamente chiamata da tutti (il precedente, ovviamente, lo ha scovato il dem Stefano Ceccanti, deputato cult, che ripesca un archivio teche Rai in cui nel 1992 veniva intervistata Bianca Scheda, vecchina emiliana), godeva, sulla carta, di ben 917 voti, contando i tre blocchi sui quali poteva basarsi: 455 voti del centrodestra, 413 del centrosinistra, 49 centristi, e senza neppure contare i gruppi minori che dovevano accordarsi (altri 20/30 almeno) per circa 950 voti abbondanti, dunque. Invece, le schede bianche risultano appena 672, cioè esattamente 245/275 voti in meno di quanti ne dovevano risultare, all’ingrosso, e guarda caso a un soffio (un voto) dalla maggioranza qualificata, fissata appunto a 673 voti su 1009 Grandi elettori che ieri in realtà erano solo 1008.
Una debacle, per tutti i grandi partiti che non controllano i loro parlamentari. Non solo i 5S, ma proprio nessuno, dal centrodestra fino al Pd. Su 1009 Grandi elettori - scesi a 1008 solo ieri, perché il quorum sarà reintegrato oggi con il primo dei non eletti che subentrerà al deputato azzurro Fasano, deceduto, e appena 976 votanti (ben 32 gli assenti, il numero più alto nella storia) i ‘conti’ dei partiti fanno acqua da tutte le parti.
Un tripudio di schede nulle e di voti dispersi
Con ben 49 schede nulle e ben 88 voti dispersi – altri due record – il tripudio dei voti ‘scherzosi’ o ‘in libertà’, ma molto pericolosamente in libertà, il più votato è l’ex magistrato Paolo Maddalena (ma doveva contare su un pacchetto di 40 voti e ne prende solo 36), seguito a ruota – smacco nello smacco – dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella (appena 16 voti, e meno male che tutti lo rivolevano Presidente…). Poi Marta Cartabia con 9 preferenze e Silvio Berlusconi con 7. Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini ed Elisabetta Casellati hanno ricevuto 2 voti ciascuno. Poi, ancora, è una festa, ma della presa per i fondelli altrui. Si va dai magistrati Carlo Nordio e Nicola Gratteri alle donne Elisabetta Belloni e Marta Cartabia, dai politici Silvio Berlusconi, Ettore Rosato, Umberto Bossi, Pierluigi Bersani, fino a Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Marco Cappato (e spunta anche un – fu - Bettino Craxi).
I peonese e il regno del ‘fu’ Conte Mascetti…
Per il resto, siamo nel regno del ‘conte Mascetti’, il protagonista di “Amici miei” che, quando fu votato per la prima volta, a una elezione quirinalizia, fece epoca. C’è chi pesca nel mondo del giornalismo (Bruno Vespa in testa ma anche Alfonso Signorini e Claudio Sabelli Fioretti) e dello sport (Claudio Lotito) e chi in quello dello spettacolo vero e proprio (Amadeus, Signorini).
La verità politica: il Parlamento è in rivolta ed è già il regno di un black out tecnico e politico
La verità politica, però, è un’altra e dice che, prima di accordarsi nelle segrete stanze tra loro, i leader e il futuro Presidente – Draghi in testa – devono conquistare i favori di un Parlamento riottoso e malmostoso, non facile a concedersi, perché teme una sola cosa: il voto anticipato, il vitalizio che non scatta, lo stipendio che sfuma.
Da questo punto di vista, il black out che irrompe in tutto il Palazzo e che terrorizza i cronisti almeno quanto i parlamentari, a tarda sera, quando i giornalisti devono lavorare e i politici chattare con la fidanzata o chiamare la mamma per chiederle se l’ha visto votare, mentre la giornata volge al buio della sera e fuori dal Palazzo fa un freddo cane, fa il paio con il black out che va in onda nel primo scrutinio. Eppure, le operazioni di voto vanno avanti in modo spedito e l’emergenza Covid, non fosse che per quel piccolo nugolo di Grandi elettori ‘poveri cristi’, cui tocca votare nel garage della Camera (votano in 22 su 30), neppure si sente.
Il Transatlantico è pieno come un uovo, ma i parlamentari si muovono a gruppi, stile stormi
Il Transatlantico è pieno come un uovo, anche se – causa il voto per scaglioni – meno che nelle grandi occasioni precedenti. Quello che non va è l’umor nero dei parlamentari, del peone medio. Il quale si sente così sfrattato e defraudato del suo potere che, nella sola occasione in cui può davvero contare (l’elezione del Capo dello Stato) grazie al voto segreto e al ‘potere’ di diventare ‘franco tiratore’, decide di prendersi la rivincita. Ieri almeno, è andata così, da oggi, invece, chissà.
I parlamentari, come sempre, si muovono a piccoli gruppi come gli uccelli migratori. I dem coi dem, i leghisti coi leghisti, i meloniani sempre tra loro (e sempre assai torvi, sempre arrabbiati col mondo e sulle loro), i pentastellati poi una Casta nella Casta, chiusi in un un maso chiuso trentino, una specie di ‘setta’, peggio che fossero di Cl, solo che sono divisi in tante parrocchiette diverse. Insomma almeno, il leghista Volpi (giorgettiano) parla con il dem Palazzotto (“lo stimo molto”), che pure viene dalla sinistra più radicale, Molteni – fedelissimo di Salvini - parlotta con Mirabelli (Pd tendenza Franceschini) e Di Maio lo salutano un po’ tutti, specie non 5s. Solo i pentastellati, appunto, parlano solo tra loro. Ma, ovviamente, è anche la giornata dei tanti big.
Letta, low profile, neppure ti accorgi che c’è. Renzi ‘punta’ i cronisti. Salvini è sempre fuori
Alcuni leader, per la verità, neppure ti accorgi che ci sono in Parlamento, eppure ci devono pur venire a votare, quando scatta la loro, di chiama. Enrico Letta vota e nessuno se ne accorge, ma ha parlato molte volte al telefono con tutti, Draghi in testa, ha visto Salvini (è andata bene, dicono), ha incontrato più volte Conte, ma non si vede, non si sente, le voci dal Nazareno sono pochine. Low profile. Il povero Conte, fuori dal Palazzo, è costretto a starci, stile la povera Sonia Cunial che, senza Green Pass e senza manco aver preso il Covid, è fuori dal Palazzo che protesta perché non può entrare e vuole fare – l’ennesimo – ricorso alla Consulta per invalidare tutto il voto. Conte, invece, vede un po’ tutti (Salvini, Letta), sente pure Draghi, al telefono, ma alla Camera, niente, non entra. Manco potrebbe farlo, povero. Nei 5Stelle non lo ascolta nessuno, fa tenerezza. Salvini è un altro che neppure ti accorgi se e quando ha votato (probabilmente non l’ha fatto, pare), però fuori è attivissimo, parla a favor di telecamera ogni piè sospinto, voleva tener riservato un solo incontro, quello a Chigi da Draghi, ma stavolta gli dice male, non è fortunato e lo beccano che entra a Chigi come Enrico VII entrò a Canossa, ma pare che dentro si ribelli. L’incontro sarebbe andato malissimo, alza il prezzo, Salvini, vuole sempre di più, vuole tutto. C’è chi dice che voglia far saltare la trattativa. O è un baro molto abile o è una strategia kamikaze.
Renzi, come sempre, ‘punta’ i giornalisti come un toro che vede il drappo rosso nell’arena, li cerca, li sfida, li stana, non può fare a meno di loro: circondato dai suoi fedelissimi (Bonifazi, Carbone) vuole parlare a tutti i costi. Offre lezioni di realpolitik (e di bassa cucina) a tutti, a partire da Draghi, a costo zero: “Devi riunire i leader di partito, li devi convincere, devi fare politica, se ti vuoi fare eleggere presidente”. Tradotto: Draghi lo va facendo tardi e pure male, dubito che riesca.
Di Maio circondato, il big dem preoccupato
Ma sul taccuino del cronista restano altri big – e molti peones – che attraversano il Transatlantico, alcuni euforici, altri molto ansiosi e preoccupati.
“Stiamo scivolando verso l’elezione di Draghi al Colle. Non che sia un male, ma se è così il M5s non ha toccato palla” dice, beffardo (verso Conte) il ministro Luigi Di Maio in Transatlantico, assediato da questuanti, colleghi e cronisti proprio come nella scena clou del “Divo” di Sorrentino.
“Draghi al Colle? Non è per nulla fatta, anzi” – dice, all’altro capo del Transatlantico il ministro dem, un big del partito che la sa sempre lunga - . La Lega e FI stanno alzando troppo la posta. Per me vogliono impedire che lui ci vada, al Quirinale, fingendo di giocare a braccio di ferro sul governo. Può darsi si finisca lì, certo, su Draghi, ma vedo ancora alte le fiches di Casini. Se non si chiude su Draghi, ci sarà un politico, perché questo è il luogo della Politica e Casini ne è il miglior interprete, a detta di tutti, noi e altri”.
E’ in questa oscillazione di due estremi – in un gioco delle parti che, tra i due ministri big, uno del M5s e uno del Pd, entrambi di antica o nuova sapienza democristiana – che si gioca la lunga giornata di trattative che, in contemporanea stereofonica con le votazioni che vanno avanti rapide nell’aula, dovrebbe finire con l’elezione di Draghi al Colle, ma non è mica detto che sia così. Certo, non nei primi tre scrutini, ma dal quarto in poi forse chissà, nessuno ha più certezze specialmente quando, a sera, si apre l’insalatiera.
Il riassunto di una giornata ordinata e inutile
Delle troppo poche schede bianche s’è detto, dei voti a Maddalena pure (una giornalista, in tv, dice: ‘Hanno votato in 36 una certa Maddalena’, sic), del pugno di consensi per Mattarella pure, dei voti ‘giocosi’ per farsi beffe dei propri big sì.
Il Transatlantico è tirato a lucido, ma la Buvette fa, ormai, un servizio pessimo: cocktail pessimi (e cari), tramezzini orrendi, plexiglass dappertutto. Il tendone di plastica bianca montato nel cortile è un catafalco inutile, enorme, nessuno ci sta dentro anche se dentro si sta al caldo, e tutti fanno il giro per poter guadagnare l’unico angolo dove si fuma e che è preso di mira da tutti, solo posti in piedi. Per il resto, in Transatlantico, tutti parlano con tutti ma la solennità del momento non si sente, solo le donne azzurre sono vestite come alla sfilata di ‘Milano vende moda’, i grillini fanno pena, qualche giornalista cerca la mise azzardata, i più gelano fuori dal Palazzo a fare le dirette e gli altri dentro smadonnano perché il wi-fi è saltato.
Insomma, il primo giorno di scuola è stato inutile, la chiama è andata a vuoto, un pesarsi e basta, ma che dovrebbe fare drizzare le antenne ai vari big.
“Draghi premier? E' un nome che alla fine puo' uscire” dice Umberto Bossi, che vota per primo, seduto su una carrozzina, fa una tenerezza infinita con il suo sigaro che non fuma più tra le labbra e tutti – da Bersani a Calderoli, dai leghisti ai dem – che vanno a salutarlo, omaggiarlo, rincuorarlo. E’ l’ultimo vecchio leone che ha visto la Prima Repubblica morire e la Seconda nascere, e nel vederlo ci ha messo molto del suo, ora è sfiancato e non ruggisce più, ma è un gigante in mezzo ai nani, questo lo sanno tutti, compresi i neofiti 5s.
Per il resto, assai poco da dichiarare. Tutto si è svolto in maniera ordinata e spedita, tanto che la seduta è stata sospesa per alcuni minuti a più riprese per rispettare le fasce orarie prestabilite per il voto a scaglioni dei grandi elettori. Solo un paio gli incidenti. Quello al "drive-in" predisposto nel parcheggio della Camera dove è stato rifiutato l'ingresso alla senatrice no-vax Sara Cunial (Misto) che si è presentata al seggio senza il certificato verde. E il black-out del sito Internet di Montecitorio, avvenuto intorno alle 18:30. Oggi, sempre alle 15, si attende la seconda votazione, ma dovrebbe andare come la prima. Tante bianche, ma non troppe, e tanti scherzi, per far spaventare i big (e Draghi). I peones, felici, si riprendono la scena. Stavolta, ruggiscono loro. Forse per poco, due o tre votazioni, ma vuoi mettere la soddisfazione di impaurire i capataz?