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Corsa al Colle. I parlamentari hanno minori diritti dei normali cittadini? Se votano il Presidente sì

Il sacrosanto diritto di voto che vale sempre per i normali cittadini che possono votare con il Covid o senza, negli ospedali o nelle carceri, ‘non’ vale per i parlamentari della Repubblica

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Aula Senato
Aula Senato (Foto Ansa)

I parlamentari sono non ‘più’ uguali – cioè più ricchi, più coccolati, più vezzeggiati, più comodi degli altri, la gens normale, i cittadini normali – in senso orwelliano, degli altri, cioè più privilegiati, ma hanno minori e più limitati diritti dei normali cittadini, specie quando devono recarsi al seggio elettorale per votare ed eleggere? Sì, a costo di passare per dei ‘fanatici’ dei ‘privilegi’ della Casta, scopriremo che è così. Il sacrosanto, inalienabile, intangibile e intoccabile diritto di voto che vale sempre – e in ogni condizione, favorevole o avversa – per i normali cittadini, i quali possono votare con il Covid o senza, negli ospedali o nelle carceri, malati e a casa oppure - belli sani - andando ai seggi, ‘non’ vale per i parlamentari della Repubblica. Neppure quando devono eleggere il Capo dello Stato della Repubblica italiana. Il che è assurdo, ma è così. Un esempio plastico per spiegare come è possibile che una tale assurdità sia effettiva.

Il voto al collegio Roma 1 

Il 16 gennaio 2022 si vota nel collegio di Roma 1 per le elezioni suppletive che dovranno decretare il successore di Roberto Gualtieri, diventato nel frattempo sindaco di Roma, alla Camera dei Deputati in quello specifico collegio uninominale. Voi direte, ‘e chi se ne frega’? beh, Innanzitutto anche quel seggio serve a comporre il numero dei Grandi elettori che andranno a eleggere il prossimo capo dello Stato, il 24 gennaio 2022. Insomma, un suo valore politico ce l’ha. Peraltro, il numero pieno dei 1009 Grandi elettori (630 deputati, 321 senatori, 58 delegati regionali) sarà toccato proprio con l’elezione al collegio Roma 1 mentre già la prossima settimana verrà ratificata l’elezione del senatore Fabio Porta (Pd) in luogo del deputato Adriano Cario, eletto all’estero nella circoscrizione America del Sud e dichiarato decaduto dal Senato per accertati brogli elettorali. Dunque, dagli attuali 1007 Grandi elettori si arriverà a 1009, belli tondi tondi, precisi precisi. In teoria, perché – come si sa, si legge, si scrive, ormai da giorni – il plenum e persino il quorum (673 voti i primi tre scrutini, 505 dal IV scrutinio) e financo il numero legale della votazione del 13 presidente della Repubblica è messo a serio rischio dalla falcidia del Covid, dalla mannaia di Omicron che si sta abbattendo, come un missile aria-terra, sul Palazzo di Montecitorio, ridotto ormai a un sanatorio, se non a un lazzaretto.

A Roma 1, intanto, i partiti si interrogano sull'affluenza (alle ultime suppletive del marzo 2020, nello stesso collegio, si raggiunse appena il 17%) ma guardano alle urne capitoline anche come un primo test politico. Si confrontano centrosinistra (D’Elia), centrodestra (Matone) e centristi (Casini). Una sorta di prova generale in vista dell'elezione del Presidente della Repubblica, dal 24 gennaio. Ma a palazzo Montecitorio, a differenza di quanto accadrà domenica, a deputati, senatori e rappresentanti regionali sarà richiesto il Green Pass (normale). Ai seggi elettori del Municipio di Roma 1 no… (decide, si capisce, il ministero dell’Interno, non certo il comune di Roma e neppure il Municipio).

Insomma, le ‘regole’ sono fatte a capocchia. Nel senso che, per entrare nel seggio e nella cabina elettorale, davanti al presidente di seggio e ai suoi scrutatori, accanto e in fila con tanti altri elettori, facendo slalom tra poliziotti presenti ai seggi e addetti vari alla regolarità delle operazioni di voto (rappresentanti di lista), stampa (giornalisti, troupe radio-tv) e pure curiosi vari bighellonanti, prendere la scheda elettorale, previa presentazione del documento d’identità valido, entrare nella cabina, compilare la scheda, piegarla, uscire, infilarla nell’urna, salutare e andarsene via - ebbene, per fare tutto questo, non servono tamponi né Green Pass, normali o super, non serve manco essere negativi al Covid

Come se il Covid non fosse mai scoppiato, anzi come se non fosse proprio mai arrivato in Italia, neppure mai nominato, come se fossimo in un film di fantascienza all’incontrario, in un futuro distopico (esempio: “L’uomo nell’alto castello”, in italiano tradotto come “La svastica sul Sole”, romanzo di Philip Dick, da cui è tratta e sta andando in onda l’omonima serie su Amazon: nazisti e giapponesi la Seconda Guerra mondiale l’hanno vinta, non persa, e la Resistenza che opera a costo di terribili sacrifici negli Usa occupati da entrambi i due Paesi vincitori prova a dimostrare che è possibile vivere un ‘passato alternativo’ e, dunque, immaginare altri futuri…), la ‘regola’ è che per votare alle elezioni – almeno a quelle politiche – scopriamo che ‘NON’ serve il vaccino, figurarsi il Green Pass, normale o super. Nemmeno un tampone negativo, serve.

Il diritto di voto deve essere “inalienabile”

A fronte della stretta già varata dal governo Draghi per contrastare l'avanzata della variante Omicron e i pericolosi residui della Delta, per votare alle Suppletive del centro storico del 16 gennaio non bisognerà mostrare il Green Pass e neppure esibire certificati di igienici o molecolari. Insomma, si può essere positivi al Covid, malati, malatissimi eppure recarsi a votare. Basta indossare la mascherina, esibire il consueto documento d'identità e la tessera elettorale (valida, almeno questa, si deve esserlo) per esprimere la propria preferenza nella sfida per assegnare il posto liberato alla Camera.

Come è possibile? “Semplice – risponde il deputato del Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti (ha ereditato la cattedra di diritto costituzionale di Giuliano Amato, in procinto di diventare, il 28 gennaio, presidente della Corte costituzionale, tra i papabili nella corsa al Colle) – il diritto di voto attivo, cioè dei cittadini di votare, è sacro e inalienabile. Non può essere compresso in alcun caso e in alcun modo, come prescrive la Costituzione” nota Ceccanti. Ma come è possibile, allora, che i parlamentari della Repubblica abbiano meno diritti di un cittadino ‘normale’? Qui, però, Ceccanti allarga le braccia.

Infatti, non solo un cittadino, Covid o non Covid, ha diritto al voto pieno e intangibile, ma può pure votare – se malato, fisicamente impedito, etc. – a casa o in un seggio ospedaliero, casa di cura, etc. Insomma, viene fatto – normalmente – di tutto per permettergli di votare e agevolarlo nel voto.

Il parlamentare, invece, ha molti meno diritti 

Invece, un parlamentare della Repubblica o è presente fisicamente alla seduta dell’aula e in quell’esatto luogo fisico (Camera per i deputati, Senato per i senatori, sempre Camera i Grandi elettori del Presidente) oppure il suo diritto di voto non può esercitarlo. Così è, e da sempre. Nelle due Camere vale il principio aristotelico di “unità di spazio, di tempo e di luogo”: devi essere fisicamente presente in Aula per esercitare il tuo diritto di voto (favorevole, contrario, astenuto). Se non sei in Aula, quando si vota (una legge, un governo, un Presidente della Repubblica) o sei ‘in missione’ (cioè in assenza giustificata da varie cause) oppure sei in assenza ‘ingiustificata’, perdi il diritto alla ‘diaria’ (cioè la parte dello stipendio legata proprio alle presenze in Aula) e viene conteggiato tra gli assenti. Ma fai o meno quorum, con la tua presenza o la tua assenza?

Dipende. Di solito, il quorum si calcola sui presenti e solo in casi molto rari la maggioranza, e i relativi quorum, vengono calcolati in base al numero dei componenti dell’assemblea (plenum) e non in base al numero semplice dei presenti (maggioranza semplice) alla seduta. Pochi sanno, per dire, che la fiducia al governo, atto fondante di ogni legislatura e di ogni Parlamento, si vota a maggioranza semplice: la maggioranza assoluta, cioè quella dei componenti di ognuna delle due assemblee non è necessaria (in soldoni, 316 voti alla Camera, 161 al Senato).

Ma quando si vota per il Capo dello Stato allora sì che lo è, necessaria, la maggioranza assoluta (50+1 dei voti) e, in questo caso pure quella qualificata (due terzi), degli aventi diritti al voto. In questo caso, sono 673 e 505 voti su un totale di un plenum che è di 1009 Grandi elettori e che bisognerebbe agevolare in tutti i modi, per aiutare e favorire la loro presenza. E invece…

Le soluzioni alternative vengono bocciate

Invece, tutte le diverse soluzioni proposte (voto a distanza, voto in luoghi fisici, cioè aule, diverse dall’aula della Camera, tra Camera stessa e Senato, commissioni e aule, palazzi circostanti, voto per i malati in un ‘Covid hotel’ apposito) proposte sempre da Ceccanti e avallate anche da un luminare del diritto come Sabino Cassese, come da altri costituzionalisti di vaglia (il prof. Francesco Clementi e altri), vengono rifiutate una via l’altra dagli uffici di palazzo Montecitorio (ufficio di Presidenza e collegio dei Questori) perché ritenute tutte non idonee o non sufficienti.

Ieri, in tv, Clementi ha proposto dei percorsi ad hoc anche per i parlamentari isolani che devono – dovrebbero – recarsi a Roma per poter votare il nuovo Presidente. Ceccanti invece propone un Covid hotel, magari all’hotel Montecitorio (si trova sempre nella piazza antistante la Camera) per i parlamentari malati o in quarantena. Entrambi propongono ingressi differenziati e speciali per permettere ai malati di votare il Presidente perché, altrimenti, tale diritto non potranno proprio esercitarlo. E i malati potrebbero essere tanti: sono 50 solo alla Camera, possono diventare almeno cento, forse duecento. I quorum, però, resteranno identici, ergo ottenerli – per qualsiasi candidato – sarà assai più arduo. La legittimità e democraticità di un voto così importante, cruciale e decisivo ne sarà inficiata, intaccata, villipesa e, in futuro, messa in dubbio.

Il problema dei parlamentari isolani (no-vax)

Le norme – rigidissime – della Camera dei Deputati dicono che senza temperatura sotto i 37,5 gradi non si entra, senza tampone igienico o molecolare negativo neppure e che, da tre mesi, in più serve il Green Pass per circolare in aula. E, dato che è entrato in vigore quello ‘rafforzato’, la Camera potrebbe estenderne a sua volta presto l’uso e obbligo come già fatto per il Green pass. Idem al Senato. Ora, va bene tutto, - i Politici fanno schifo, sono degli scansafatiche, si rubano lo stipendio, vogliono solo mantenere la poltrona e via elencando la propaganda grillina anti-Casta - ma come è possibile che un parlamentare abbia meno diritti di un normale cittadino-elettore?

Il prof Clementi ci conferma inoltre che, come ha detto ieri in tv, ospite da Lucia Annunziata, a In mezz’ora (Rai 3), che senza “lasciapassare”, cioè fino a pochi giorni fa il Green Pass e, da tre giorni, il Super Green Pass, è obbligatorio per chi dalle Isole ha intenzione di raggiungere Roma, parlamentari compresi “perché nei decreti non è prevista una norma ad hoc per loro, norma che, invece, andrebbe prevista e inserita, in sede di conversione del decreto, per permettere loro almeno di votare il prossimo capo dello Stato. Le prerogative parlamentari non ‘bucano’ questo punto (il 3GPass). Per questo bisogna garantire loro di arrivare a Roma per votare il Presidente. Poi se li fanno entrare a votare o li tengono in un seggio ad hoc esterno, devono deciderlo loro”.

Infatti, al netto del fatto che a sollevare il caso, e a ciurlare nel manico, sono alcuni parlamentari sardi e siculi ex M5s oggi fieramente no-vax (stanno nel Misto e, in particolare, nel sottogruppo di Alternativa c’è) e che dunque sollevano il problema in modo assai strumentale, resta il punto: per chi deve prendere un treno, un aereo, un traghetto il Super Green Pass è obbligatorio anche se sei parlamentare. Senza, a Roma non ti ci avvicini né ci arrivi neppure perché i famosi ‘mezzi propri’ (auto, moto) non bastano per valicare mari, stretti, guadare isole. Ergo, devi essere tre volte vaccinato. Il che è giusto perché impedisce qualsivoglia corsia preferenziale rispetto agli altri cittadini ma dall’altro è sbagliato perché, appunto, un cittadino malato o impossibilitato a muoversi può votare, comodamente, ‘da casa’. Un parlamentare della Repubblica non può farlo. Ci resta, ‘a casa’, senza poter partecipare all’elezione del Presidente specie se viene dalle Isole e non ha il Green Pass (ora pure quello super), il che è assai poco ‘civico’ per un parlamentare che, in questo modo, rivela di non essersi voluto vaccinare, ma non è bello e inficia la rappresentanza di intere regioni. Il che, francamente, a pensarci, è davvero assurdo

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
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