[L’inchiesta] “Scroccone, spregiudicato e inaffidabile. Vi racconto chi è davvero Gianfranco Fini”
Ecco le carte delle confessioni del re delle slot ed ex deputato Amedeo Laboccetta che davanti ai giudici racconta il suo rapporto con l’ex leader di Alleanza Nazionale. Le trame contro Berlusconi e la profezia di Almirante
E' un ritratto impietoso di Gianfranco Fini, già presidente della Camera e vicepresidente del Consiglio, quello che esce dalle carte dell'inchiesta sull' associazione per delinquere che riciclava in tutto il mondo i proventi dell'evasione fisscale sul gioco on line e sulle videolotterie. Ce lo offre un suo stretto sodale e poi feroce avversario, come spesso succede negli strappi politici che lacerano anche rapporti umani. Amedeo Laboccetta, arrestato dall'Antimafia nel dicembre 2016 insieme a Francesco Corallo, principale imprenditore delle slot machine e re dei casino ai Caraibi, si vanta con i giudici che lo interrogano: "Io ho fatto 50 anni di appassionata militanza politica a destra". Sembra di rileggere i verbali di Antonio Mancini, l'Accattone della banda della Magliana: "Dovete trattarmi con rispetto. Io sono un mito della malavita romana". E certo è del tutto inconsueto, di questi tempi, la linea difensiva di un detenuto che per respingere le gravi accuse di riciclaggio internazionale invochi la nobiltà del suo impegno politico. Certo, ha fatto buone scuole: "Io sono entrato in consiglio comunale a Napoli nel 1983. Il sindaco era il comunista Valenzi. Per il Msi Giorgio Almirante, per i socialisti Giulio di Donato, per i liberali c'era Di Lorenzo, per i repubblicani Galasso e Pannella per i radicali". Metà di questi leader sono stati travolti da Tangentopoli.
La profezia di Almirante
Per distruggere l'immagine politica di Fini, Laboccetta non esita a rievocare con i giudici un incontro di 30 anni prima con Giorgio Almirante, privo di rilievo processuale: "Io ero il segretario del Msi di Napoli, una federazione potente. Eravamo contrari al fatto che Fini diventasse il leader perché era sciatto, pigro, non in grado di creare un partito. Almirante ci ricevette a casa sua e ci rassicurò: 'Fini prima di andare al partito ogni mattina verrà a casa mia, qui dove siete seduti voi e sarò sempre io a spiegargli quello che deve fare". Un anno dopo Almirante muore e Fini diviene il dominus del partito che controllerà per vent'anni, guidandolo nel passaggio dal Msi ad Alleanza nazionale. E Laboccetta riferisce anche una "profezia" di Almirante sul suo pupillo: "C'è un motivo per il quale non dovete preoccuparvi, come state facendo, in maniera esagerata. Prima che capiranno chi è veramente Fini passeranno 20, 30 anni". Nonostante la profonda disistima, Laboccetta stringe con il nuovo leader un sodalizio molto stretto, in cui lui stesso si sente chiamato a rispondere alle "richieste imbarazzanti" del capo:
"Nell'estate del 2004 - racconta Laboccetta ai giudici - io ricevo una telefonata dall'onorevole Gianfranco Fini che non sentivo da tempo e quindi mi meraviglia: 'Amedeo ma tu che vai spesso nei Caraibi, nell'isola di San Martin sai dirmi se li è possibile fare delle immersioni interessanti? Ma sapresti organizzarmi una bella vacanza a San Martin?'. Preso d'amblé risposi da spaccone: 'e che problema c'è?".
Lo scroccone e il mecenate
Il problema c'era e così Laboccetta si rivolge al suo amico Francesco Corallo, che ha "molto piacere" di risolverlo: ospita a sue spese il vicepresidente del Consiglio e tutta la sua corte presidenziale (14 accompagnatori) per due settimane, in una delle residenze più belle dell'isola. Nascerà in quell'occasione spensierata un sodalizio che poi interesserà anche la maxinchiesta. Tra gli indagati ci sono anche Sergio e Giancarlo Tulliani, suocero e cognato di Fini. Nel maxiriciclaggio da 200 milioni legato alle slot entra anche la vicenda della casa di Montecarlo di proprietà della Fondazione Alleanza nazionale, comprata a prezzi stracciati dal cognato di Fini. Secondo quanto accertato dai pm di Roma, Giancarlo Tulliani avrebbe messo a disposizione di uno degli arrestati, Rudolf Baetsen (ritenuto “braccio destro di Corallo”), due società offshore per far transitare i soldi destinati alle Antille.
Nell'estate del 2004 Corallo è un perfetto sconosciuto in Italia ma ha appena vinto un pezzo importante della gara per la gestione delle slot machine, mettendo assieme in poche settimane un formidabile consorzio di imprese capace di rispondere ai complessi requisiti richiesti dai Monopoli di Stato per concedere le licenze di gioco. Ha quindi tutto l'interesse a stringere rapporti con la "politica alta".
Quegli scambi di favori
Nell'autunno del 2004 Fini trova modo di disobbligarsi con Laboccetta: si è liberato il migliore collegio uninominale di Napoli perché Alessandra Mussolini ha optato per l'Europarlamento e il leader di An gli offre la candidatura. Ma mezzo partito rema contro: non lo sostengono né il coordinatore regionale di Forza Italia né il proconsole di Fini, Italo Bocchino. Il nuovo Psi che fa parte della coalizione di centrodestra presenta addirittura un suo candidato, che poi diventerà ministro. E così Laboccetta perde per appena mille voti un'elezione data per scontata. Pronto arriva il gettone di consolazione, offerto dal solito Corallo: Laboccetta diventa responsabile della sua società in Italia, una sinecura da 4-5mila euro che gli procurerà guai giudiziari ma che non lo impegna particolarmente come lavoro: "Facevo quello che mi dicevano di fare, non mi rendevo conto di quale fosse il giro di affari, non partecipavo alle riunioni operative in cui Corallo e il suo entourage". Dalle risposte date al gip è evidente che il re delle slot ha fatto un'altra "opera di bene".
"Ti presento un amico"
Nel suo piccolo, però, Laboccetta non intende fare beneficenza a spese della società e così finisce per litigare un'altra volta con il suo leader:
"Gianfranco Fini mi telefona e si fa invitare a pranzo all'antico tiro a volo, un circolo molto prestigioso: 'Senti, Amedeo - mi dice - io ti vorrei presentare un grande immobiliarista romano, so che come società state cercando un immobile a Roma da acquistare. Ti posso presentare questa persona?' L'amico era in realtà il cognato. Laboccetta è stupito dall'intimità tra i due e si innervosisce quando lo scopre qualche giorno dopo, leggendo su Panorama che Fini era fidanzato con la sorella: "Per farla breve, Giancarlo Tulliani mi fece vedere una cosa assolutamente oscena. Gli spiegai chiaramente con educazione ma lui insisteva: 'No, tanto lo deve fare'. E io replicai: 'Giovanotto, lo deve non lo dice a nessuno, sarà pure il cognato di Fini ma questo non mi fa specie'. Ricevetti una telefonata pesante di Fini: 'Allora scusa, non riesco a capire, io ti mando una persona e tu me la tratti addirittura male?'. Usò una frase un po' pesante: o io ho un atteggiamento più benevolo verso suo cognato oppure potrei avere anche difficoltà in prospettiva nei rapporti con la politica". Nel racconto di Laboccetta, quindi, Fini non è "un coglione" come si è definito lo stesso ex presidente della Camera, ma un accanito promoter degli affari di famiglia, cinico e spregiudicato nell'usare il suo potere per assicurare benefici al cognato. Nel 2008, infatti, il politico napoletano riesce a coronare il suo sogno, sfiorato due anni prima (era stato il primo dei non eletti): diventa deputato e finisce il lavoro ma non l'amicizia per Francesco Corallo. Al punto di nominarlo suo assistente parlamentare. Un incarico che il re delle slot non onorerà mai perché si rifiuta di indossare la giacca di ordinanza per entrare alla Camera. Evidentemente si contenta di un tesserino da esibire. Non avrà invece difficoltà a entrare nell'appartamento del presidente della Camera, essendo tra il ristretto numero di invitati per festeggiare il primo compleanno della figlia di Fini e della Tulliani: ci sono i ministri Ronchi e La Russa e lo stesso Laboccetta.
Lo strappo con Corallo
Lo strappo tra i due vecchi amici arriva nel 2011, quando parte la prima inchiesta contro il gruppo Corallo. L'onorevole Laboccetta è presente nella casa romana dell'imprenditore quando arriva una squadra di finanzieri mandati dalla Procura di Milano. E' anche protagonista di un "incidente diplomatico": si rifiuta di consegnare il suo pc e cederà volontariamente alla richiesta, dopo una lunga battaglia procedurale in Parlamento. I vecchi amici smettono di frequentarsi. Corallo, addirittura, gli si nega per anni quando l'ormai ex parlamentare gli chiede aiuto: Equitalia, non riuscendo a perseguire direttamente l'imprenditore per alcune vecchie multe, si è rivalsa sul suo rappresentante dell'epoca, pignorandogli il conto bancario presso la Camera dei Deputati. Un vero duro, il re dello slot, tanto da rifiutarsi di aiutare persino il padre che è in difficoltà. Laboccetta invece ha il cuore buono e si commuove a vedere in sofferenza l'anziano: e così gli fa un bonifico per pagare la sua compagna come cameriera.
"Berlusconi l'ho salvato io"
La rottura tra Laboccetta e Fini è, invece, di qualche anno prima: "Nel 2010 - racconta al Gip - Fini riunisce 38 deputati alla Camera e comunica le sue intenzioni di rompere politicamente con Berlusconi. Io fui il primo di tutti a prendere la parola e spiegai tutta la mia contrarietà. Fini mi interruppe con una provocazione: Tu sei contrario perché ho scelto un altro come coordinatore". In effetti il presidente della Camera designerà come suo braccio destro proprio il nemico giurato di Laboccetta, Italo Bocchino. " Comunque - prosegue la testimonianza - io feci di più, convinsi molti deputati ex An a non partecipare all'operazione". Un'operazione suggerita, a detta di Fini, dal Capo dello Stato: "Fini mi raccontava nei vari colloqui: 'ti devi rendere conto che Napolitano è della partita e quindi bisogna procedere all'eliminazione politica di Berlusconi'. Lui ha tentato più volte di convincere me e io invece ho portato dieci deputati da Berlusconi a non condividere il progetto Fini. E' anche merito mio se il 14 dicembre la mozione di sfiducia è stata respinta per 3 voti e il governo è rimasto in carica per un altro anno". E in effetti Laboccetta è rimasto un fedelissimo di Berluscconi: ricandidato nel 2013 nonostante le indagini milanesi è ancora una volta il primo dei non eletti. E così, malgrado l'arresto di sei mesi prima (annullato dal Riesame), a giugno è rientrato alla Camera, per sostituire l'onorevole Calabrò, passato nel gruppo di Alfano e diventato rettore del Campus Biomedico. Tra i pochi a votare contro le sue dimissioni per impedire il subentro di Labocetta gli ex di An, i Fratelli d'Italia. Fratelli coltelli.