[Il retroscena] Il centrodestra arriverà primo ma non avrà i numeri per governare. Ecco cosa succederà il giorno dopo le elezioni
Il Centrodestra a caccia di voti per fare un governo: mancano quasi 60 deputati. Si fa largo l'ipotesi di Tajani premier e di molti ministri tecnici. Berlusconi: all'economia e alla giustizia meglio non politici. Si ragiona sul piano B, quello di individuare un baricentro diverso della coalizione che consenta un allargamento al centro, di coinvolgere pezzi di centristi alleati col Pd o, meglio ancora, l’intero Pd. Il leader di Fi lancia l'opa sui candidati M5s disconosciuti da Di Maio: "Se vengono da noi terranno tutto lo stipendio". I vertici del Ppe a Roma per lanciare Fi
Ci sono tre ipotesi. La peggiore considerata dai leader di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia è che il centrodestra unito possa raggiungere complessivamente 258 seggi, la migliore è che arrivi a quindici voti dalla maggioranza - che alla Camera dei deputati è di 316 - fermandosi però a quota 301. In tutti i casi analizzati dai sondaggisti di fiducia di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i quattro partiti che compongono il centrodestra (perché c’è pure Noi con l’Italia, la cosiddetta “Quarta gamba”) avranno bisogno di un bell’ “aiutino” per mettere in piedi un governo anche nel caso - probabile - che arrivino “primi” alla meta del 4 marzo.
La “forchetta” va da 65 seggi a 15 al Montecitorio, mica poco. E’ più ristretta a Palazzo Madama dove, con una platea di elettori più anziana, il centrodestra appare in maggior vantaggio e ci sono comunque i senatori a vita sempre pronti a fare da “stabilizzatori”. Ecco perché da giorni gli sherpa dei quattro segretari sono al lavoro per individuare una geometria che consenta di “allargare” il recinto del centrodestra senza snaturare però il programma sottoscritto dalla coalizione nè costringere forzosamente a stare insieme leader politici che hanno poco o nulla in comune come, per esempio, il segretario del Carroccio e quello del Pd, Matteo Renzi.
La soluzione più semplice, qualora le cose dovessero andare molto bene per quella che un tempo si chiamava Casa delle libertà, sarebbe quella di coinvolgere i (per ora) sedici Cinquestelle reietti, ai quali Luigi Di Maio ha fatto già firmare o intende far siglare una “rinuncia all’elezione” che, però, è subordinata ad un voto del Parlamento che potrebbe anche non arrivare mai. Sono nove aspiranti deputati, più Giulia Sarti che si è “autosospesa”, e sette aspiranti senatori. A questi potrebbe aggiungersi addirittura il comandante Gregorio De Falco. Il leader di Forza Italia già ieri sera, ospite di un forum del Corriere, ha costruito ponti d’oro: “Non si dice mai di no a chi dice “sottoscrivo” il vostro programma. Avrebbero l'indennità nella loro totalità”, butta lì. Non solo i prossimi parlamentari già cacciati dal Movimento 5 stelle potranno rimanere al loro posto, ma, addirittura, intascheranno l’intera somma dello stipendio senza dover devolvere niente a nessuno.
Le sirene hanno cominciato a cantare, insomma, ma è lo stesso Cavaliere a dire - nel corso della stessa intervista - che “comunque il centrodestra non avrà bisogno [di aiuti esterni] perché avrà la maggioranza e comunque, se non c’è la maggioranza, si torna alle urne con questa legge elettorale”. Già, ma se da questa tornata elettorale non è uscita una maggioranza, perché dovrebbe nascerne una dopo un nuovo voto, dopo pochi mesi? Ecco la ragione per cui già si ragiona sul piano B, quello di individuare un baricentro diverso della coalizione che consenta un allargamento al centro, di coinvolgere pezzi di centristi alleati col Pd o, meglio ancora, l’intero Pd.
E’ in questo contesto che si sta sviluppando la candidatura a premier di Antonio Tajani. Il presidente dell’europarlamento, che nel 1994 è stato il primo portavoce proprio di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, è prossimo a dire sì. Il leader di Forza Italia, dopo settimane passate a dissimulare, comincia a lasciar trapelare il nome. “Prima delle elezioni sarà giusto dire chi sarà il nostro candidato alla presidenza del Consiglio. Ci sono dei nomi, e se fosse Antonio Tajani avremmo la possibilità di avere un peso in Ue molto importante. Io farò il regista ed il garante del governo”, ha aggiunto sempre nel corso del forum.
A dare manforte all’eurodeputato che è stato anche vicepresidente della Commissione europea ed ha avuto il via libera (timido, ma evidente) anche da Matteo Salvini e dal numero due di Fdi Guido Crosetto, è arrivato da Strasburgo anche Manfred Weber. Capogruppo del Ppe, terrà oggi alla sede della stampa estera a Roma una conferenza stampa per ribadire che la famiglia del popolarismo europeo, quella di Angela Merkel, e dell’ex braccio destro di Nicholas Sarkozy, il francese Joseph Daul, tifa per il “centrodestra a trazione Fi”, e che Tajani sarebbe una grande “risorsa”.
Quello di Tajani è un profilo quasi-tecnico che potrebbe essere digeribile anche da una parte del Pd e di LeU: è di centrodestra, ma non coinvolto nelle schermaglie degli ultimi mesi, fedele al fondatore di Mediaset ma mai considerato come un pasdaran. Se la coalizione composta da Fi, Lega, Fdi e Nci - come pare - arriverà prima e il Pd contenderà al M5s il posto di gruppo parlamentare più numeroso, Berlusconi e compagni dovranno scegliere una squadra di governo in grado di “allargare” la base della maggioranza. Nessuno al Nazareno come a Palazzo Grazioli sembra però convinto che la “vecchia” idea di un accordo Fi-Pd per un governissimo di interesse nazionali possa tramutarsi in realtà, che il Cavaliere e il Rottamatore possano avere i numeri per governare da soli, senza Lega e Fdi o senza coinvolgere LeU.
Lo stesso principio vale per l’economia. Dove lui aveva sempre messo Giulio Tremonti, oggi il fondatore del centrodestra dice di volere un tecnico: “Per fare il ministro dell’Economia serve una persona che conosca a fondo la realtà del Paese fuori dalla politica”, ha sottolineato sempre col Corriere. Niente strappi o corse in avanti, però. “Trovare il nome più adatto sarà responsabilità comune della coalizione di centrodestra e occorrerà trovare il nome su cui tutti si sia d’accordo”, ha aggiunto. La Giustizia? “Non sarà Niccolò Ghedini, ma deve essere un avvocato o un magistrato”. La neo-leghista Giulia Bongiorno?
Nel Pd su questa prospettiva tacciono e il segretario sta lasciando sempre più spazio al premier in carica, Paolo Gentiloni, che ieri, per esempio, ha annunciato una misura popolare come l’esenzione di molti anziani dal pagamento del canone Rai, provando insomma a resistere negli indici di gradimento come può. Col Pd in difficoltà, è difficile però che riesca a rimanere dove si trova. Salvini e Meloni possono “reggere” un governo di unità nazionale con dentro l’ “odiato” Renzi? Difficile. “Io sto lavorando perché si possa avere una maggioranza, cercando consenso al di fuori del nostro perimetro. Io i voti li vorrei recuperare al di fuori, non scippandoci i voti tra di noi. Di certo Fdi non farà inciuci con Pd e M5”, ha ribadito ieri sera la presidente di Fdi. Ma ancora una volta il suo appello ad una “manifestazione unitaria del centrodestra”, “magari il 1 marzo”, rischia di cadere nel vuoto.