Centrodestra e centrosinistra ai blocchi di partenza, si affrontano e lanciano insulti
Tra l’insulto “sei al soldo dei russi!” (Letta a Salvini) e “siete parte del complotto giudo-pluto” (la destra al Pd), la campagna elettorale mostra già il suo volto peggiore. Quello più bieco, basso e volgare. Evitiamo, dunque, di parlarne qui, o diamolo per assodato (i social già rigurgitano).
Letta, che un giorno attacca la Meloni come fosse una piccola ‘ducetta’ che sogna ancora il Ventennio e vuole rifare la ‘marcia su Roma’, e la Meloni (e Salvini) che attaccano la sinistra con la solita tiritera dei ‘comunisti’ rimasti sempre tali (Berlusconi, almeno, con la cantilena del ‘Pci-Pds-Ds-Pd’ aveva dato un senso a quella storia), fanno cadere le braccia agli elettori di entrambi. Letta, comunque, ha chiesto ai suoi “gli occhi della tigre”, altrimenti, è il sottotesto, non ti candido (e molti saranno le urla, i dolori, le lacrime e le sceneggiate napoletane: citofonare, se si vuole, a Marco Meloni, sardo e pure ‘sordo’, a ogni preghiera, corazzato contro ogni lamento). Ora, al netto che gli “occhi della tigre” (The eye of the tiger”) è una citazione poco corretta che arriva dritta dritta da “Rocky III” (è Apollo Creed – ex sfidante di Rocky, diventato suo allenatore, che chiede a Sylvester Stallone di metterli su, se vuole vincere, perché il campione è spompo…), il centrodestra replica con un ‘putiniano’ “Ti spiezzo in due”, cioè la minaccia di Ivan Drago (sfidante di Stallone in “Rocky IV nel confronto che vedeva gli Usa di Reagan contro l’Urss allora di Andropov, capo del Kgb, come lo fu Putin…), e pure quella, al campione russo, non portò bene.
I poveri elettori sono storditi, confusi, stanchi e impauriti. O perché “Hannibal ad portas!” (Annibale è alle porte, come le matrone romane dicevano ai loro figli se volevano spaventarli), cioè il ‘fascismo’ (“l’eterno ritorno del Fascismo” avrebbe detto la buonanima di Umberto Eco) starebbe per conquistare l’Italia e farne strame. Oppure perché, quelli di destra, hanno riscoperto – ove mai lo avessero dimenticato – che i ‘komunisti’ con la ‘k’ vogliono ‘rubare ai ricchi’, mettere la patrimoniale, vendere, come schiavi, i tassisti per strada per darli alle multinazionali, le quali stesse faran dell’Italia spizzichi e bocconi. Oppure, si capisce, far ‘invadere’ l’Italia dai ‘negri’ e permettere, ai ‘gay’ di fare cose turpi. Insomma, pura demagogia, del tutto reciproca. Eppure, fino a neppure un mese fa, Letta e la Meloni venivano descritti, e letti, sui giornali, come la ‘coppia perfetta’. “Sandra&Raimondo”, una coppia perfetta, rodata, quasi ‘coniugale’. Del resto, così va il Mondo (e la demagogia politica). Veniamo, invece, ai fatti e mettiamoli in ordine.
La speranza della sinistra Dem: Conte apre, ma era una finta
Ieri, la speranza del ‘Fronte Popolare’ (stile Francia 1934 o Spagna repubblicana, ma 1936: finirono entrambi malissimo, ma è un dettaglio), per alcune ore, è corsa sul filo (dei telefonini). Per un attimo, infatti, ma sono state poche ore, la sinistra ‘interna’ dem, quella dell’asse Orlando-Provenzano (regista, Goffredo Bettini, tifoso interessato Francesco Boccia), quella mezza ‘esterna’ (Art. 1 di Speranza-Scotto-Stumpo), ma ormai mezza ‘interna’ (si candideranno col Pd ma con pochi seggi a disposizione, per loro) e quella del tutto ‘esterna’ (i ‘rosso-verdi’ formato lista ‘cocomero’ di Fratoianni e Bonelli) hanno sperato e, all’unisono, acceso un cero alla Madonna nera, quella di Częstochowa, cara a Karol Wojtyla, il Papa che combatte, e vinse, contro il Comunismo. Il leader del M5s, in un’intervista rilasciata a TPI, sito Internet molto ‘de sinistra’ e ‘radical chic’, ieri mattina, aveva “aperto” al dialogo col Pd. O, meglio, non lo aveva “escluso”. Ove, si capisce, “i democrat intendano stare con i più deboli”. Le speranze, però, come si sa, di solito muoiono all’alba. Figurarsi quelle della ‘sinistra-sinistra’.
E così, tempo due ore, e già il portavoce dell’ex premier (e candidato 5s in un collegio ‘blindato’), Rocco Casalino, ha smentito tutto, e di netto. Al netto del fatto che, ovviamente, Conte non può andare in alleanza con Calenda-Di Maio-Gelmini-Renzi (men che meno), etc., e questo si sapeva, il che avrebbe voluto dire che il Pd avrebbe dovuto ridefinire l’intero ‘perimetro’ delle sue alleanze, fonti del M5s precisano che “la sua frase non è in alcun modo da intendersi come una riapertura alla possibilità di un’alleanza col Pd a queste elezioni. Conte ha voluto semplicemente chiarire che in prospettiva futura ci potranno essere le premesse per un dialogo solo se il Pd abbandonerà l'agenda Draghi e sposerà un'agenda sociale ed ecologica”.
Letta del resto neppure ci pensa a allearsi con Conte. E i sindaci?
Morale, non se ne fa nulla, e amen. Per di più, Letta, sul punto, è stato chiaro e lo ripete in modo secco, quasi ossessivo, da giorni: “i nostri elettori non capirebbero l’alleanza con chi ha fatto cadere Draghi” per lo ‘scuorno’ della sinistra ‘radicale’. La quale o sceglierà Conte, con il rischio di mancare, e di parecchio, il quorum e non eleggere nessuno (mica se li può caricare Conte, che c’ha già i guai suoi, al massimo una tipo la De Petris), o dovrà ‘accontentarsi’ di una manciata di seggi, gentilmente donati dal Pd per farli (ri)-eleggere. Solo un problema, a oggi, non ha Letta: i sindaci. Il coordinatore dei sindaci dem, Matteo Ricci, ha incontrato il segretario al Nazareno: “Stiamo con te”, perinde ac cadaver, è la loro linea, oltre a una netta chiusura a ogni tipo di accordo con i 5Stelle. Ricci, che nonostante il pressing di Letta resterà a fare il sindaco di Pesaro, ne è uscito con le candidature di un manipolo di ex sindaci del centro-nord Italia (Gnassi, Variati, Bonaldi) e di sindaci di comuni sotto i 20 mila abitanti. I soli ‘candidabili’ – a differenza dei vari Nardella (Firenze), Gori (Bergamo), Decaro (Bari), Sala (Milano) - a causa di un’assurda legge elettorale, derivante dal Tuel sugli enti locali tanto quanto dalle norme sull’ineggibilità delle due Camere, che prevede dimissioni entro oggi e commissario prefettizio per un anno. In più c’è la promessa che, se si vince, i sindaci migliori faranno parte della squadra di governo. Utopia? Si vedrà. Intanto, la prossima settimana, Letta parteciperà a un incontro con loro per stilare un ‘patto civico’ con tanto di ‘programma’ dei sindaci, anche se il ‘programma’ del Pd già c’è, Letta lo ha fatto scrivere al suo amico professore, Antonio Nicita (il solito ‘professore’ di Politica Economica, e te pareva, quando mai non vengono da ‘Science Po’), che sarà ovviamente candidato. Come pure i ‘campioni’ delle Agorà, il solito birignao della sinistra ‘bo-bo’, quella che vive, tutta contenta, nel I (premier) arrondissment di Parigi e ‘schifa’ le banlieu: Carofiglio (lettere), Berruto (sport), Schlein (Lgbt) etc. A metà settembre, i sindaci (candidati e non, ma almeno è gente che, i voti, quelli ‘veri’, li ha), terranno una ‘contro-Pontida’, una manifestazione anti-Lega e anti-FdI, al Nord, quasi sicuramente a Milano, il 16 settembre.
Calenda nelle veci del Principe Amleto ancora non sa che fare
Ecco, al netto del (povero) Renzi, cui toccherà cercare miglior fortuna navigando in mare aperto (del resto, le ‘tre B’: Boschi-Bonifazi-Bellanova non se le vuole caricare nessuno nessuno: né il Pd né, tantomeno, Calenda, al massimo si trova qualche posticino per Rosato-Faraone-Migliore), resta tutto aperto il tema del – teorico - ‘Fronte’. Repubblicano? Come dice Calenda, ‘Unico’ come dice Brunetta? ‘Di buona volontà’ come pregano che sia i cattolici solidali di sinistra? La, cioè (possibile? Probabile? Di certo auspicabile, per il Pd di sicuro, per Calenda e i suoi dipende), alleanza con Azione e +Europa (e, presto, ‘più’ anche i ministri ex FI, che potrebbero anche presentare un loro simbolo, in alleanza a Azione), cioè con Calenda e Bonino. La seconda ci sta mettendo tutta la sua forza e autorevolezza, per convincere il primo. Il quale, però, è “scettico”, continua a dire che le possibilità di andare alleati con il Pd è “50 e 50” e che “decideremo ai primi di agosto”, cioè a ridosso della (obbligatoria) presentazione dei simboli, fissata al 12 del mese. Un ‘mago’ di sistemi elettorali come Roberto D’Alimonte, professore alla Luiss e padre ‘putativo’ dell’Italicum, mai applicato, di Renzi, dice che “Calenda è un magnete che può attirare elettori di centrodestra insoddisfatti, da lui dipende il Centro, ma vive il dilemma di Amleto: esser o non essere, entrare o non entrare” (nell’alleanza con il Pd)? Ora, al netto del fatto che il nobile Amleto fece una pessima fine, resta il dubbio: andrà, o no, con il Pd e i suoi ‘nanetti’? Anche qui, il dubbio non pervade solo Calenda, che attende l’esito di un “mega sondaggio che ci è costato una fortuna” e che si stima, ad oggi, al 6% (così dicono i sondaggi) ma da solo punta al 10%. Infatti, dentro la sinistra dem, dove già fanno una grossa fatica a dover ‘digerire’ Di Maio&co. (e non solo la sinistra dem, pure Orfini e molti altri), gli hanno detto – papale papale, per bocca del ministro Orlando – “Calenda datti una calmata!”. Traduzione: non fare lo sbruffone, che già chiedi una marea di collegi ‘sicuri’ (pare ne abbia chiesti una cifra esorbitante: un terzo tra collegi sicuri, contendibili e perdenti, sinceramente troppi…), non puoi mica pretendere di venire a dettar legge, “a casa nostra”. Certo, per un pezzo del Pd che Calenda (e Gelmini-Brunetta) gli ‘fanno schifo’, c’è un pezzo di Pd (Base riformista, Delrio, etc.) che, invece, l’alleanza la vuole chiudere, e presto. Come finirà? E’ ancora troppo presto, per dirlo. A proposito, e Renzi? Ecco, non lo vuole nessuno, tanto che il suo ‘mago’ di sistemi elettorali, Ettore Rosato, sta già facendo le liste nella previsione che Iv andrà da sola. Obiettivo: agguantare il 3%, togliendo voti a Calenda e ai suoi ‘moderati’, e magari pure qualcuno al Pd, e vincere la sfida della vita. Quella per la sopravvivenza, si capisce.
Simboli e liste, ferree scadenze nella campagna elettorale
Ma anche Calenda rischia, ove andasse da solo, in termini di ‘sopravvivenza’, la notte delle elezioni. E proprio per le – angosciose, per tutti i partiti – scadenze imposte dalle elezioni anticipate al 25 ottobre. Scadenze, un vero ‘dia de la Muerte’, che dicono questo: 12 agosto per presentare i simboli (e i ‘collegamenti’, eventuali, delle coalizioni) e 22 agosto per la presentazione dei candidati in ‘tutti’ i collegi sull’intero territorio nazionale. Invece, il 25 agosto parte la campagna elettorale quella ‘vera’: affissioni, manifesti, claim elettorali e possibilità di diffusione su tutti i mass media (radio, giornali, tv, etc.), anche ‘a pagamento’, ma con l’annesso divieto assoluto di diffondere i tanto letti, sospirati, scrutati e agognati ‘sondaggi’ – poi scatta pure, già che c’è, la ‘par condicio’, su cui sovraintende l’Agcom. E, insomma, dal 25 agosto la campagna elettorale sarà solo noiosa, fatta di slogan, dichiarazioni stentoree da ‘guerra’ (ma lo è già ora), interviste che non dicono nulla (idem) e paginate sui ‘programmi’, le ‘idee’, etc (stile ‘un milione di alberi a Natale’, per capirsi). Ma torniamo al ‘problemino’ di Calenda come di chiunque voglia presentarsi solo o in coalizione. Per capirlo bisogna rivolgersi a un ‘esperto’ di Rosatellum, cioè di leggi elettorali. Ce ne sono pochissimi, in giro, si contano sulle dita di una mano monca, meglio tenerseli pure nel prossimo, di Parlamento, che non si sa mai: Calderoli e La Russa nel centrodestra, Ceccanti, Fornaro e Portas nel centrosinistra, zero per tutti gli altri. Tipo Stefano Ceccanti (ma pure Riccardo Magi, che poi sta in Azione, meglio tenerselo stretto), Ecco – come diceva a un collega il ‘Ceccantibus’ - “se decidi di andare da solo, o hai con te +Eu (cioè Bonino e Della Vedova, ndr.), che hanno l’esenzione della raccolta delle firme o zut, zero”. Una gabola che proprio Ceccanti e Magi, il Gatto e la Volpe, hanno inserito nell’ultimo ‘decreto Elezioni’, salvando, in un colpo solo, Ipf di Di Maio, che si è collegato a Centro democratico di Tabacci, +Europa stessa, grazie a un eletto, e all’Estero, Fusacchia, Iv di Renzi, che però era già ‘salva’, e già che c’erano hanno salvato pure Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, che sennò pareva brutto salvare tutte sigle di nanetti del centrosinistra e nessuno di centro-centrodestra. Morale, rischi grosso perché devi raccoglier firme (27.500 alla Camera, 21 mila al Senato, ndr.), sotto gli ombrelloni, sulla spiaggia (e gli italiani, se ci provi, ti spernacchiano, aggiungiamo noi), ma soprattutto devi presentare tutti i candidati, sia nei collegi uninominali maggioritari (221 in tutto, 147 alla Camera e 74 al Senato, ndr.) e sia nei collegi plurinominali proporzionali (467 in tutto, 245 alla Camera e 112, al Senato, ndr.), per un totale di 600 candidati. Ridotti a soli 400 deputati e 200 senatori, dopo il ‘taglio’ secco di 345 unità, manco fossero operai licenziati in tronco e senza pietà dalla Fiat di Marchionne in ristrutturazione.
“Il che non è facile”, spiega Ceccanti, “perché se ti devi presentare da solo devi anche fornire, e quindi ‘scoprire’, subito i nomi dei tuoi candidati, non puoi aspettare fino al termine ultimo della presentazione delle candidature, fissata al 22. Finisci, cioè, per dare un vantaggio ‘competitivo’ alle altre liste e candidati che vengono a sapere, 15 giorni prima di presentare i loro candidati, entro il 22, chi sono i tuoi. Possono ‘aggiustare’ i nomi dei candidati, specie negli uninominali, all’ultimo, per ‘farti male’ e vincere i collegi…”.
Liste minori e minoritarie: rischio raccolta firme e chi sono
Un bel ginepraio, per Calenda, come per gli altri partiti e/o simboli e/o liste e/o coalizioni che saranno A) costretti a raccogliere le firme; B) a presentare 600 uomini e donne in tutt’Italia. Sono Unione Popolare di De Magistris con Prc e Pap, se non chiuderà l’accordo con i 5Stelle di Conte, Italia Sovrana e Popolare, il milieu un po’ folle, tra il comunista, l’anarchico e la destra sovranista di Ancora Italia, Partito Comunista, Riconquistare l’Italia, Azione Civile, Rinascita Repubblicana, Comitati No Draghi, Italia Unita e tanti altri, capeggiato, in buona sostanza dalla coppia Marco Rizzo e Antonio Ingroia più destra sovranista. Itlaexit di Gianluigi Paragone, senatore ex M5s. Ma anche Casa Pound e Fronte Nazionale di Fiore e Casalino, se mai si presenteranno, dato che potrebbero evitare di farlo per dare un ‘vantaggio’ politico alla destra ‘istituzionale’. Nessuna di loro non solo non supererà mai il 3%, probabilmente non faranno neppure l’1%, ma cambia molto se vanno in coalizione o da soli.
La comodità dei partiti "nanetti" che portano acqua ai giganti
Infatti, mentre i voti sotto l’1% ‘si buttano’ (nel senso che finiscono in un calderone di resti, una sorta di collegio unico nazionale dove pescano tutti gli altri), i voti tra l’1% e il 3% se restano sotto la soglia del 3% fanno la fine di cui sopra, se si presentano da soli. Ma – se vanno coalizzati con forze che il 3% lo superano (esempio: il Pd nel centrosinistra o Lega-FdI-FI nel centrodestra) svolgono la funzione di – graditissimi – ‘portatori d’acqua’ ai partiti più grandi, nel senso che i loro voti contribuiscono alla cifra elettorale dei partiti ‘grandi’ che han superato lo sbarramento del 3%. E se, per agguantare l’agognato (da tutti i piccoli) 3%, serve un buon milione di voti in tutt’Italia (nella parte proporzionale, cioè il 63% dei collegi, ma comprensiva anche dei 12 seggi dell’Estero (eletti, però, con un sistema proporzionale puro nelle 5 circoscrizioni in cui è diviso ‘il Mondo’: Europa-2 Americhe- Asia/Oceania, Africa-Poli), mentre nella parte maggioritaria una forza del 3% (o anche molto di più) non elegge, ovvio, alcuno, ai partiti ‘grandi’ fan assai gola i voti dei ‘nani’. Infatti, il Pd – al netto dei nanetti già incorporati (Psi di Maraio, due seggi per loro, Demos di Giro e Ciani, vicini alla comunità di Sant’Egidio, altri due per loro, Art. 1 di Speranza, 4/5 al massimo) - schiera almeno due liste collegate al ‘listone’ dei ‘Democratici e Progressisti’, nuovo logo dei dem.
Si tratta della lista CD (Tabacci)-Ipf (Di Maio)-sindaci (Sala, che però farà solo da ‘padrino, Pizzarotti, ex di Parma e altri sindaci ex dem) e della lista ‘cocomero’ dei rosso-verdi (Verdi-SI) di Fratoianni e Bonelli, sempre che, questi ultimi, non rompano con il Pd perché “arriva Calenda” (che per loro equivale al Demonio in Chiesa) e, con una rapida conversione a U, non vadano a fare da lista ‘collegata’ ai 5Stelle che, già ieri, hanno detto chiaramente di volerli abbracciare in quello che Conte chiama il “Campo Giusto” (sic). Entrambi esentati, comunque, per varie ‘gabole’ di cui sopra, dalla raccolta firme, sia i centristi che i rossoverdi – oltre che, si capisce, Calenda, che di collegi sicuri ne pretende “almeno trenta” - chiedono pure loro, in cambio, collegi sicuri. Almeno 4/5 per ognuna delle due liste ‘nanette’. Per Di Maio è pronto un collegio blindato, o in Toscana o, più probabilmente, in Emilia (Modena o Bologna) e pure i ‘cocomeri’ vogliono seggi ‘sicuri’ nelle regioni rosse del centro-Italia che dovranno, a questo punto, donare molto ‘sangue’.
Le furbizie del duo La Russa e Calderoli che "salvano" i nanetti
Non che, nel centrodestra, però, siano stupidi, o abbiano scritto ‘Giocondo’ sulla fronte. Infatti, l’altro ieri, al vertice del centrodestra, tutta l’attenzione era concentrata su Berlusconi: arrivato in compagnia di Marta Fascina, che qualcuno ha chiamato ‘Mara’ – commento della pugnace romanaccia Renata Polverini: “ahò, annamo bbeneee, guarda che quella se n’è annataaaa!!!”). Su Salvini, che doveva correre al compleanno della bella e intelligente fidanzata, Francesca Verdini - figlia del mitico Denis, mago di sistemi elettorali di cui, dentro FI, ora tutti sentono la mancanza, dovendo fare le liste – e quindi ha mollato tutti e lasciato lì Calderoli. E su Meloni, accompagnato dai suoi fidati colonnelli, La Russa e Lollobrigida, i due bracci ‘destri’. Nessuno si è accorto che erano presenti pure dei ‘dirigenti’ e ‘segretari’ di partito ignoti ai più. Antonio De Poli (Lorenzo Cesa era in absentia) per l’Udc, che ormai è federata con Forza Italia. Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia (leader di una formazione ormai assai monca, Coraggio Italia). E, soprattutto, Maurizio Lupi (Noi con l’Italia) che si è portato appresso – lui, milanesissimo, ciellino doc e vicino a FI quanto alla Lega – il ras siculo Saverio Romano, rastrellatori di voti al Sud. Tutti partitini che stanno zitti e muti (tranne Lupi, che parla sempre, specie in tv), non hanno la prosopopea degli alleati minori del Pd, i quali si sentono tutti ‘generalissimi’ (senza esercito), ma che il loro onesto 1-2%, forse 3%, lo fanno, quando si presentano alle elezioni. Persino nei sondaggi, non vengono mai ‘quotati’ o quasi mai, ma è con loro che il centrodestra, che parte da un buon 45-46% dei voti (equivale al 58% di seggi) può arrivare, senza neppure sudare, al 48-49% (che equivale al 62% dei seggi, cioè un’ampia maggioranza assoluta in entrambe le Camere).
Ecco perché, nella ripartizione dei seggi, un braccio di ferro duro e lunghissimo, che ha fatto semi-addormentare il povero Cav, alla Camera, tra ‘lodo Calderoli’ (media degli ultimi sondaggi più storico elettorale del 2018 e del 2019, più, persino, la consistenza dei gruppi parlamentari) e ‘lodo La Russa’ (media degli ultimi sondaggi degli ultimi sei mesi e stop), hanno vinto tutti e due (Calderoli e La Russa) con un compromesso da ‘onesti sensali’. E ha perso FI, tanto che il Cav ora giura: “con me dall’8% arriveremo al 20%!”, giusto per rincuorare i suoi, finiti sul tappeto. Ma i due partiti ‘grandi’ (FDI e Lega), pur di vincere, hanno accettato di buon grado di cedere seggi ai piccoli. Infatti, la ripartizione dei 221 collegi (tutti compresi: sicuri, incerti e sicuramente persi) è stata fatta, dopo molte liti e qualche urlo, in modo scientifico (parliamo degli uninominali).
In teoria, le ‘quote’ sono: 98 a FDI, 70 alla Lega, 42 a FdI-Udc, 11 ai centristi (Noi con l’Italia e Coraggio Italia). In termini percentuali, sono: 44.3% (FDI), 31,7% (Lega), 19% (FI-Udc) più un misero 0,4% ai ‘nanetti’ (NOIconl’It, CI, etc.) che, però, saranno ‘caricati’, in quota parte, anche dai partiti più grandi, cioè appunto FDI e Lega. In pratica, il ‘lodo La Russa’ l’ha avuta vinta sul ‘lodo Calderoli’, che però si dice “soddisfatto” del risultato. Resta un busillis. E’ in pieno corso un’opera di ‘ravvedimento operoso’ verso L’Italia al Centro (il gruppo di Toti-Marin-Quagliariello) che sembrava in via di avvicinamento a Calenda. Non foss’altro perché “sono in ballo 5 collegi della Liguria che possono fare la differenza”, spiegano da FDI. Sarà il partito della Meloni a doversene fare carico come pure di altri alleati ‘minori’. La Meloni la fa facile (“Che problema c’è? FDI sta nei Conservatori Ue, allarghiamo ai moderati”), ma il suo sogno (portare cento uomini e donne in Parlamento compatti stile falange macedone) dovrà, per forza, ridimensionarsi, pur se, per entrare nelle sue liste, c’è già lunga fila. Invece, i ‘giorgettiani’ (tranne lui, Giorgetti) temono già un ‘repulisti’ ferreo ordito da Salvini che, però, salverà gli ‘uomini’ (e donne, si spera) che saranno indicati dai potenti governatori del Nord (così potenti, sti’ governatori, che quando Salvini ha voluto la crisi di governo su Draghi si sono subito accucciati e zittiti, senza colpo ferire).
Ma il centrodestra ha tanti guai che non riguardano la Russia
Il centrodestra, dunque, almeno all’apparenza, ha risolto tutti i suoi problemi. E nessuno di questi riguarda le polemiche sulla ‘Russia di Putin’ che avrebbe chiesto alla Lega di aprire la crisi di governo. Materia, più che per il Copasir, dove pure sarà dibattuta, per il solito carnaio sui social e per le schermaglie politiche un tanto al chilo. Resta che Il futuro premier, se vincerà il centrodestra, sarà il leader del partito che ha preso più voti. Ad occhio, dunque, sarà Giorgia Meloni. Il programma sarà scritto di comune accordo e ‘non’ dovrà contenere idee o ricette “impossibili” (un milione ai pensionati, un milione di alberi, etc.), ma assai realistiche. E già qui, soprattutto la Meloni, è molto preoccupata. Sa bene che sarà un “autunno caldo”, nel Paese, tra crisi economica, inflazione, rincari. Per non dire delle “pressioni internazionali” (Usa, Nato, Ue) che hanno già gli occhi tutti puntati su di lei. Non a caso, la Meloni ha cercato parlato, e più volte, con Mario Draghi per capire la ‘reale’ situazione economica italiana (la quale, sia detto per inciso, è davvero pessima).
Ieri Meloni ha riunito la Direzione nazionale di FDI. “Saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell'assoluto sostegno all'eroica battaglia del popolo ucraino” ha detto, ribadendo una posizione atlantista, già nota. E poi, rivolta a Letta: “Ha detto che l’Italia dovrà scegliere tra lui e noi. È vero: noi vogliamo un ritorno del bipolarismo. Siamo pronti”. Ma la Meloni resta, appunto, molto ‘preoccupata’. Per questo, i futuri, ‘papabili’, ministri non saranno – come ripete il suo mentore, Guido Crosetto (in questi giorni sotto attacco da diversi quotidiani, specie il Domani, in modo ingiusto, vergognoso e che indica solo quanto lo temano) – “Pippo, Pluto e Paperino”, ma gente seria, stimata e dal curriculum inattaccabile. Oltre a Crosetto stesso (che nega, però, di volerlo fare), alla Difesa o allo Sviluppo Economico (dove, però, il posto è già prenotato da Giorgetti, Lega), si parla di Adolfo Urso, attuale presidente del Copasir, Giulio Terzi di Sant’Agata (Esteri, dove però potrebbe andare anche Antonio Tajani) e il solito, immarcescibile, Giulio Tremonti al Mef. E Matteo Salvini, ‘predestinato’ al ‘suo’ Viminale. Ma se questo è il ‘futuro’, quello di una vittoria schiacciante del centrodestra, con Berlusconi che si toglierebbe lo sfizio di presiedere il Senato, le elezioni bisogna pur sempre vincerle, prima. E qui casca l’asino. Perché, va bene tutto, ma Santo Iddio, chi lo ha detto che il centrodestra ha già in tasca la vittoria?! Lo dice, in realtà, il combinato disposto della legge elettorale, il Rosatellum, dei sondaggi e del ‘sentiment’ che si sente nel Paese. Ma questa sarà materia per un altro articolo…