Il Cavaliere si gioca le ultime carte per il Colle. E ripartono i cambi di gruppo
Mai come questa volta in tutta la sua storia politica iniziata nel 1994 Berlusconi è messo così bene nella griglia di partenza per il Colle, con più di 450 grandi elettori di centrodestra teoricamente pronti a scrivere il suo nome
La rabbia di Silvio Berlusconi quando, l’altro giorno, Giorgia Meloni alla presentazione del libro di Bruno Vespa ha usato un artificio retorico per dire che lei non crede nella candidatura del Cav al Colle è la migliore cartina di tornasole per capire questa storia.
Ha detto Giorgia: «Berlusconi è un mio alleato ed è una persona alla quale sono legata, ma la sua elezione al Quirinale non è una cosa facilissima, basta guardare i numeri. Dopodichè, ho visto che Berlusconi ha risposto, credo per primo, all'appello del segretario del Pd Letta, per trattare insieme del prossimo Presidente della Repubblica. Dato che, a mio avviso, il Pd Berlusconi non lo vota, ritengo che questo significhi che lui abbia deciso di fare un passo indietro e che non sia più interessato a questa partita. Almeno questa è stata la mia interpretazione».
Un capolavoro verbale per lanciare un siluro attribuendolo al Cavaliere.
Ma, in realtà, pur essendo estremamente consapevole che ci vuole una congiunzione astrale incredibile per ascendere al Colle, la verità è che Berlusconi vuole provarci fino all’ultimo minuto possibile. Partendo da tre numeri: 1007 grandi elettori, forse 1008 se il senatore leghista Saviane, morto nel frattempo, verrà sostituito prima di metà gennaio, data della partenza della corsa al Quirinale; 671 voti necessari nei primi tre scrutini (e questo avviene solo quando si registra una convergenza di tutti o quasi su un solo nome, in questo caso si tratterebbe di un Mattarella bis, nonostante l’indisponibilità ribadita ogni giorno dal diretto interessato, ma avvenne lo stesso anche con Giorgio Napolitano. O, al limite, di un Draghi al Colle) e 504 dal quarto scrutinio in poi.
I rapporti
Ed è a quella cifra che guarda Berlusconi, nonostante le parole di Giorgia - e, in parte anche di Matteo Salvini quando parla di Draghi – pensando che mai come questa volta in tutta la sua storia politica iniziata nel 1994 è messo così bene nella griglia di partenza per il Colle, con più di 450 grandi elettori di centrodestra teoricamente pronti a scrivere il suo nome.
Poi, certo, non tutti gli alleati – e forse nemmeno tutti gli azzurri - nel segreto dell’urna scriveranno “Berlusconi”, ma il Cav ha messo in contro una cinquantina di perdite, recuperabile con altrettanti arrivi da ogni lato del Parlamento, compresi Liberi e Uguali, i “komunisti!” di una volta, con cui Berlusconi ha sempre mantenuto ottimi rapporti, soprattutto con gli uomini del ministro della Salute Roberto Speranza che lui stima molto e non ha mai attaccato.
Una salita rapida
E, soprattutto, per trovare i 50-100 voti necessari per la strada che porta da Montecitorio al Quirinale, poche decine di metri, ma una salita ripida, Berlusconi guarda a tutti i mondi di coloro che sanno già che non torneranno mai più in Parlamento per un triplice ordine di motivi: per i Cinque Stelle il fatto che in molti hanno bruciato i due mandati e i dieci anni promessi; sempre soprattutto per i pentastellati, ma anche per gli azzurri e tanti altri partiti nati in Parlamento, la consapevolezza che non prenderanno mai più le percentuali magiche del 2018 e in qualche caso non le prenderanno mai; per tutti il referendum che ha tagliato di un terzo il numero di deputati e senatori.
Per il vitalizio voterebbero anche Faust
Insomma, è come se il Transatlantico e la Sala Garibaldi fossero popolati di zombie, morti viventi della politica che sono già ex parlamentari virtuali. Legati non solo in molti casi ai quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura necessari per maturare il vitalizio e che voterebbero anche Faust pur di non rinunciarvi, ma anche semplicemente a mutui e indennità parlamentari: se uno nella vita civile prendeva 1500 euro al mese e ora ha moltiplicato per dieci gli intrioiti è chiaro che non voglia rinunciare nemmeno a un mese di legislatura, soprattutto agli ultimi che continuano a dare reddito finchè non si insediano le nuove Camere e quindi, generalmente, fino a un paio di settimane dopo le elezioni, ma anche a due mesi dopo lo scioglimento.
Un bacino infinito
Insomma, questo è il bacino infinito a cui guarda Berlusconi, senza distinzione di colore politico, facendosi forte del fatto che con lui al Quirinale la legislatura durerà fino all’ultimo giorno possibile immaginabile.
Quindi vengono monitorati tutti: a partire dai gruppi Misti di Camera e Senato e dagli oltre cento ex pentastellati, molti dei quali non hanno trovato altre case politiche. E il Cav ha dato indicazione ai suoi di curarseli il più possibile.
I cambi di gruppo
Nel frattempo, negli ultimi tre giorni di seduta è ripartito forte il tourbillon dei cambi di gruppo, che si preannuncia sempre più vorticoso in vista della lettera di convocazione delle “Quirinarie” che partirà in dicembre e dei voti che partiranno a metà gennaio.
Chi cambia nome
Qualcuno, per ora cambia nome: sono gli ex pentastellati de “L’Alternativa c’è” che, dopo che Antonio Ingroia ha tolto loro il nome e il simbolo della “Lista del Popolo per la Costituzione” provocando lo scioglimento della componente a Palazzo Madama, hanno semplificato il loro nome anche a Montecitorio: “Alternativa”.
Ma per ex grillini che spariscono o che accorciano il nome, ce ne sono altri che lo allungano e sono Gianluigi Paragone, Mario Michele Giarrusso e Caro Martelli che si trasformano da “Italexit-Partito Valore Umano” a “Italiexit per l’Italia-Partito Valore Umano”, dove il riferimento patriottico è decisivo per la nuova denominazione.
Così come, in attesa di potersi costituire in gruppo autonomo se si concretizzeranno gli arrivi di due eletti all’estero, la componente dei totiani e brugneriani, che al Senato si chiamava “Idea e Cambiamo” e non ancora “Coraggio Italia” ora si chiama “Idea-Cambiamo!-Europeisti”.
In movimento
E poi ci sono altri ex pentastellati in movimento, rigorosamente con la minuscola di uscita dal MoVimento: il veneto Raphael Raduzzi, che aveva lasciato il gruppo per non votare Draghi ed era andato nel Misto è approdato ora a Alternativa, con gli ex compagni di Cinque Stelle, mentre Gianluca Rospi, leader di “Popolo protagonista”, eletto con i pentastellati nel collegio uninominale lucano di Matera, dopo aver riportato in Parlamento il partito di Angelino Alfano ed aver seguito il governatore ligure Giovanni Toti e il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro in Coraggio Italia ha lasciato il nuovo partito, per andare in Forza Italia. Ed è una scelta in controtendenza rispetto al gruppo azzurro che invece, ultimamente, tendeva a perdere e non ad acquisire parlamentari.
Perde un pezzo la Lega
Perde un pezzo anche la Lega: la senatrice Rosellina Sbrana, dirigente veterinaria del ministero della Salute, eletta nel collegio uninominale di Pisa, lascia il gruppo salviniano per approdare al Misto.
Gli ex pentastellati
E poi ci sono tutti gli ex pentastellati che trovano partiti presentatisi alle elezioni senza ottenere eletti e che costituiscono monogruppi a cui “regalano” il nome sugli atti parlamentari: dopo l’Italia dei Valori che è tornata in Parlamento grazie a Elio Lannutti e Potere al Popolo che ha fatto il suo ingresso nelle istituzioni con Matteo Mantero, è toccato a un terzo ex pentastellato, Emanuele Dessì, portare a Palazzo Madama il Partito comunista con la falce e martello di Marco Rizzo. Presentissimo in televisione e, ora, finalmente, anche in Parlamento.