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Anche la categoria “Altri” ha i suoi “nanetti”. Non c’è solo Italexit, ma molte altre sigle: avranno le firme necessarie per presentarsi

Nella famosa categoria una moltitudine di micro-partiti che lotteranno per arrivare al 3 per cento

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Foto Ansa
Foto Ansa

Unione Popolare sì (ci è riuscita e lo ha annunciato proprio ieri). Italexit forse, ma si saprà solo oggi. Gli altri, invece, disperano di riuscirci. È la famosa categoria “altri” che i sondaggisti mettono in fondo alla lista dei risultati. Dentro c’è un po’ di tutto. Indicano chi ambisce non solo a raggiungere l’agognato 3%, che dà diritto ad una rappresentanza parlamentare, ma anche a riuscire a presentarsi ‘per davvero’, alle elezioni. Il che non è affatto semplice, a causa di tanti motivi. La formazione che più ci si avvicina è Italexit.

La folle corsa di ‘Italexit’ per agguantare il 3% e per raccogliere oltre 36 mila firme

Quotata tra 2% e 4%, pure la creatura del senatore giornalista Gianluigi Paragone vive momenti di trepidazione, dovuti alla necessaria raccolta delle firme (37.500, da ottenere collegio per collegio, circoscrizione per circoscrizione). Paragone, oltre che dal giornalismo, viene dalla Lega identitaria e dal rock duro (iper-rockettaro), poi si è fatto eleggere nei 5Stelle, nel 2018, e dopo ancora ha fondato un partito nuovo-nuovo, nel 2020, che si chiama più come un memento mori che come un partito (“Italexit”, appunto), e ne è il padre-fondatore. Paragone porta oggi una barba lunga e bianca, modello santone indiano.

La lotta per arrivare alla ‘soglia’ vitale del 3%

I guai, per il partito di Paragone, però sono tanti. Sostanzialmente tre. Il primo è dato dalle aspettative di molti di quelli che l’ex giornalista ha candidato nelle sue liste perché – gli ha detto – “sono sicuro che il 3% noi lo facciamo”. In effetti molti sondaggisti quotano Italexit sopra il 3%. Detto che, agguantare il 3%, vuol dire ottenere, in natura, un milione di voti buoni buoni, e che la concorrenza, nel settore, è spietata, l’obiettivo, se non proprio irraggiungibile, è arduo da cogliere.

La fatica (improba) della raccolta firme

Innanzitutto, prima ancora di poterli prendere, i voti, devi avere le carte in regola per presentarti, alle elezioni. E la raccolta di firme, che si basa su una (anti-storica) leggina, il dpR 361 del 1957, è improba. A differenza di altri ‘partitini’ (Iv-Psi, +Europa, Noi con l’Italia, etc.), tutti salvati dall’ormai famoso ‘emendamento’ al dl Elezioni Magi&Ceccanti, vuol dire raccogliere la bellezza di 36.700 firme, alla Camera come al Senato, per potersi presentare in tutte le 49 circoscrizioni Camera e le 20 Senato, tutte collegate tra loro. Vuol dire che, ogni lista, per presentarsi alle urne deve raccogliere 750-1.000 firme in ogni collegi. Farlo ad agosto è “come scalare l’Everest con le infradito”, dice – giustamente – il buon Paragone.

Una fatica improba e un’ingiustizia, per i partiti ‘nuovi’. Ingiustizia che Paragone – e altri leader di altri partiti - ha subito denunciato, appellandosi – abbastanza inutilmente – al Capo dello Stato. E, ancora oggi, la raccolta firme di Italexit è rischio.

Il surreale programma elettorale di Italexit

In ogni caso, nel “programma” di Italexit ci sono cose che farebbero contenti tutti i putiniani (e i cinesi) del Mondo. Tra i suoi cavalli di battaglia ci sono l’euroscetticismo, la difesa del Made in Italy, dure posizioni contro il Green pass e l’obbligatorietà dei vaccini contro il Covid, ma soprattutto la sostanziale uscita da Ue, Nato, etc. Un ‘programma’ che, ovviamente, ha subito suscitato le – benevole? Malevole? – attenzioni della destra radicale. Quella di Casa Pound come quella del Fronte nazionale e altri ‘simpaticoni’ sospettabili di simpatie e nostalgie ‘para-fasciste’.

Eppure, nelle posizioni di Italexit, erano già confluiti pezzi di sinistra-radicale, come i portuali di Trieste di Stefano Puzzer, a loro volta no-pass e no-vax, e una manciata di parlamentari ex 5S. Un mix (o un miscuglio indigesto, dipende dai punti di vista) di estrema destra e estrema sinistra.

Il mancato accordo con “L’Alternativa c’è”

A complicare, vieppiù, le cose c’è stata la rottura, tutta ‘politica’, tra Italexit e proprio questi ultimi, i parlamentari (con un folto gruppo alla Camera e uno, più piccolo, al Senato) de “L’Alternativa”.

Alcune settimane fa, i due movimenti, Italexit e l’Alternativa, guidata da Pino Cabras e nata nel febbraio 2022 in opposizione alla scelta del M5s di appoggiare il governo Draghi, si erano uniti, con l’intento di presentarsi insieme alle elezioni.

Ma il 5 agosto scorso, Alternativa ha comunicato che “Il quadro di un possibile accordo elettorale con Italexit è sciolto. Abbiamo riscontrato la presenza, anche in ruoli di capolista, di candidati organici a formazioni di ispirazione neofascista”. A dir la verità, più che pericolosi ‘neo-fascisti’, le frecce nell’arco di Italexit e di Paragone - che si presenterà fino a 5 collegi plurinominali, gettando la monetina e sperando di essere ‘ripescato’ almeno in uno, il quale, a occhio, è la Lombardia – sono, però, candidati più ‘rossi’ (o ex) che neri.

I candidati di Italexit: tutti no-vax e no-Pass…

Tra questi c’è, appunto, Stefano Puzzer, leader delle proteste No Green pass in Italia e fondatore del Comitato “La gente come noi”. Sarà candidato per Italexit nel collegio di Modena, in Emilia-Romagna. “L'unico modo per combattere la Dittatura (sic, ndr.) è metterci la faccia, un'ulteriore volta da cittadino e non da portuale” (Puzzer è un ‘camallo’, pur se di Trieste), dice.

Ma si candiderà, sotto le bandiere di Paragone, l’intera anima del Comitato di protesta “La gente come noi”: ci saranno infatti, Andrea Donaggio e Franco Zonta, in Friuli, la vice-questore di Roma, Nunzia Alessandra Schilirò, sospesa in via definitiva dalla Polizia, per aver partecipato alle manifestazioni anti-Green pass, “illegittimo”; la legale dell’associazione “Sereni e sempre uniti”, Consuelo Locati, che rappresenta e difende centinaia di familiari delle vittime Covid nella bergamasca (capolista a Bergamo alla Camera) e molti altri. Tra loro, il dottor Andrea Stramezzi, odontoiatra che si è dedicato alle cure Covid e contrario alle linee di Ministero della Salute, Iss e Aifa, Francesco Amodeo, giornalista-blogger anti-europeista e No Euro, Lina Manuali, primo giudice che ha dichiarato illegittimi i dpcm di Conte (a Pisa). E, infine, la giornalista – storico volto di Italia 1 e Mediaset - Raffaella Regoli, sospesa dal lavoro per non essersi vaccinata pur essendo una over 50, che viene da una storia politica tutta ‘a sinistra’. Sempre che, si capisce, Italexit ce la faccia, a raccogliere quelle firme…

Persino ‘oltre’ Italexit c’è “vita”, nel marasma

Ma se Paragone gode di un certo ‘consenso’ non solo nei sondaggi ma pure sui media - cioè di lui si ‘sa’, oggettivamente, abbastanza – molto meno note sono altre tre formazioni che, pur ‘piccole’, hanno un certo peso, e persino una storia, politica.

Stiamo parlando di una serie di ‘accrocchi’ che raggruppano complottisti, no vax, euroscettici, antichi capipopolo della sinistra ex comunista: una galassia di partiti e movimenti contro il «mainstream» e il «pensiero unico», come lo chiamano loro, più o meno strutturati e diffusi.

Italia Sovrana e Popolare, duo Rizzo&Ingroia

Infatti, sempre sul fronte sovranista, ma spostato più a “sinistra”, c’è Italia sovrana e popolare. Tra i promotori ci sono Partito comunista (PC), Patria socialista, Ancora Italia, Riconquistare l’Italia, Azione Civile di Antonio Ingroia, che si presentò, senza successo, alle Politiche del 2018, e la ex onorevole leghista Francesca Donato. Il loro tentativo è quello di unificare battaglie in comune tra mondi altrimenti distanti: sono, per capirsi, contro la Nato, contro l’euro, contro l’obbligo vaccinale e pure contro il Green pass. Lo slogan, anzi il nome originario, era Uniti per la costituzione. “Venerdì (ma quello scorso, ndr.) avremo raggiunto le 40 firme in tutt’Italia, ci stanno aiutando centinaia di militanti”, raccontava il senatore Emanuele Dessì (ex M5s), ma se le firme sono state raccolte lo si saprà oggi.

Il nucleo di Italiana sovrana e popolare è nato dal gruppo parlamentare, regolarmente formato, “Costituzione, Ambiente, Lavoro-Idv”, nato da nove senatori ex membri del Movimento 5 stelle e da una ex senatrice della Lega, Francesca Donato, sciolto dopo solo un solo giorno di vita.

Il gruppo è stato poi ricostituito, ad aprile 2022, con l’aggiunta, tra gli altri, di Emanuele Dessì, in quota Partito Comunista. Dopo essersi collocato all’opposizione del governo Draghi, il gruppo ha accolto anche l’ex presidente della Commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, noto per le sue ‘simpatie’ filo-russe e detto ‘il compagno Petrov’. A giugno la vicepresidente del gruppo, la deputata no vax Bianca Laura Granato, ha aderito al partito Ancora Italia, fondato  nel 2019 dallo scrittore e opinionista Diego Fusaro. Il gruppo conta, ancora oggi, 13 senatori e ha cambiato nome in “Uniti per la Costituzione”, dal nome della lista con cui il senatore Mattia Crucioli (ex M5s) aveva riunito diversi partiti antisistema, tra cui anche Italexit, e si era candidato a sindaco di Genova alle comunali.

È con questa denominazione che, il 3 luglio, il Partito comunista di Marco Rizzo, Ancora Italia, il partito sovranista Riconquistare l’Italia, il movimento populista ‘di sinistra’ Azione Civile di Antonio Ingroia e altri soggetti politici ancor più minori hanno formato un’alleanza politica in vista della fine della legislatura e del governo Draghi. Uniti per la costituzione è, dunque, una vera e propria coalizione politica, ma solo il 21 luglio è nata Italia sovrana e popolare, soggetto politico che vuole  «dare voce al dissenso, alla critica e ai tanti che non ce la fanno più a riconoscersi in questo modello di società».

Tra i candidati, se arriveranno le firme, sono presenti personalità di realtà molto diverse tra loro, come il segretario di Patria socialista Igor Camilli, l’ex consulente della comunicazione del M5s e fondatore di ‘Byoblu’, Claudio Messora, l’eurodeputata no vax e filorussa Granato e anche l’attrice novantacinquenne Gina Lollobrigida (sic). Ad ora, però, rimane incerta la candidatura dei senatori del gruppo parlamentare di “Uniti per la costituzione”, tra cui figura anche l’ex ministra per il Sud del governo Conte I, Barbara Lezzi.

Unione Popolare, lista di “sinistra-sinistra”

A sinistra-sinistra c’è la corsa alle firme – e, ieri pomeriggio, incredibilmente, UP ce l’ha fatta, e arrivando ‘prima’ rispetto a tutti gli altri partitini - anche da parte di Unione popolare, promossa da Rifondazione comunista (erede, in sedicesimi, della vecchia, e storica, Rifondazione comunista di Garavini, Cossutta e Bertinotti) e Potere al popolo (lista a sua volta presente alle Politiche del 2018, che raccoglie esperienze trotzkiste e di centri sociali). La lista è guidata dall’ex sindaco di Napoli, per due legislature, ed ex candidato alle regionali in Calabria, oltre che ex pm (sempre in Calabria), Luigi De Magistris, il cui nome è stato apposto nel simbolo assieme all’arcobaleno pacifista. Oltre 600 banchetti tenuti in tutta Italia e alcune candidature già pronte: gli storici Piero Bevilacqua (meridionalista), Angelo d’Orsi (contemporaneista), la giornalista del Tg2 Chiara Prato, la ex assessora della giunta Raggi a Roma, ed ex M5s, Pinuccia Montanari. Tra le proposte c’è un mix del (vecchio) classico di ogni sinistra ‘radicale’ che si rispetti: salario minimo a 10 euro l’ora e blocco del costo delle bollette. L’ex sindaco di Napoli vuople candidarsi nel collegio della sua città e in Calabria, dove lo scorso anno aveva preso il 16% come candidato presidente.

“Vita”, il movimento della ex M5s Sara Cunial

Va dato conto anche di due altri micro-partitini. Il primo è “Vita” movimento politico presentato il I agosto dalla deputata ex M5s Sara Cunial, nota per le sue posizioni complottiste e antivacciniste. Il movimento, a sua volta alle prese con la raccolta firme, si definisce «una comunità sociale e politica di esseri umani coscienti, consapevoli e coerenti che hanno deciso di smettere di delegare le decisioni che riguardano la loro Vita e hanno scelto di mettere i propri migliori talenti a disposizione della comunità nazionale». Il ‘partito’ di ‘Vita’ unisce i rappresentanti di vari movimenti complottisti, euroscettici, antisistema e negazionisti del Covid-19. Oltre a Cunial, ci sono il consigliere regionale del Lazio ex Davide Barillari, il segretario nazionale del Movimento 3V Luca Teodori, l’avvocato Edoardo Polacco (“Sentinelle della Costituzione”), Maurizio Martucci (“Alleanza Italiana Stop 5G”) e Paolo Sensini (“No Paura Day”), nato anti-Green pass. Vita è molto attivo sui social, in particolare su Telegram, dove conta 20 mila iscritti al canale.

Alternativa per l’Italia di Adinolfi e Di Stefano

Infine, una lista antisistema che ricalca, in parte, il partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland. E’ nata il 10 luglio dall’accordo di altri due micro-partiti: l’ultracattolico Popolo della famiglia di Mario Adinolfi (che, nel 2006, si era presentato alle primarie dell’Unione di Prodi…) ed Exit, fondato da Simone Di Stefano, già esponente di punta del partito di estrema destra e di ispirazione neofascista Casapound.

Adinolfi, 50 anni, giornalista, fisico massiccio, è stato iscritto al Pd da giugno 2012 a marzo 2013. Cinque anni prima, nel 2007 era stato candidato alla segreteria del Pd alle primarie (5.906 voti, lo 0,17%). Nel 2011 ha lasciato il Pd in dissenso con Bersani e nel 2016, ha fondato il Popolo della famiglia. Un ‘partito’ che si definisce «aconfessionale e valoriale, di ispirazione cristiana» e che negli anni ha portato avanti battaglie contro l’aborto e il riconoscimento delle unioni civili tra coppie dello stesso sesso. Da maggio, Adinolfi ha una rubrica quotidiana di attualità “Segni dei tempi” su Byoblu.com, testata online no vax e complottista fondata da Messora.

Di Stefano, tra i fondatori di Casapound, è stato due volte candidato sindaco di Roma, nel 2013 e nel 2016, non superando mai il 2% dei voti. Nel 2013 stato anche candidato presidente della Regione Lazio di Casapound (ha preso lo 0,79%).

Nel 2013 Di Stefano è stato condannato a tre mesi di reclusione e al pagamento di una multa da 100 euro per aver tentato, giorni prima, di sostituire la bandiera europea con quella italiana nella sede della Commissione Ue a Roma, durante una manifestazione del movimento dei “Forconi”. Il I febbraio 2022 Di Stefano ha annunciato, via Twitter, di aver abbandonato Casapound, senza però spiegare le motivazioni della sua scelta, ma si dice che proprio Italexit di Paragone ne abbia raccolto le simpatie (di Casapound) e pure i voti. Il 15 febbraio, Di Stefano ha fondato Exit, che tra i punti del suo programma prevede una possibile uscita dell’Italia dall’euro, è no-Vax e no-Pass.

Alternativa per l’Italia sta raccogliendo le firme necessarie, ma molti dubitano che ci riuscirà. La pagina Facebook della lista dice che il suo obiettivo è costruire «un fronte comune contro l’ipotesi Draghi bis o nuovo governo tecnico». Si oppone «al green pass, all’obbligo vaccinale e al politicamente corretto». Il programma di Alternativa per l’Italia prevede un reddito di maternità, incentivi alle piccole e medie imprese, sostegno alle famiglie tramite «riforma del fisco» e un innalzamento per le pensioni minime a mille euro mensili. Un ‘sogno’ che da ‘para-fascismo’.

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