Il caso Sangiuliano e i dubbi della premier Meloni: "Ho fatto bene a lasciarlo al suo posto?"
L'inquilina di Palazzo Chigi è infastidita che da giorni si parli solo questo e che invece non si raccontino la crescita del Paese, i numeri positivi sull’occupazione, il calo degli sbarchi
Ora resta di capire fino a quando Giorgia Meloni continuerà a difendere Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura costretto a presentarsi davanti ai microfoni del Tg1 per spiegare il suo rapporto con Maria Rosaria Boccia: «Avevamo una relazione che attiene alla sfera affettiva. Ma non sono ricattabile: non ho mai speso soldi pubblici». «Io riaffermo categoricamente che mai un euro del ministero è stato speso per la dottoressa Boccia. Ho pagato io», ha ribadito il ministro, mostrando anche alcuni estratti conto e numerose ricevute a sostegno delle sue parole.
L'intervista del ministro al Tg1
«I suoi viaggi li ho pagati da me con la mia carta di credito personale». Per questo Sangiuliano ritiene di non essere «ricattabile»: «In una funzione pubblica», spiega, «si è ricattabili se si è usato impropriamente il denaro pubblico».Nell'intervista del direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci - trasmessa prima in forma ridotta, e poi, al termine del notiziario, integralmente - si affronta anche il nodo politico della questione: «Ho presentato le mie dimissioni alla premier, che le ha respinte», ha dichiarato Sangiuliano. Resta dunque da capire se questa versione dei fatti sia sufficiente per l’inquilina di Palazzo Chigi.
La premier infastidita dal caso Sangiuliano
La premier è infastidita che da giorni si parli solo questo e che invece non si raccontino la crescita del Paese, i numeri positivi sull’occupazione, il calo degli sbarchi. Insomma, la presidente del Consiglio avrebbe preferito affrontare altre questioni in queste ore. E invece ha dovuto affrontare questo dossier costringendo il ministro interessato a recarsi in televisione per spiegare l’accaduto e per chiudere definitivamente una vicenda che fin qui sta solo pesando negativamente sull’esecutivo. Di tutto questo Meloni non ne ha voluto parlare con i suoi vicepremier con i quali si è confrontata per un pre-vertice prima del consiglio dei ministri. È una vicenda che ha voluto dunque gestire in solitudine.
La ricerca di sostituti
L’operazione più facile in questi casi è mettere il ministro spalle al muro e costringerlo al passo indietro. Non a caso già da qualche giorno circolava una bozza di potenziali sostituti che vedeva al suo interno Alessandro Giuli, oggi presidente del Maxxi, Giampaolo Rossi, direttore generale della Rai, Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, e ancora fra gli outsider Giordano Bruno Guerri. Intellettuali della galassia del destracentro che potrebbero subentrare in caso di passo indietro. Ma il passo indietro ci sarà? Al momento resta tutto congelato.
Il peso del G7 della cultura e l'uscita di Fitto
In questa vicenda pesa il G7 della cultura che si terrà a Napoli e forse a Pompei fra una decina di giorni e pesa ovviamente l’uscita di un altro ministro di peso come Raffaele Fitto che ha detenuto fin qui deleghe pesanti che dovranno essere ridistribuite. Ragion per cui è complicata la questione. «Comunque fai sbagli» osserva un sottosegretario. Meloni potrebbe ad esempio servirsi del caso Sangiuliano per dare il la a un rimpasto di governo. Ma un rimpasto è sempre difficile da gestire: «Sai come si comincia e non sai come finisce» argomenta un parlamentare di lungo corso. Anche perché a quel punto si presenterebbero a battere cassa i vicepremier Tajani e Salvini. Il ministro azzurro, per dire, è rimasto in silenzio fin qui. Ma se Meloni aprisse il dossier rimpasto vorrebbe una ridefinizione della squadra sulla base degli equilibri usciti alle europee. E lo stesso potrebbe fare il leader leghista che ambisce per uno dei suoi fedelissimi alla poltrone del dicastero del Turismo oggi guidato da Daniela Santanché ma assai in bilico per la nota vicenda giudiziaria.
I dubbi della Meloni
Tutto questo spinge Meloni a dire no al rimpasto e a frenare l’uscita di Sangiuliano. E così la fiducia della premier resta a tempo. Con l’auspicio che non esca altro. La paura è che lady Boccia detenga colloqui in cui il ministro parla a ruota libera di affari inadatti a orecchie estranee alle questioni di governo, o di partito. O che ci sia qualcosa di inammissibile nelle chat di cui lei certamente è in possesso. Una fiducia a tempo, quindi. Con la consapevolezza che l’affaire si possa ancor più ingrossare. Non a caso ieri, dopo la diffusione dell’intervista del ministro con il direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci, la presidente del Consiglio nutriva alcuni dubbi davanti ai suoi collaboratori: «Ho fatto bene a non farlo dimettere?».
Niente errori o passi falsi
Il dubbio resta e accompagna per l’intera notte, la premier. Vacilla l’approccio del giorno precedente quando Meloni si era lasciata scappare: «Io non mi farò togliere un ministro da Dagospia e dai giornali di sinistra». La notte è lunga. I telefoni restano accessi. E rimbomba fino al mattino questa frase scolpita da Meloni davanti al partito: «Stiamo facendo la storia, e dobbiamo esserne tutti consapevoli. E questo non prevede né pause né soste, ma tanto meno può consentire errori e passi falsi. Non ci viene perdonato nulla e nulla ci verrà perdonato. Siamo sempre stati i giudici più implacabili di noi stessi, e dobbiamo continuare ad esserlo, l’occasione storica che ci hanno dato i cittadini non merita di essere sprecata per un errore, una distrazione o una sbavatura. Non possiamo permetterci di prestare il fianco».