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La “fiamma magica” di Giorgia esce molto indebolita dal caso Donzelli-Delmastro 

La premier evita per il terzo giorno di fila di rispondere alla domanda sull’affidabilità dei suoi stretti collaboratori. E li blinda. Ieri nuove accuse al Pd da parte di Delmastro. Intanto sale la protesta anarchica: tensione all’università La Sapienza occupata “contro il 41bis”. Attesa per le manifestazioni del fine settimana

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Meloni e Donzelli (Ansa)
Meloni e Donzelli (Ansa)

 

“Le rispondo domattina, quello che chiede non è cosa che riguarda il motivo per cui siamo qui”. Così ieri Giorgia Meloni ha liquidato, con evidente stizza, l’inviato de La Stampa che è dovuto arrivare fino a Berlino, aspettare la conferenza stampa obbligatoria e pubblica del bilaterale Italia-Germania per poter fare alla premier la domanda che lei evita e scansa da tre giorni: “Come valuta il caso Donzelli-Delmastro? Ha ancora fiducia in questi suoi stretti collaboratori?”.  La premier ha rinviato a stamani la risposta. “In generale - ha aggiunto - voglio però fare un appello a tutti, trasversale, perchè in Italia c’è una minaccia reale allo Stato, anche qui in Germania ne abbiamo avuto l’evidenza (l’attentato anarchico alla nostra ambasciata a Berlino, ndr), ci sono da oggi due nuove persone sotto scorta (in realtà tre, Donzelli e i sottosegretari alla Giustizia Delmastro e Ostellari che però è della Lega, ndr) e questa è una sconfitta per tutti”.

Una sconfitta per tutti

Il caso Cospito - l’anarchico condannato a 30 anni, detenuto e costretto al 41 bis da maggio e in sciopero della fame da 108 giorni - è, senza dubbio, una sconfitta per tutti.

Doveva essere gestito dalla magistratura e dal ministero della Giustizia - gli unici competenti - e non certo essere usato dal responsabile politico di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli e dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove come strumento di lotta politica. Contro il Pd accusato in aula di “strizzare l’occhio a mafiosi e terroristi” perché quattro parlamentari hanno vistato in carcere Cospito il 12 gennaio. Con l’aggravante, per i due fedelissimi di Giorgia Meloni, di aver diffuso notizie “sensibili” e a limitata diffusione, relative a relazioni di servizio del agenti penitenziari su possibili saldature tra la protesta dell’anarchico e gli boss contro il 41 bis.

Mesi di incertezze e rinvii hanno dato evidenza alla battaglia contro il 41 bis che i boss conducono da sempre e che ha una rilevanza costituzionale che anche la premier Meloni sembra non voler considerare. Se Cospito fosse stato trasferito per motivi di salute a Natale quando le sue condizioni erano già gravi ed era evidente che si sarebbe creata una saldatura tra la sua lotta e quella dei boss, oggi non dovremmo fare i conti  con una scia di attentati a bassa intensità in Italia e in Europa, con l’università La Sapienza occupata al grido “basta 41 bis”, studenti reclutati alla battaglia senza avere chiaro in testa di cosa si stia parlando e un fine settimana di manifestazioni e mobilitazioni tra Roma e Milano che non lascia intendere nulla di buono. 

In questa lista di sconfitti ci sono anche Giorgia Meloni e il suo cerchio magico, la cerchia di fedelissimi con cui molti leader negli ultimi lustri hanno pensato di affrontare la sfida di governo. Trasformandolo spesso in un bunker soffocante.  Ci sono stati “cerchi”, “gigli”, ora c’è la “fiamma magica”. Che sta perdendo intensità. E fiammelle.

La fiamma magica

I Meloni’s watchers hanno con cura disegnato le fiammmelle che compongono la cerchia dei fedelissimi.

Chi conosce la storia del Msi prima e di An poi, ha appreso nel tempo che non c’è posto nella “fiamma magica” di Giorgia per personaggi cult come Ignazio La Russa, Adolfo Urso, nomi che sono la storia di via della Scrofa. Esclusa anche la new age della destra italiana, a cominciare da quel Fabio Rampelli che pure ha avuto un ruolo chiave nella formazione di Giorgia e della sorella Arianna (vero nume tutelare della fiamma magica) e che di recente è stato addirittura sfiduciato perchè sospettato di coltivare il correntismo interno.  Si salva, un po’, quella generazione Atreju che ha pescato nei movimenti delle destra giovanile di cui Giorgia Meloni è stata leader. Per volere di Gianfranco Fini, il suo primo mentore. Arriva da qui la coppia - Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro delle Vedove, uno da Firenze e uno da Biella  -  che ha organizzato l’agguato parlamentare al Pd. E ha offuscato i primi cento giorni di governo che Meloni immaginava di celebrare con la sua campagna estera, dal nord Africa al  nord Europa. Donzelli detto “Minnie” (ha confessato una volta in tv che una volta si è travestito da Minnie) e Delmastro detto “Topolino” (copyright Paolo Mieli perchè i due condividono la casa a Roma) sono la longa manus di Meloni, ricoprono ruoli chiave nel partito e nel governo: Donzelli ha in mano l’organizzazione di Fratelli d’Italia ed è stato imposto anche in un’altra casella molto delicata: la vicepresidenza del Copasir, l’uomo dei dossier per conto del Capo. Delmastro è stato messo in via Arenula a “conrollare” il garantismo di Nordio. Sul dossier intrcettazioni, la spaccatura dentro la maggioranza è stata evidente.

Hanno agito da soli o è stato tutto pianificato? Difficile dire. Di sicuro la premier non li ha smentiti. Da tre giorni evita ogni domanda e risposta diretta sul loro conto. Non può mollarli. Ma sono entrambi azzoppati. E questo è un problema.

Il nucleo familiare

Dallo stesso ceppo arriva Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alle Presidenza del Consiglio con delega all’attuazione del programma. Con Meloni condivide ruoli tecnici fin dai suoi primi incarichi di governo con i governi Berlusconi e lo ha voluto accanto a se nuovamente a palazzo Chigi in un ruolo chiave. A parte una scivolata sul circuito pos “che è moneta privata perché delle banche” e che costò il definitivo passo indietro sul progetto di togliere l’obbligo del pos, Fazzolari segna ad ora percorso netto. Senza errori nè sbavature. Come un altro perno della “fiamma magica”, Francesco Lollobrigida, detto Lollo, nominato ministro all’Agricoltura anche se molto abile nel tenere i gruppi e probabilmente con la sua gestione questo guaio non sarebbe successo. Con Lollobrigida entriamo nel nucleo primario della fiamma magica, quella familiare, dove il vincolo è il sangue. Il ministro infatti è il marito dell’amatissima sorella Arianna e padre delle due nipotine. Meloni non farà ritirare deleghe ai suoi gioielli ma è possibile che attribuisca ruoli più importanti, nel partito, alla sorella. 

Dello stesso nucleo primario fanno parte le collaboratrici storiche, Giovanna Ianniello e Patrizia Scurti (cresciuta al fianco di Fini)sorta di vestali onnipresenti.

 Poi ci sono le new entry che si stanno avvicinando in fretta al nucleo centrale della fiamma, come Augusta Montaruli, Chiara Colosimo, colonna dell’ufficio studi di An e ad un passo da diventare ministro, Sara Kelany, l’avvocato patriota, Francesco Filini. Segnalato anche il senatore Alberto Balboni, abile pescatore che pare rifornisca casa Meloni di pesce fresco nei mesi estivi. Balboni è stato più realista del re ripetendo il giorno dopo le stesse meschine insinuazioni urlate da Donzelli. Per non essere da meno Delmastro, colpevole  “solo” della propalazione di materiale sensibile, ieri si è portato al pari di Donzelli e Balboni dichiarando che non solo il Pd ha strizzato l’occhio a Cospito ma “ha fatto anche l’inchino ai boss mafiosi rinchiusi a Sassari così come aveva chiesto Cospito”. La malafede ormai è pane quotidiano: ciascun deputato può, anzi deve, andare in carcere a verificare le condizioni dei i detenuti, tutti e non di uno solo. In questo caso altri detenuti al 41 bis tra cui anche capomafia. 

Indebolito anche Nordio

Chissà se stamani la premier darà una risposta. E’ un fatto che il caso Donzelli-Delmastro continua a crescere, la minaccia anarchica ha ripreso quota e rischia di scappare di mano, il governo e la maggioranza escono spaccati da questa vicenda e la premier indebolita perchè non solo la “fiamma magica” perde fiammelle. Anche il ministro per cui si è spesa di più - il Guardasigilli Carlo Nordio - esce  indebolito da questa vicenda.

L’ordine di palazzo Chigi è di chiudere qui la storia, evitare altri strascichi, senza vincitori nè vinti, possibilmente. Da qui nasce, anche, il pasticcio combinato giovedì sera tardi quando il ministro Nordio, da martedì balbettante e in evidente difficoltà, ha diffuso un comunicato stampa che cerca di assolvere Donzelli (“la scheda di sintesi che ha riferito in aula il 31 gennaio non è coperta da segreto e vincolata al segreto investigativo”) senza però poter negare che le informazioni diffuse erano sensibili e "non divulgabili”. Nonostante lo sforzo lessicale, il ministro Nordio non può però superare l’ostacolo  della “limitata divulgazione” di cui Donzelli e Delmastro si sono colpevolmente dimenticati. Non deve essere stato facile per una persona istituzionale e di ferrea cultura liberale come il Gurdasigilli, prestarsi ad un simile scempio di regole e principi. Di affidabilità.

La richiesta di dimissioni per “inaffidabilità”

Le opposizioni, tutte,  dal Pd  ai 5 Stelle passando per il Terzo Polo, chiedono le dimissioni di Delmastro da sottosegretario alla Giustizia, in alternativa chiedono al ministro il ritiro delle deleghe all’amministrazione penitenziaria (motivo per cui ha avuto accesso a quei documenti). Chiedono anche le dimissioni di Donzelli da vicepresidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sulla sicurezza. E’ quello il luogo della massima riservatezza, ai suoi componenti vengono affidati i segreti più delicati della Repubblica: con quale animo d’ora in poi, davanti a Donzelli, il presidente Guerini potrà condividere informazioni secretate?

Ma la premier non molla i suoi fedelissimi. Non  può farlo. Vorrebbe dire sconfessare se stessa. E anche aprire una breccia nella sua “fiamma magica” comunque ormai affievolita. Azzoppata. E questo, oltre ai problemi con Forza Italia e Lega - che escono rafforzati da questa storia - e a quelli interni con le correnti di Fratelli d’Italia che iniziano a mettere in fila errori, delusioni e scontenti (uno su tutti Fabio Rampelli), è un quadro d’insieme che certamente Meloni avrebbe volentieri evitato.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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