Calenda rompe tutto e si ricomincia da capo. Terzo polo e doppia cifra ad un passo. La corsa diventa a quattro
Il leader di Azione alla fine non regge le contraddizioni di una coalizione che comprende anche Fratoianni. “Ho chiesto a Letta di fare una cosa solo noi e il Pd. Ha detto no”. Il rebus delle firme. L’incontro con Italia viva sembra inevitabile. Se prevale il buonsenso
E’ saltato tutto. In direzione centro - cioè Calenda - e in direzione sinistra visto che, nonostante la tela che le tante Penelopi in forza nel Pd hanno tenuto compatta sul telaio, Giuseppe Conte ieri, una volta che i cocci erano in terra, s’è tolto anche lo sfizio di fare l’amante tradito che dice “no grazie, troppo tardi, io merito altro”. “Qualcuno mi chiede: e se ora Letta riaprisse al Movimento? - ha scritto il capo politico del Movimento in un post pubblicato verso le sette di sera - Provo a dare una mano e a evitare ulteriori imbarazzi: noi non siamo professionisti della politica. Il balletto di questi giorni, tra giochi di potere e spartizioni di seggi, ci ha lasciati stupefatti. Noi condividiamo con i comuni cittadini una visione della politica diversa”. A scanso di equivoci, poiché nella bollente domenica pomeriggio agostano, ne erano già successe fin troppe, al Tg1 della sera il segretario dem ha fugato ogni dubbio: “Il no a Conte è stata e resta una scelta definitiva”. Premesso che da qui al 22 agosto quando finalmente il grande gioco delle coalizioni e delle alleanze sarà finito oltre ogni ragionevole dubbio, ancora molto altro andrà ancora in scena, la giornata di ieri segna uno spartiacque non solo nella campagna elettorale ma nella giovane eppure tribolata storia del Pd.
Una corsa a quattro
Salvini, Meloni e Berlusconi, che hanno i loro guai e sono una coalizione destinata a frantumarsi una volta chiuse le urne, sono lì con il pop-corn tra le mani a godersi la scena che è andata francamente al di là di ogni ottimistica speranza. Nel centrosinistra il quadro è cambiato di nuovo. Il 25 aprile sarà corsa a quattro alla faccia del bipolarismo previsto dalla legge elettorale. Il Terzo polo prende forma, non si sa ancora con quali volti e protagonisti ma ha già una casa comune in Europa (Renew Europe, liberali e progressisti insieme, da Macron a Italia viva) e ora logica vorrebbe che la trovasse anche in Italia. Calenda e Renzi dovrebbero cioè mettere da parte i personalismi e dare vita ad una forza politica nuova, libera dal schemi degli ultimi trent’anni in grado di rispondere alla richiesta di offerta politica. Il Pd si ritrova più solo, certamente più omogeneo ma anche più schiacciato a sinistra. A discapito dell’ala riformista e liberal. Non era questa la visione che nel 2007 portò alla nascita dei dem. Comunque andrà, è chiaro che servirà presto un congresso per definire una volta per tutte l’identità politica del Partito democratico.
La decisione più sofferta
Calenda è stato 24 ore in silenzio social dopo l’ottovolante di dichiarazioni e insulti che venerdì gli “alleati” di centro e di sinistra del Pd si sono vicendevolmente scambiati. Poi ieri ha scelto il faccia a faccia con Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più” su Rai 3 per comunicare la sua irreversibile decisione. “E' una delle decisioni più sofferte - ha detto - ma non intendo andare avanti con questa alleanza. E’ vero che ho firmato e sottoscritto un ottimo patto cinque giorni fa ma un secondo dopo sono iniziati gli insulti alla persona e le provocazioni politiche, da “l’agenda Draghi valla a comprare in cartolibreria perchè non esiste” a “cosa c’entra il pariolino con noi”. Poi nelle ore e nei giorni seguenti Letta ha continuato a stringere accordi con “pezzi stonati”, Sinistra italiana e Verdi, Di Maio e Tabacci, due dei quali non hanno mai votato la fiducia a Draghi e Di Maio, quando divenne ministro nel Conte 1, ha scientificamente smontato tutto quanto avevo fatto al Mise”. L’enfasi delle conferenze stampa di sabato, direttamente nella sede del Nazareno e l’umore della sua base sempre più agitato, hanno fatto il resto. Quel fronte allargato e così disomogeneo prima “contro il fascismo” e poi “in difesa della Costituzione”, aveva il sapore dell’artificio non certo in grado di convincere l’elettorato. “I cittadini, i miei elettori, non avrebbero mai capito” si è giustificato ieri.
Non ci sta Calenda a passare per lo sfasciatutto (“non è mai stato un mio obiettivo distruggere il Pd”), per quello inaffidabile (“sapevo che ci sarebbero stati altri alleati, ma non così centrali e così enfatizzati dalla segreteria”) e traditore. Anzi: “Ho spiegato a Letta, che ringrazio e con cui spero non ci divida alcun rancore, che la coalizione che lui ha in mente non avrebbe mai funzionato”. Gli ha allora proposto di fare una cosa “noi da soli, Pd e Azione” per avere “un fronte compatto per fare qualcosa. Ma Letta non ha accettato. Sono molto deluso”. Se ne va cosi alle 15 di una domenica d’agosto il pezzo di centro, quello più corteggiato e più difficile da convincere, del fronte democratico progressista messo pazientemente insieme dal segretario Pd per sfidare FdI, Lega e Fi.
Il Pd quasi solo
Ascoltato Calenda, al Nazareno sono andati su tutte le furie. “Onore è rispettare la parola data. Il resto è populismo d’élite”. Il segretario dem affida la prima replica ad un tweet amarissimo: “Da tutto quel che ha detto, mi pare che l'unico alleato possibile per Calenda sia Calenda. Se lo accetta. Noi andiamo avanti nell'interesse dell’Italia”. Poi la sera al Tg1 dove ribadisce, ai tanti che dentro il Pd stanno ancora lavorando per un ritorno di fiamma con i 5 Stelle, che “è stato Conte a far cadere il governo Draghi. Si è assunto un'enorme responsabilità e per noi, questo è un fatto conclusivo”. Nel frattempo, Conte aveva a sua volta chiarito in un post che “il Movimento è altra cosa rispetto alle dinamiche viste in queste ore”. Che in effetti non è neppure questa gran smentita.
Il quadro delle coalizioni al centro e a sinistra è stato dunque stravolto. Di nuovo e in poche ore. Il Pd andrà con Impegno civile (Di Maio-Tabacci) al centro; Fratoianni e Bonelli a sinistra; i bersaniani protagonisti della scissione di Articolo 1 già rientrati nelle liste Pd. Ancora in forse + Europa. Ieri sera Emma Bonino spiegava che “i vertici del partito sono rimasti delusi e perplessi visto l’accordo firmato e sottoscritto sono rimasti piuttosto sconcertati. “Grande sorpresa per la decisione unilaterale presa da Calenda - ha detto Riccardo Magi, deputato e presidente di +Europa - noi continuiamo a dare una valutazione positiva del patto con il Pd”. Oggi una direzione assumerà la decisione finale.
Firme sì o no?
La decisione di +Europa è fondamentale per comporre il quadro delle alleanze. Un tema sempre sottotraccia in questi giorni è quello delle firme. E del simbolo. Calenda non ha la certezza matematica di non dover raccogliere le firme per poter presentare il simbolo di Azione. Correre in coalizione con chi non ha problemi col simbolo (+Europa o anche Italia Viva), lo mette al riparo da ogni sorpresa. La vicenda è controversa e sta dividendo i tecnici. Il punto è che la risposta può essere data solo dalle Corti d’Appello una volta depositato il simbolo il 22 agosto. A quel punto però, se la Corti daranno verdetto negativo, bocceranno cioè il simbolo, sarebbe troppo tardi per Calenda e gli iscritti ad Azione che non potrebbero più partecipare alla campagna elettorale e al voto.
Il testo della legge
La faccenda è molto tecnica. Può essere semplificata andando a leggere la legge “elettorale” modificata in primavera. L'articolo 6-bis, introdotto nel corso dell'esame in Commissione proprio da Magi e Ceccanti, prevede che “ esclusivamente per le prime elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica successive alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, l'esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni per la presentazione delle candidature si applica anche ai partiti o ai gruppi politici che rispettano almeno una delle seguenti condizioni: 1) sono costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle Camere al 31 dicembre 2021 (oltre quelli costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura come previsto dalla normativa ordinaria); 2) hanno presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni per la Camera dei deputati (4 marzo 2018) o alle ultime elezioni europee (26 maggio 2019) in almeno due terzi delle circoscrizioni ed abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale oppure hanno concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito sul piano nazionale un numero di voti validi superiore all'1% del totale”. Azione non ha avuto il gruppo Parlamentare prima del dicembre 2021 (cosa che hanno fatto Italia viva, + Europa, Noi con l’Italia e Centro democratico) e alle Europee del 2019, dove ha eletto Calenda appunto, ha corso con il simbolo di “Siamo Europei”. Calenda ritiene, con i suoi esperti, che quel simbolo sia sovrapponibile a quello di Azione nel senso che si tratta della stessa cosa, stessi fondatori, stesso statuto. Una larga fetta di tecnici prende il testo alla lettera dove la parola chiave è “contrassegno”. Il problema è che nessuno può avere il verdetto finale fin tanto che non si sono espresse le venti Corti d’Appello. Cioè dopo il 22 agosto. Ma a quel punto sarebbe troppo tardi. Un rischio decisamente troppo alto.
“Raccoglieremo le firme”
Calenda scarica la responsabilità di questa incertezza sul Viminale. Ma la risposta, come detto non può arrivare da lì. “Allora vorrà dire che raccoglieremo le firme” ha detto ieri allargando le braccia. Nella notte è partito l’appello agli attivisti e simpatizzanti: “Se sei un avvocato dacci una mano ad autenticare le firme”. Ne servono almeno 36mila firme. Il “quantum” delle firme è legato al numero di collegi plurinominali definiti nella legge elettorale e diminuiti dopo i tagli del numero dei parlamentari. Per potersi presentare su tutto il territorio nazionale servirebbero circa 73.500 firme. La legge dice però che “in caso di scioglimento anticipato delle Camere, il numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà” 750 firme per ogni collegio plurinominale. E’ necessario dunque raccogliere complessivamente 56.250 firme (36.750 per la Camera e 19.500 per il Senato); ma visto che chi firma per la Camera firma anche per il Senato, la soglia è di 36.750 persone che firmino le liste.
Che fanno adesso Carlo e Matteo?
Calenda sembra quindi intenzionato a raccogliere le firme ed andare da solo. Una sfida pazzesca che potrebbe già di per sè dare una bella carica alla base di Azione e sentire il polso degli italiani. A meno che non trovi un'intesa con Matteo Renzi, al lavoro sul Terzo Polo con le liste civiche dell'ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Ecco che nelle prossime ore occhi e orecchie di osservatori e analisti saranno tutte addosso ai due leader: Renzi valorizzò Calenda mandandolo prima a Bruxelles per curare gli affari europei e poi nominandolo ministro al Mise; Calenda ruppe con Renzi, e con il Pd, quando nel 2019 fu proprio la regia di Renzi a dare un’altra opportunità alla legislatura portando il Pd al governo con i 5 Stelle e fondando, un minuto dopo, Italia viva.
Renzi, che intanto ieri ha chiuso l’accordo importante con i i sindaci a cominciare da Pizzarotti, tiene la porta più che socchiusa prefigurando una intesa che potrebbe valere - è convinto - un numero a due cifre. “Tra tante difficoltà, internazionali e domestiche, ora è il momento della Politica con la P maiuscola. Abbiamo una opportunità straordinaria #TerzoPolo” ha twittato il leader di IV ieri pomeriggio qualche ora dopo lo strappo. Più netto Ettore Rosato che spiega: “Ci si candida con un progetto chiaro, comprensibile per gli italiani. Italia Viva e il terzo polo lo fanno al centro, alternativi alle confusione di destra e sinistra, sull'agenda Draghi, su quel progetto che ha rilanciato il nostro Paese e che ha bisogno di continuità”. Possibilista ma con ancora tanti dubbi Carlo Calenda: “Renzi non l'ho sentito, ma gli dirò che come non si fa la politica destra contro sinistra non si fa nemmeno contro chiunque. Bisogna spiegare agli italiani come governare. Non ho parlato con lui ma lo farò”. Circa la possibilità di convergenze concrete non si sbilancia. “Vedremo. Negli ultimi due giorni ho ricevuto dai renziani contumelie, qualsiasi scelta non coincida con quella del loro leader per loro è una scelta da traditore della patria”.
L’appello per il Terzo polo
Ma il leader di Iv parlando con i suoi lascia la porta più che aperta. Se Calenda ci ripensa è il benvenuto - è il suo ragionamento -e prendiamo il 10 per centro altrimenti andiamo da soli e arriviamo al 5 per cento.
Dalla Lombardia parte un appello per la costituzione del terzo polo che, basandosi su un accordo tra Iv e Azione, “possa accogliere chi crede sia necessario realizzare l'agenda Draghi e non si riconosce nelle coalizioni di destra e di sinistra”. Le prime firme sono dell’ex sindaco di Milano, Gabriele Albertini, Guido Della Frera di Italia al Centro, oltre a diversi amministratori locali lombardi. “Gli italiani devono esprimere il proprio voto, sicuri di scegliere programmi chiari e contenuti di governo, non forme di alleanze solo tattiche che si sfalderanno subito dopo il voto per le loro contraddizioni”. Un appello diretto proprio a Matteo Renzi, perchè fin dall'inizio - si sottolinea - “ha creduto nel Terzo Polo, a Carlo Calenda e a tutte le forze che si riconoscono totalmente senza se e senza ma nell'agenda Draghi per trovare un accordo e costituire una singola lista elettorale”. Un ipotetico patto tra Azione e Italia Viva potrebbe valere il 10% dell’elettorato. Alcuni sondaggisti accreditano a tutta l’area almeno il 15 per cento. Wait and see, aspettare e vedere, direbbero gli inglesi.