C'è di nuovo Mattarella: cronaca surreale della vittoria dei peones contro i loro leader
Una lunga settimana di passione, quella del Parlamento riunito in seduta comune che si rifugia sul bis. Certificando la nullità dei partiti
Finisce con un’aria di festa come se l’Italia avesse vinto, di nuovo, gli Europei o la Coppa del Mondo. E’ l’atmosfera del Transatlantico di Montecitorio, quando a metà mattina di sabato arriva la notizia che la situazione si è sbloccata. Matteo Salvini ha accettato il Mattarella bis, cioè quello che tutti aspettavano, specie gli altri partiti (tranne Giorgia Meloni, si capisce), e quindi ogni pericolo di candidati che rischiano di sfracellarsi, per non dire di governo che cade, urne anticipate e altri drammi politici nazionali, muore, sventato.
Una festa surreale
Ed ecco che l’aria di festa, come se fossimo in quelle domeniche di provincia in cui si comprano le ‘pastarelle’ e ci si veste bene per andare a messa, passeggiare per il corso del Paese e poi prepararsi al pranzo domenicale si diffonde, straripa, tracima, alla Camera dei Deputati. In Transatlantico e in cortile, dopo giorni di facce livide e conciliaboli seriosi, nervi tesi allo spasimo e paure angosciose, è tutto una pacca sulle spalle, sorrisi larghi, abbracci, baci e foto.
Prima il sì di Matteo Salvini, poi l'annuncio dopo il vertice della maggioranza: si va verso il Mattarella-bis ed era quello che chiedevano, da giorni, i parlamentari votandolo a ogni scrutinio con una progressione, e una precisione, teutonica: 16 voti, poi 39, poi 126, poi 136, 46 al quinto scrutinio (ma solo perché è il giorno degli astenuti), infine l’apoteosi: 336 al sesto scrutinio e, appunto, ben voti 759 al settimo scrutinio: 94 voti in più rispetto alla prima elezione del 2015, che lo portano a diventare il secondo presidente più votato dopo Sandro Pertini, con 832. Un’elezione, cioè, a ‘furor di Parlamento’, segno che i peones ‘comandano’ ancora, almeno in tali occasioni, a dispetto dei leader.
I kingmaker: Ceccanti, pezzi di Pd-M5s e poi?
“Il Parlamento ha vinto, i leader hanno perso, la lettura è questa”, dice il 5 Stelle Sergio Battelli. L'indicazione di scheda bianca data ai grandi elettori dal M5S e dal Pd è stata ribattezzata ‘biancarella’. Ovvero: si dice bianca, poi tutti votano per il presidente uscente. Stefano Ceccanti del Pd è felice come una Pasqua, un gruppo di colleghi del Movimento lo omaggia: “Ecco il kingmaker!”. Un collega giornalista lo sfotte: “Pare che Zampetti (segretario generale del Quirinale, ndr.) sia stanco, al Colle vogliono te che eri rimasto il solo ‘giapponese’ a crederci”.
In casa dem Ceccanti era uno dei promotori originari, assieme a Matteo Orfini, leader dei Giovani turchi, del bis, a dispetto dei santi. Come il santino che porta Valter Verini in tasca e che, non a caso, recita: “Santo Mattarella proteggici”.
“Cosa dico ai costituzionalisti che hanno da ridire? Che li invitiamo una settimana qui a fare uno stage, così capiscono che la politica è una cosa diversa”, scherza Ceccanti, che poi vuole stravince: con tanto di comunicato dice che “la rielezione di Mattarella diversa da quella di Giorgio Napolitano nel 2013, perché allora furono decisivi i leader, questa volta è stato decisivo il Parlamento. Il consenso per Mattarella è prodotto da un movimento dal basso di parlamentari, di tipo trasversale a tutti i gruppi. Molto spesso voi giornalisti parlate di crisi del Parlamento, dite che dal punto di vista legislativo fa tutto il Governo... Ecco che, invece, qui il Parlamento è stato in sintonia con il Paese, perché nel Paese questa era la soluzione ritenuta più giusta. E’ una pagina di orgoglio del Parlamento”.
Si appalesa anche Giancarlo Giorgetti, numero 2 della Lega e anche lui raggiante. “Tagliamo il traguardo a braccia aperte, ce l'abbiamo fatta!”, dice al 5 Stelle Simone Valente. Il quale ragiona: “Il Parlamento per giorni è andato contro le indicazioni dei capi di partito, votando di testa propria. Siamo di fronte alla rivincita degli eletti”.
Per i leader la convergenza su Mattarella è uno zero a zero palla al centro. Nessuno ha vinto, o forse tutti hanno perso. Ma appunto, festeggiano i Grandi elettori. Mattarella garantisce stabilità, la naturale conclusione della legislatura, l'ultima prima del taglio dei parlamentari e le elezioni. Poi, a dirla tutta, a settembre scatta la pensione per tutti ai 65 anni di età, un particolare malizioso, nessuno ne parla, ma tutti ci pensano.
Settimana di passione, scrutinio dopo scrutinio
Ma come si è arrivati al Mattarella bis? La settimana che si è aperta lunedì 24 gennaio e che si è conclusa sabato 29 gennaio, all’VIII scrutinio (prima un voto solo al giorno, poi ben due…), è stata – e tale è sembrata a tutti i suoi protagonisti – lunga, tormentata, complessa, faticosa, nervosa.
I deputati malati votano nel parcheggio
Il Parlamento, tirato a lucido (Transatlantico riaperto, Buvette pure, cortile d’onore con in mezzo una tensostruttura enorme e riscaldata), è convocato per la prima seduta il 24 gennaio. Prima, sono andate in scena molte polemiche su come far votare i Grandi elettori ammalati di Covid o in quarantena: si è deciso di approntare per loro un seggio speciale, di fortuna, nel parcheggio di Montecitorio, dove potranno votare ‘in sicurezza’. Si registrano in 22 e votano in 11. Saranno sempre su queste cifre, ma mentre il primo giorno molti occhi sono puntati su di loro, poi l’attenzione scema. La no-vax, ex 5Stelle, Sara Cunial protesta perché non può votare neppure lì in quanto sprovvista di Green pass e annuncia ricorsi alla Consulta “per invalidare le votazioni”, ma nessuno la prende sul serio, le luci si spengono sui ‘malati’ e si accendono sui ‘sani’.
Draghi vuole candidarsi, Berlusconi non corre
Dal punto di vista politico, ormai da mesi, tutto ruota intorno alla ‘gran voglia’ – pure conclamata – di Mario Draghi di ascendere al Colle, come ha fatto capire nella conferenza stampa di fine d’anno. Mattarella si è reso indisponibile al bis. Lo ha detto e ridetto, sembra che non ci ripensi. Quindi, l’unico candidato ‘ufficioso’ è Draghi.
Il guaio è che i peones non vogliono Draghi: temono che, una volta via lui da palazzo Chigi, salti pure la legislatura. I partiti neppure loro lo vogliono al Colle perché temono che accentri troppo potere. I leader sono stanchi di subirne le esose pretese e, da Salvini a Conte, passando per Berlusconi e Renzi, preferirebbero accordarsi su un altro nome. Il guaio è che tutti gli incontri preparatori – e le telefonate, i vari vertici, pubblici e segreti – tra i leader sono andati male.
Su un nome condiviso non c’è accordo e, quindi, nessuno prova a fare la prima mossa, temendo di non avere i voti per passare, di bruciare candidati. La candidatura di Silvio Berlusconi è stata, ufficialmente, ritirata pochi giorni prima, in un drammatico vertice del centrodestra in cui il Cavaliere si è collegato via Zoom, senza neppure farsi vedere in video. Poi si scoprirà che sta male e finirà ricoverato al San Raffaele per visite e accertamenti, ma quel giorno non si sa.
La fantomatica ‘operazione scoiattolo’, gestita da mediatori improvvisati come Vittorio Sgarbi, è andata male, malissimo. I “settanta, fino a cento” voti dei ‘desperados’ del gruppo Misto sul Cav, non ci sono. Meloni e Salvini chiedono si ritiri. Lui li accontenta, ma la coalizione è già in pezzi. Il centrodestra non ha un candidato ufficiale al Colle, ma non ce l’ha neppure il centrosinistra, che non riesce a trovare la quadra tra Letta e Conte mentre Renzi e i centristi iniziano il loro lavorio, sempre più scoperto, per lanciare Casini.
Schieramenti di partenza e primo scrutinio
Sulla carta, gli schieramenti di partenza sono questi. Su 1009 Grandi elettori (630 deputati, 315 senatori, sei senatori a vita, 58 delegati regionali) il centrodestra ha 453 Grandi elettori (212 Lega, 141 FI-Udc, 63 FdI, 32 Coraggio Italia, 5 NoicI), il centrosinistra ne ha 413 (234 M5s, 154 Pd, 18 LeU, sei Centro democratico), i centristi 49 (44 Iv e 5 Azione∓Europa) mentre il mare magno del gruppo Misto (113 in totale, 66 Camera e 47 Senato) vede una miriade di gruppi e gruppuscoli privi di chiarezza, tra cui ben 48 non iscritti a alcuna componente (21 Senato, 24 CdD).
La prima votazione va via così, senza patemi, un puro gioco di posizionamento degli schieramenti. Tutti i grandi partiti decidono di votare scheda bianca. Ma, su 976 votanti (33 gli assenti) sono solo 672 le bianche, il che vuol dire che in 245 hanno deciso di entrare e votare. Nulle 49, voti dispersi 88 in una ‘sagra’ del voto più pittoresco, poi iniziano i voti veri. Mattarella ne prende 16, il primo risulta il magistrato Paolo Maddalena, votato dagli ex M5s di Alternativa e altri del Misto, nove i voti per Cartabia (quelli di Azione) più altri 169 dispersi tra i candidati più diversi (Berlusconi 7, Bossi 6, altri ancora…). Il quorum, irraggiungibile, è fissato a 673 voti, la maggioranza qualificata dei due terzi, su 1009.
La girandola dei nomi. Il secondo scrutinio
Il secondo giorno i leader iniziano a ‘friggere’. Mentre il centrosinistra, e il Pd, si inizia a dividere, in maniera sotterranea, tra il ‘partito’ di Casini (gli ex renziani di Base riformista, i franceschiniani di Area dem) e il ‘partito’ di Amato (sinistra interna di Orlando e Provenzano), il centrodestra non trova la quadra, non avanza nomi ufficiali, ma getta candidati nel ventilatore. Gira forte il nome dell’ex ministro degli Esteri, e neo-presidente del Consiglio di Stato, Franco Frattini, con cui Salvini ‘tenta’ Conte per staccarlo dall’asse progressista, ma i 5Stelle recalcitrano, Di Maio si mette in mezzo e, complice Renzi, che spara contro le sue presunte simpatie ‘filo-russe’ fa saltare l’operazione, che ottiene anche il niet definitivo di Enrico Letta, che continua a insistere su Draghi mentre Salvini continua a dire no, intimando che resti a Chigi.
Intanto, mentre nei Palazzi del Potere si discute, si litiga, va in scena, in aula, il secondo scrutinio. E’ martedì 26 gennaio e, come il primo giorno, si vota su due chiame che rispettano l’ordine di ingresso stabilito (senatori, deputati, delegati) ma solo 50 alla volta, causa rischio Covid. Le operazioni sono lunghe e complesse, il Palazzo – dal Transatlantico al cortile d’onore – è pieno come un uovo. Anche stavolta l’esito è inutile. Votanti 976 (33 gli assenti), schede bianche 527, in netto calo, nonostante sia l’indicazione di tutti i partiti della maggioranza come di FdI (in totale, dovevano essere 917, quindi ne mancano 390…), le nulle sono 38, in calo, i voti dispersi 125, in salita, tra i voti presi quelli per Mattarella salgono a 39 (tutti del M5s), i voti per Maddalena sono 39 cui poi seguono una serie di voti ad altri, minori. Tra questi, vanno segnalati gli 8 voti a Manconi (indicato da Sinistra italiana-Verdi) e gli otto a Cartabia (i calendiani), ma fioccano i voti anti-FI per Berlusconi e anti-Salvini per Giorgetti-Volpi.
La ‘terna’ del centrodestra e il terzo scrutinio
Il 26 gennaio il centrodestra prende la decisione di proporre la famosa ‘terna’ di nomi che offre al centrosinistra, ma è composta da tre ‘irricevibili’ (Pera-Moratti-Nordio) e tutti sanno che si tratta di nomi finti, che neppure verranno messi ai voti. Insomma, nomi nati per essere subito ‘bruciati’. La carta coperta, però, c’è ed è la presidente del Senato, Elisabetta Maria Alberti Casellati. Il centrosinistra rifiuta la terna, e qui è facile, ma Conte sarebbe ‘tentato’ dalla carta Casellati. Renzi continua a lavorare per Casini, ma vuole preservarlo per dopo che altri nomi si bruceranno e non lo candida ufficialmente. Il Pd cerca di tenere i fili dell’alleanza con il M5s ma è dura.
Comunque, nel terzo scrutinio, accadono cose e fatti nuovi, per la prima volta. Su 978 votanti (31 gli assenti) le schede bianche crollano ancora (412), ma stavolta fanno il boom due nomi: Mattarella, che ingrana la marcia, sale a 125 voti (molti i pentaastellati, ma anche i dem, a votarlo) e Guido Crosetto, presentato all’improvviso da FdI che protesta contro Lega e FI che vogliono continuare a tenere coperte le loro carte. Crosetto prende 114 voti, molti di più dei 63 Grandi elettori di FdI, che esulta. Segue Nino Di Matteo, che schizza pure lui a 61 voti (sempre di ex-M5s), dopo essersi passato il testimone con Maddalena, un nugolo di leghisti insoddisfatti della gestione Salvini (19 voti a Giorgetti, 7 a Bossi, totale 26), 8 i voti per Cartabia, 8 per Manconi, poi gli altri. Nulle 22, voti dispersi 84. Il risultato è nullo, ma inizia a indicare faglie di smottamento notevoli.
Al IV scrutinio si consuma il dramma Casellati
La mattina del IV scrutinio, il primo che si tiene con ‘due turni’ (nel pomeriggio si terrà il quinto) e soprattutto il primo in cui la maggioranza da raggiungere scende, perché è quella assoluta, che prevede il quorum a 505 voti, Salvini convoca un vertice del centrodestra e annuncia che porterà in aula il nome della presidente del Senato. Il centrosinistra – dove si teme, e a ragione, che la Casellati possa pescare voti dentro il M5s, decide di restare fuori dall’aula, dichiarandosi ‘votante non presente’, tuona: candidatura “divisiva”.
Anche Renzi e i suoi escono, ma come assenti. Si arriva al voto in un clima teso, gli sguardi di tutti, stavolta, sono fissi sullo spoglio, che la Casellati presiede, nonostante le proteste, e sul tabellone dei voti. L’aria, il clima, è elettrico, ma quando arriva lo spoglio la sorpresa, per la candidata della destra (Berlusconi l’appoggia da fuori, in FI c’è rivolta, non la vogliono, Lega e FdI la votano compatti) è una debacle. Presenti 981 (73 assenti), votanti 530 (così pochi perché appunto, centrosinistra e Iv che assommano a 457 voti, restano tutti fuori), bianche solo 11, nulle 9, voti dispersi 11, ma soprattutto appena 382 voti per la Casellati mentre Mattarella ne prende solo 46 da gruppi minori e Di Matteo scende a 56 (sempre tanti) mentre Manconi conferma i suoi otto voti.
Parte la caccia al franco tiratore nel centrodestra
Parte la caccia al franco tiratore, nel centrodestra. Alla Casellati sono mancati, sulla carta, 71 voti, ma in realtà i calcoli fatti durante i vertici prima della votazione avevano fissato i voti possibili in 441 calcolando i malati e gli assenti giustificati. Per questo il centrodestra calcola che Casellati ha avuto 59 franchi tiratori, ma dato che alcuni esponenti del Misto alla fine l’hanno votata potrebbe aver perso fino a 101 voti… Cioè come Prodi, che nel 2013 ne prese più di lei.
In passato è successo altre tre volte che l'inquilino di Palazzo Madama provasse a misurarsi nelle urne: solo Francesco Cossiga, nel 1985, era riuscito nel trasloco diretto, e al primo scrutinio. Da allora mai più nessuno c'aveva provato fino a oggi. Prima di Cossiga, invece, una dolorosa bocciatura aveva respinto l'elezione del presidente del Senato Fanfani nel 1971 e, ancora più indietro nel tempo, Merzagora nel 1955.
Il sesto scrutinio e la ‘bruciatura’ di Belloni
Ma la giornata non è finita. Si procede al VI scrutinio in un clima di ancora grande tensione. I partiti danno indicazione, ormai sempre più blanda, di votare scheda bianca, ma gli elettori di Pd-M5s-LeU ottengono ‘libertà di coscienza’. Possono votare Mattarella in modo scoperto. Ormai è sera, quando viene comunicato lo spoglio e recita così. Presenti 976 (33 assenti). Votanti 531, astenuti 445, bianche 106, nulle 4, dispersi 9. Mattarella fa il botto con 336 voti, Di Matteo ne prende 41, Manconi 8, Cartabia 7. “Il Parlamento si è espresso chiaramente” dicono in molti e, mentre Salvini sente Draghi, tutti pensano che solo Mattarella può ‘salvarli’…
La giornata, però, prende una piega inaspettata quando Salvini, finalmente, dopo giorni di ‘buio’, accetta di incontrare Letta e Conte ai gruppi M5s. Salvini e Conte, uscendo, parlando della possibilità di accordarsi su un “presidente donna e brava” e il nome che gira forte, ormai da ore, è quello del capo del Dis (i servizi segreti italiani), Elisabetta Belloni. In rapida successione, però, prima Renzi, poi Tajani, Di Maio e tutta LeU stoppano il tentativo. Letta oscilla, ci pensa, poi riunisce i suoi e capisce che la Belloni non passa. Si ritrova con la rivolta di mezzo partito, dalla destra alla sinistra interna, mentre Di Maio capeggia la fronda nei 5s e FI si mette in mezzo.
Torna in auge, per poche ore, il nome di Casini, su cui vorrebbero convergere i centristi (Iv-Toti), ma quel nome verrà bruciato già la mattina dopo.
Settimo e ottavo scrutinio. Vince Mattarella
La mattina di sabato 29 gennaio ha un esito già scritto. Il tentativo dei centristi (azzurri-totiani) di spingere su Casini, e presentarlo al voto, è fermato da Renzi stesso, persino Casini declina. L’unica soluzione che resta in mano è Mattarella. Salvini se ne rende conto e annuncia l’apertura. Solo Meloni, basita, si oppone: voterà per Nordio. FI esulta. Il centrosinistra non sta nella pelle e nei 5Stelle i contiani devono far buon viso a cattivo gioco. Draghi vede il Capo dello Stato e lo invita a restare dov’è, lui non può sottrarsi.
Il settimo scrutinio è privo di storia. Mentre i capigruppo di tutti i partiti della maggioranza di governo salgono al Quirinale per chiedergli di restare, e Mattarella acconsente, il responso del voto dice presenti 976 (33 assenti), 596 votanti, 380 astenuti (il centrodestra), 60 schede bianche, solo 4 nulle e 9 voti dispersi. Mattarella arriva fino a 387 voti, un’apoteosi, mentre Di Matteo conferma i suoi 40 voti, Cartabia ne prende 4, Manconi 6, Belloni otto, Casini dieci, e Nordio, votato da FdI, che fa il pieno dei suoi, ben 64.
Con il sì di Mattarella ormai incassato e il giubilo dell’intero Parlamento si arriva all’VIII scrutinio, quello definitivo. Presenti 983, votanti 983, assenti zero, schede bianche 25, nulle 23, voti dispersi una decina. Mattarella trionfa con ??? voti, prendono voti anche Nordio, 90, votato da FdI ma anche molti di più di quelli sulla carta (i 63 di Fratelli d’Italia più altri di Lega e Misto) e Di Matteo 37, un po’ meno del suo bacino, ma anche Berlusconi 9, Casini 5, Belloni 6, Draghi 5 mentre 4 perfidi voti sono andati alla Casellati…
Chi vince e chi perde tra leader e partiti
Chi perde e chi vince? Perde Salvini, e su tutta la linea, ‘terremotato’ dentro il partito, con Giorgetti con un piede sull’uscio, per ora solo dal governo, e l’alleanza di centrodestra in pezzi.
La Meloni se ne resterà all’opposizione, e per conto suo, FI al governo con la Lega ma sempre più distante dalla linea, e dagli errori, salviniani. Perde Conte, che dimostra di non riuscire a controllare i gruppi, con Di Maio che, invece, li ha orientati come voleva lui e che controlla 150 parlamentari su 200 e che, soprattutto, ha giocato di sponda con Renzi il quale non vince (la sua prima scelta era Casini) ma non perde neppure perché ha evitato, nell’ordine, di subire le candidature di Draghi, che non voleva si spostasse, di Frattini, Casellati e, infine, della Belloni. Pareggia anche Letta, che tiene compatto il Pd, che aveva sempre detto di volere, al Quirinale, o Draghi (sua prima scelta) o Mattarella, ma che è ‘scivolato’ sulla Belloni, accettandone la candidatura, anche se poche ore. Pareggia, ma male, la Meloni, che tiene duro, ma resta isolata: all’opposizione a Draghi e al Colle. Vince, come si diceva, Di Maio, ma anche FI, con Tajani che, con Berlusconi d’accordo, si è smarcato da Salvini. E vincono, soprattutto, i parlamentari peones che, tanto bistrattati, hanno avuto la loro rivincita. A differenza del bis di Napolitano, imposto dai capi partito (disperati allora come oggi), stavolta, il bis di Mattarella, lo hanno imposto loro. E vince pure il Parlamento.
Commenti