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[Il ritratto] Quanto è tosta la Boschi nella bufera. La secchiona con tacco 12 spacca il Pd ma finirà di nuovo al governo

Una famiglia democristiana fino al midollo, con papà e mamma che si sono addirittura innamorati a un comizio della dc, lei comincia da dalemiana contro Renzi, e finisce renziana contro D’Alema

[Il ritratto] Quanto è tosta la Boschi nella bufera. La secchiona con tacco 12 spacca il Pd ma...

Che Maria Elena Boschi fosse abbastanza divisiva, lo si sapeva già. Un po’ come lei. Molto cattolica, ma niente bigotta, una ex chierichetta che veste con i tacchi 12, che fa un mucchio di palestra e dice che preferisce «essere valutata più per le riforme che per le forme», bella e senza fidanzato, donna in carriera che sogna figli e famiglia, amici e nemici dappertutto, nel suo partito, ma pure negli altri. Se Renato Brunetta, pseudo imitatore di Vittorio Feltri nelle sue performance peggiori, la cataloga un po’ miseramente, «Povera Boschi, troppo potere e visibilità per chi ha letto e studiato poco come lei», lo storico braccio destro di Berlusconi, Gianni Letta, grande mediatore di Forza Italia, le dà del tu, la stima e ne parla pubblicamente con affetto: «Maria Elena fa il sottosegretario, è una bella palestra per diventare primo ministro». Di lei si dice tutto e il contrario di tutto.

Qualche volta ingiustamente, come dimostra Brunetta: in realtà la Boschi è una gran secchiona, maturità al liceo con 100 su 100, laurea in giurisprudenza con 110 e lode, master in diritto societario a 26 anni, e carriera universitaria alle porte, se non fosse arrivata la politica. E anche qui c’è tutta la Boschi: pur arrivando da una famiglia democristiana fino al midollo, con papà e mamma che si sono addirittura innamorati a un comizio della dc, lei comincia da dalemiana contro Renzi, e finisce renziana contro D’Alema. Nel 2008 è portavoce dei comitati a sostegno della candidatura a sindaco di Firenze dell’ortodosso dalemiano Michele Ventura opposto al giovane sfidante Matteo Renzi, già in tiro con fama e propositi da rottamatore. Ma nel 2012 è sull’altra sponda che coordina la campagna elettorale del futuro segretario.

Da questo matrimonio politico discende tutto il resto. Anche quello che sta succedendo adesso, con il pd spaccato in Trentino Alto Adige, dopo la sua candidatura imposta nel collegio uninominale di Bolzano. A 10 giorni dal voto, se ne sono andati in 14, tutti esponenti della minoranza che fa capo al presidente del consiglio provinciale Roberto Bizzo, che aveva protestato subito, appena saputo della nomina: «Così gli italiani dell’Alto Adige non avranno in Parlamento nessun rappresentante del territorio». A Renzi qualcuno aveva osato dirglielo: «Guarda che la Boschi ci fa perdere un mucchio di voti». Però, se una è brava, è brava. E Matteo lo pensa davvero. 

Lei era la Barbie dei renziani, in quel clima tutto giovanilista che soffiava inutilmente sull’Italia dei gerontocrati, happy hour e fashion blogger, vestiti griffati e tacchi 12, scarpe e scollature, foto di look e sorrisi di potere, tutto come se fosse già cambiato il Paese, il voto che corre, il pd che sale, il 40 per cento alle europee, il partito in mano, 80 euro per vincere,  il patto del Nazareno e la Costituzione da cambiare. Ci pensa lei alla Riforma. Che ci vuole? chi li ferma? Berlusconi dice: «La Boschi è troppo bella per essere comunista». E nel partito ossequiano deferenti: «E’ tosta, preparata, la consigliera per eccellenza del premier».  Ma l’Italia rispetta il potere solo se ne ha paura. Se no annusa l’aria e lo butta giù. Loro non si sono accorti che attorno cambiava il clima. Niente più patto del Nazareno e tutti contro la riforma, metà partito in testa, sotto la spinta di D’Alema e Bersani. E’ la rivincita dei rottamati.

Il segnale più forte è arrivato nel novembre 2015, quando scoppia il caso Etruria, la banca dove suo padre Pierluigi siede nel consiglio d’amministrazione dal 2011 e con la carica di vicepresidente dal 2014. Il M5S chiede le sue dimissioni da ministro per le Riforme, respinte dal Parlamento con 373 no. Lei parla a testa alta: «Non ho mai favorito familiari o amici, né c’è nessun conflitto d’interesse. Sono orgogliosa di far parte di un governo che esprime un concetto molto semplice: chi sbaglia deve pagare, chiunque sia, senza differenze e favoritismi. Se mio padre ha sbagliato, deve pagare». Ma ormai la strada ha cambiato indirizzo.

Il referendum boccia le sue riforme: 60 per cento di no. Lei è tosta davvero. Non molla. Torna con Gentiloni da sottosegretario, il posto più delicato che c’è. Dicono che persino Renzi le avesse chiesto di mollare, di saltare un giro. E che lei avesse rifiutato. Maria Elena, nonostante quel che dice Brunetta, è una secchiona. Studia indefessa, legge tomi e ascolta diligente. Poi fa di testa sua. Ma nell’immaginario popolare, è la zarina di Renzi, la principessa di quell’epoca brevissima già lasciata alle spalle dagli italiani, che si sono convinti che ormai non tornerà più. E comunque la buriana è appena cominciata. Maggio 2017: nel suo libro, «Poteri forti», Ferruccio De Bortoli dice che la Boschi chiese a Federico Ghizzoni, ad di Unicredit di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria». Lei gli intenta una causa civile. Poi tocca a Giuseppe Vegas, presidente Consob: «Il ministro Boschi mi ha illustrato una situazione che riteneva inadeguata rispetto al possibile matrimonio di Etruria con Vicenza, ma non mi ha chiesto nessun intervento». Non sono mai accuse dirette, riferimenti precisi a interventi fuori regola. Ma sono espressioni di un quadro. A volte quelli troppo tosti non capiscono proprio questo, quando il quadro è cambiato.

Visto che non molla, cerca lo scontro pubblico con il suo principale accusatore, Marco Travaglio. Confronto tv - si dice così - da Lilli Gruber su la7. Travaglio tira subito fuori Vegas: «Lei interferiva con un’autorità indipendente. A quale titolo si occupava non di banche, ma solo di una? Cosa è questo, se non un conflitto di interessi?». Lei: «Travaglio è un bugiardo, dice cose che non stanno né in cielo né in terra. Sono convinta che se fossi stata un uomo, non mi avrebbe riservato lo stesso tipo di trattamento». Travaglio: «Non mi faccia ridere. Berlusconi è un uomo e gli ho detto le stesse cose per 20 anni». Boschi: «Non c’è stato nessun favoritismo nei confronti di mio padre. Anzi. Il governo ha commissariato il cda di cui lui faceva parte». Poi annuncia querele. A lui. E anche a Di Maio visto che c’è, perché ha detto che lei è come Mario Chiesa, il mariuolo di Craxi: «Io non ho preso mai nessuna tangente. Spero che abbia il coraggio di non nascondersi dietro l’immuntà parlamentare».

Nonostante tutti gli errori grandi o piccoli che possa aver commesso, c’è contro di lei nell’immaginario collettivo un accanimento quasi psicanalitico, come se fosse una pulsione liberatoria. Alle comunali, ad Arezzo - il suo collegio elettorale -, la sinistra perde a sorpresa il sindaco: vince Alessandro Ghinelli di Forza Italia. Se nel pd continuano a borbottare, «hai visto la Boschi?», il nuovo sindaco va oltre. Annuncia che le farà causa per danno di immagine: «A lei e a suo padre. Hanno nuociuto alla reputazione della città. Il brand Arezzo viene associato alle vicende della famiglia Boschi». Ormai sembra un capro espiatorio. Dopo lo scontro con Travaglio, le ordinano il low profile. Basta tv e interviste. Solo presenze elettorali.

A Bolzano ha già diviso di tutti, com’è nel suo profilo. Reinhold Messner è entusiasta: «Apprezzo molto la Boschi, che ho avuto il piacere di conoscere anche durante un’escursione in montagna. E’ una persona vivace, creativa e molto preparata». Mauro Corona piuttosto che votarla sta a casa. Ma lui almeno non voterebbe neanche gli altri. L’hanno accolta a braccia aperte l’Svp e il presidente della Regione Arno Kompatscher, e pure il senatore Karl Zeller. Il sindaco Renzo Caramaschi, indipendente di sinistra: «Io la voto, è una persona in gamba». Peccato che i guai siano arrivati dal partito. Uno dei 14 dimissionari, il consigliere comunale Mauro Randi dice che con la sua candidatura «sono venuti meno i principi del confronto e del cambiamento per i quali all’epoca avevo aderito al pd». E’ come per il referendum: il peggior nemico sta in casa. La Barbie dei renziani paga dazio per tutti.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, giornalista parlamentare   
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