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[L’analisi] La Boschi alla guida del Pd e la “terrazza Parioli” che tiene in ostaggio il partito

La sinistra liberal del Jobs Act, quella riformista del Referendum Costituzionale sonoramente bocciato dal 60 per cento degli italiani a dicembre 2016, non si rassegna ancora a passare il timone della successione in vista del prossimo auspicato congresso PD e pare stia cercando di recuperare l’agibilità politica perduta alle politiche del 4 marzo niente di meno che riproponendo ancora una volta se stessa

Paola Pintusdi Paola Pintus, editorialista   
Maria Elena Boschi
Maria Elena Boschi

“Continuiamo così. Facciamoci del male”. E’ l’espressione sconsolata di Nanni Moretti nella famosa scena del film “Bianca” diventata negli anni il refrain della sinistra italiana, sempre più smarrita, confusa, sospesa tra passato e presente. Una sinistra rimasta via via orfana dei suoi simboli e dei suoi riferimenti ideologici e culturali: la fabbrica, gli operai, il sindacato, il dialogo con le periferie, la lotta per l’eguaglianza e l’emancipazione, contro tutte le forme di subalternità.

Una sinistra che dopo la caduta dei muri e la fine del PCI ha tentato di superare se stessa nella fusione imperfetta con quella parte che sembrava essere più affine del cattolicesimo politico e militante, che d’improvviso guardava oltre confine traendo ispirazione dal modello kennediano dei dem americani prima e da quello liberal blairiano poi. Il “riformismo” preso a piè pari e impiantato senza anestesia nella carne viva della società italiana, davanti alle sfide della globalizzazione deve essere sembrato la via d’uscita più brillante ed anche più facile ad una sinistra sempre più affascinata dalla società liquida teorizzata da Baumann, sempre più “Terrazza Parioli” e sempre meno capace di comprendere i fenomeni di marginalizzazione delle periferie, dove i circoli hanno abbassato le serrande da tempo.

Ecco, quella sinistra – la sinistra liberal del Jobs Act, quella riformista del Referendum Costituzionale sonoramente bocciato dal 60% degli italiani a dicembre 2016- non si rassegna ancora a passare il timone della successione in vista del prossimo auspicato congresso PD e pare stia cercando di recuperare l’agibilità politica perduta alle politiche del 4 marzo niente di meno che riproponendo ancora una volta se stessa. Sembra infatti ormai più che un’ipotesi quella che vorrebbe la pasionaria del Giglio Magico, l’ex ministra delle Riforme ed ex sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, prossima al lancio della sua candidatura per la segreteria del partito. Ad insospettire i ben informati sarebbe il sempre più frequente attivismo della Boschi, che pochi giorni fa in un’intervista al Corriere non ha escluso al prossimo Congresso la possibilità di una donna alla guida del partito.

“Mai dire mai” ha detto la Boschi, parlando in generale senza mai fare un riferimento alle sue intenzioni personali. Di certo si sa però che Renzi continua a riporre grande fiducia nella sua fedelissima, considerandola come una delle poche figure, all’interno della sua corrente, in grado di raccoglierne il testimone nel tempo che gli ci vorrà per far pace con gli italiani. Renzi infatti non ha mai pensato ad un passo indietro, nemmeno dopo l’elezione del Segretario unitario Martina. Semmai il suo è un passo di lato, in funzione meramente riorganizzativa, in attesa del balzo in avanti per la riconquista della segreteria.


Il problema è che la Boschi, a cui non mancano piglio ed ambizione del capo, rappresenta per buona parte della stessa militanza del partito e del mondo di sinistra la quint’essenza simbolica del potere renziano e del suo fallimento. Lo ha detto bene il sociologo Revelli in una recente intervista: “Boschi candidata alla segreteria del PD? Un po’ di pudore non farebbe male, questo è accanimento terapeutico”.

Paola Pintusdi Paola Pintus, editorialista   
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