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Il passo indietro di Biden fa esultare Salvini e spinge in  contraddizione Meloni e Tajani

“Per noi non cambia nulla, saremo sempre e comunque alleati degli Usa” dicono il numero 1 di Forza Italia e il ministro della Difesa fondatore di Fratelli d’Italia. La premier ha imbastito il riposizionamento atlantico e filo-ucraina con il No a von der Leyen.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Il passo indietro di Biden fa esultare Salvini e spinge in  contraddizione Meloni e Tajani
Meloni e Biden (Ansa)

In 120 minuti è successo ciò che il mondo intero attendeva da 25 giorni: Joe Biden lascia la corsa per la Casa Bianca e indica la sua vice Kamala Harris. Doveva succedere entro il fine settimana. E’ successo alle 14 (ora americana, le 20 in Italia) di una caldissima domenica di luglio. Un giorno in più di questa agonia sarebbe stato un disastro: per i Democratici, per i loro finanziatori, per tutta quella parte di mondo che non si capacita come l’uomo accusato di aver organizzato e suggerito l’assalto a Capitol Hill pur di non perdere la Casa Bianca, possa veramente tornare alla Casa il 20 gennaio 2025. Joe Biden non poteva più competere per guidare la superpotenza economica e militare. Adesso i giochi, seppur in ritardo, possono di nuovo cambiare. Lo sa bene Trump che ha subito cercato di umiliare la sua eventuale competitor: “Sarà ancora più bello e più facile battere la Harris”. Lo sanno bene i Dem che sui social sono partiti con la campagna: “Trump è troppo vecchio per nudare il paese”.   

Le reazioni italiane

Il governo italiano sapeva, immaginava, non sapeva bene quando e come sarebbe successo e adesso è in mezzo al solito guado tipico di questa maggioranza su un fronte così delicato come la politica estera. L’asse filoputinista e filotrumpiano che in Italia ha il suo massimo esponente in Matteo Salvini ha reagito in perfetto stile trump. Le altre anime della maggioranza hanno avuto reazioni istituzionali, ovviamente. Ma adesso è arrivato anche per loro, cioè per Tajani e per Crosetto, dopo Fitto il ministro di cui Meloni si fida di più,  il momento della verità: appoggiare i Dem, e quindi la Harris o chiunque sarà indicato dalla Convention Dem del 19 agosto, in nome della continuità in politica estera a cominciare dalla Nato e dall’Ucraina? “Tornare a casa”, a destra, anche se con un po’ di centro, e fare ciò che Salvini ha già ufficializzato ovvero appoggiare Trump e quindi il disimpegno dall’Ucraina e dalla Nato?

E’ un nodo gordiano nel senso letterale del termine, cioè di difficile soluzione. E certo non basterebbe neppure il temperamento Carlo Magno che secondo leggenda risolse quel nodo tagliandolo con la lama della spada.

Casa Bianca, politica estera, Nato, Ucraina: possono sembrare temi lontani e invece ci riguardano incredibilmente tutti da vicino. 

Il No di Giorgia

Salvini e la Lega (qui magari servono più punti interrogativi) sono da tempo sul carro di Trump. In qualche modo ci ha trascinato anche Giorgia Meloni che giovedì non ha votato von der Leyen alla guida della Commissione europea e tra i motivi di quella scelta senza dubbio c’è stata anche la necessità di un riposizionamento rispetto al vento Usa. La premier cui Biden aveva con paternalistica dolcezza accarezzato la testa doveva iniziare a smarcarsi da Joe. Lo ha iniziato a fare giovedì. Rinnegando però che se stessa e i suoi  primi 18 mesi a palazzo Chigi. In un messaggio social il segretario della Lega ha invitato i suoi follower a dire come la pensano sulla candidata indicata da Biden, Kamala Harris, ora che il “peggior presidente Usa della storia, come lo ha definito Trump ha finalmente annunciato il ritiro alla corsa per la Casa Bianca”. Non sono stati da meno gli altri pasdaran leghisti: “Farlo arrivare fin qui, umiliandolo fino in fondo, per poi farlo ritirare. E’ un partito senza morale” ha scritto su X il senatore leghista Claudio Borghi riferendosi ai Dem americani. “Il futuro degli Stati Uniti si chiama Donald Trump” ha dichiarato un altro parlamentare della Lega, Paolo Formentini. 

La cautela di Tajani

Massima cautela invece da parte di Antonio Tajani e Guido Crosetto. “Nulla muterà nei rapporti tra Italia e Stati Uniti” ha detto il vicepremier, ministro degli Esteri e presidente di Forza Italia.  Stessa dichiarazione da parte del ministro della Difesa Guido Crosetto.  “Era una decisione nell’aria e non tocca a noi infilarci nella campagna elettorale degli Stati Uniti” anche perchè “noi siamo amici degli Usa a prescindere” e “lavoreremo bene sia con Trump sia con Harris”. Per Crosetto la scelta del ritiro “è quella giusta per il suo partito e per lo schieramento guidato fin qui. Non credo comunque - ha aggiunto - che il cambio in corsa possa cambiare di molto l’esito delle elezioni. Staremo a vedere”. Anche per il presidente di Noi Moderati, Maurizio Lupi, gli Usa “sono e saranno sempre un alleato strategico per l'Italia indipendentemente da chi guiderà la Casa Bianca”.

Il clamoroso non-detto dietro queste dichiarazioni è che Trump e il suo vice JD Vance hanno più volte dichiarato - e ribadito nella convention di Milwaukee  - che “basterà una telefonata per mettere fine alle guerre in Ucraina e a Gaza”. Make America great again vuol dire, anche, disimpegno militare e abbandonare ciascuno al proprio destino. A cominciare dall’Europa. E’ già successo del resto, nei modi che sappiamo, in Afghanistan. Ursula von der Leyen ha chiesto e ottenuto la maggioranza dei voti a chi crede nell’Europa, nel rispetto e nel ripristino dei confini ucraini e nei diritti, anche dei migranti.  Da che parte starà quindi il governo italiano e dovesse vincere Trump? Il tycoon sotto processo per aver organizzato e sollecitato l’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021 può essere “in ogni modo” l’alleato di palazzo Chigi?  

“Abbassare i toni”    

L’imbarazzo è fortissimo pari al guaio che si profila all’orizzonte. L’auspicio di tutti, maggioranza ed opposizione, è che “si abbassino i toni”. Per il responsabile Esteri del Pd Peppe Provenzano, il ritiro di Biden è un gesto “coraggioso e saggio, degno di chi ha servito le istituzioni per tutta la vita. I successi economici e sociali della sua presidenza resteranno soprattutto per i lavoratori”. L’appello che arriva un po’ da tutte le opposizioni è quello di “battere Trump e salvare la democrazia in America”. 

Allerta sui decreti

Le presidenziali americane diventano così ufficialmente l’ennesimo problema per la maggioranza. Che ne ha già a sufficienza degli altri. Il duello tra Antonio Tajani e Matteo Salvini - dopo la spaccatura su von der Leyen -  preoccupa Meloni. L’atteso chiarimento necessario già dopo il voto per le Europee non c’è mai stato. Oggi pomeriggio è previsto un Consiglio dei ministri e può darsi che i tre - Meloni, Tajani, Salvini - si vedano prima della riunione di governo prevista alle 17. Preoccupano le aule parlamentari che hanno in agenda la conversione di numerosi decreti da convertire entro il 9 agosto, tutti passaggi in cui è necessario che i numeri restino solidi, al riparo dalle fibrillazioni. Meloni ufficialmente non parla, ma lo fanno i suoi. A cominciare da Raffaele Speranzon, vicecapogruppo di FdI al Senato: “Registriamo una certa fibrillazione determinata dalla campagna elettorale per le europee, con qualche straccio che è volato per la scelta della presidente della commissione. Noi faremo il possibile affinché ci sia la piena disponibilità da parte degli alleati a realizzare il programma elettorale per cui siamo stati eletti nei tempi previsti. Abbiamo un calendario d’Aula fittissimo e delle riforme da portare avanti. Se dovessimo riscontrare una direzione diversa da questa, porremo una questione politica all'interno della coalizione”. Una minaccia o una previsione concreta? Tutto dipenderà dall’andamento dei lavori. Per ora il vice presidente del gruppo si limita ad esortare tutti a “mettere da parte le bandierine” di partito “nell'interesse degli italiani”. 

Codice della strada, dl Carceri e ddl Sicurezza

I provvedimenti più a rischio sono il codice della strada, cavallo di battaglia di Salvini che lo vorrebbe legge entro la fine di luglio. E’ uno dei pochi disegni di legge  e Forza Italia ha presentato ben 50 emendamenti. “E’ uno dei pochi disegni di legge rimasti, vorremmo almeno su questo poter dire la nostra” avverte il capogruppo di Fi Maurizio Gasparri. Preoccupano la dozzina di emendamenti che sempre Forza Italia ha presentato al decreto carceri per ottenere la semilibertà per 6-7 mila detenuti giunti a fine pena. Per non parlare del disegno di legge sulla sicurezza: sempre Forza Italia è contraria al cercare per le mamme con figli piccoli; la Lega tiene in piedi la discussa proposta per la castrazione chimica. Ancora da chiarire se la norma per il Salva Milano, uscita dal dl Casa per disaccordi in maggioranza, entrerà nel decreto Infrastrutture. E poi c'è il tema della guerra in Ucraina e delle armi. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ieri è stato molto esplicito in un’intervista su La Stampa: “Non ho tempo di discutere con gente che si posiziona a seconda dei like che vuole prendere sui social. Di qualsiasi partito siano - del mio, dei Cinquestelle, della Lega o di altri - guardo certe persone con distacco e disprezzo”. Motivo per cui, proprio per Crosetto, non può essere indifferente che alla Casa Bianca vada Trump o qualcun altro.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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