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Il Piano B del Cavaliere: Berlusconi abbandona il Quirinale e punta a fare il Senatore a vita

Serve un capo dello Stato non nemico per mettere il cappello per la prima volta sul Quirinale, dove gli azzurri non hanno mai toccato palla dal 1994 ad oggi

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi (Foto Ansa)

Certo, c’è quel numero magico – 450 – che individua il “pacchetto di mischia” del centrodestra per le elezioni e che è indicato come quello della speranza per Silvio Berlusconi di diventare il prossimo presidente della Repubblica Italiana. Anche perché, con la cartina geografica delle Regioni italiane ormai quasi completamente colorata dei colori del centrodestra, per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali i delegati regionali saranno appannaggio in gran parte del centrodestra, contribuendo a rafforzare il peso dei parlamentari di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Coraggio Italia, Noi con l’Italia e vari ed eventuali nel conto che porta al Quirinale.

Il comunicato del Centrodestra

Ma, al di là del comunicato sul “centrodestra unito” nelle elezioni presidenziali partorito nei giorni scorsi a Roma dal primo vertice unitario fra Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini dopo nove mesi (il precedente era stato in occasione della nascita del governo di Mario Draghi, ma in quei giorni, intelligentemente, era stato aperto a tutti gli altri leader delle formazioni centriste del centrodestra ed era stato uno dei segreti che aveva portato alla mancata nascita del Conte ter), il Cavaliere è il primo a sapere che la sua salita sul Colle è né più, né meno, un sogno di una notte di mezzo autunno. I motivi sono moltissimi: l’età, gli acciacchi, il fatto che il ruolo di presidente della Repubblica è sempre meno da notaio e sempre più interventista in primo luogo.

Il Rubygate

E poi, nonostante la responsabilità e la serietà delle dichiarazioni negli ultimi due anni, lo stesso Berlusconi sa che – al di là delle assoluzioni in aula – il Rubygate e dintorni ha lasciato il segno in una grande parte del Paese, che non ha dimenticato l’antiberlusconismo militante, e soprattutto nei gruppi parlamentari pentastellati ed ex che non avallerebbero mai, nemmeno nel segreto dell’urna, una scelta simile perché comunque sono cresciuti con l’odio per il Cavaliere come ragione sociale. E fra attuali pentastellati ed ex non approdati nel centrodestra rappresentano comunque quasi un terzo del collegio elettorale delle Camere riunite.

Fronde interne

Terzo e forse principale motivo: mai come questa volta i partiti e gli schieramenti sono spaccati al loro interno e quindi, anche a fronte di pubbliche dichiarazioni di compattezza, organizzare fronde interne è facilissimo: basti pensare ai sovranisti che non sopportano i moderati nel centrodestra (persino all’interno della stessa Forza Italia non tutti i voti a Berlusconi sarebbero assicurati, nonostante la ragione sociale dei gruppi reciti proprio “Forza Italia-Berlusconi presidente”) o agli ex renziani di Base Riformista nel Pd che Enrico Letta sta comunque cancellando dai ruoli dirigenziali del partito e sanno che difficilmente torneranno in Parlamento, almeno sotto queste insegne.

Il taglio dei parlamentari

E, certo, anche il taglio di un terzo dei membri delle due Camere a partire dalla prossima legislatura, con più della metà degli attuali deputati e senatori che sanno che non torneranno mai in Parlamento e quindi giocano la loro ultima partita con l’elezione del presidente della Repubblica, contribuisce ad accrescere la confusione. Insomma, i 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodi (e in realtà erano qualche decina in più perché ci furono parlamentari centristi del centrodestra e pentastellati che lo votarono) sono destinati a diventare molto di più.

Il piano B di Berlusconi

E proprio per questo Silvio Berlusconi sta già pensando a un piano B: lanciare il suo nome per vedere l’effetto che fa, ma in realtà puntare a un capo dello Stato non nemico per mettere il cappello per la prima volta sul Quirinale, dove gli azzurri non hanno praticamente mai toccato palla dal 1994 ad oggi. Anche per l’elezione di Sergio Mattarella, poi dimostratosi un presidente non ostile al Cav, Berlusconi scelse il candidato sbagliato, Giuliano Amato, e proprio le elezioni presidenziali portarono alla rottura del Patto del Nazareno con Matteo Renzi, che fu il king maker di Mattarella. E proprio lì bisogna guardare, al fatto che Renzi è stato il dominus di tutte le ultime elezioni all’interno del Palazzo: la sua a presidente del Consiglio, quella di Mattarella a presidente della Repubblica, la nascita del Conte bis quando la legislatura stava rotolando velocemente verso lo scioglimento e il trionfo elettorale di Matteo Salvini, la morte dello stesso Conte bis e la nascita dell’esecutivo di Mario Draghi.

Serve un Capo dello Stato “amico”

Ecco, Renzi per il Quirinale ha in mente un nome molto più spendibile di quello di Berlusconi ed è quello di Pierferdinando Casini, ex presidente della Camera, eletto indifferentemente con il centrodestra o il centrosinistra, sempre più istituzionale negli interventi in Senato, iscritto al Gruppo per le Autonomie, che è quasi una certificazione “super partes”, tanto è vero che da anni viene scelto da molti senatori a vita come proprio buen retiro: da Giulio Andreotti a Gianni Agnelli, da Emilio Colombo a Elena Cattaneo e persino a Giorgio Napolitano in tanti vanno lì. E proprio il “combinato disposto” fra Casini e i senatori a vita potrebbe essere il piano B di Berlusconi: l’elezione di un Capo dello Stato “amico” potrebbe aprire al Cav la strada della nomina a senatore a vita, per cui avrebbe tutte le caratteristiche, anche semplicemente quelle imprenditoriali, e a una riabilitazione di ciò che più di tutto l’ha fatto soffrire: cioè il voto che lo estromise da Palazzo Madama, che verrebbe così “sanato” dal reingresso del Cav dal portone principale del Senato della Repubblica.

Le elezioni presidenziali

Quindi, anche questa è una chiave per prepararsi alle elezioni presidenziali, che inizieranno probabilmente a metà gennaio: il mandato di Sergio Mattarella scade il 3 febbraio 2022 e la convocazione di Camere in seduta comune e delegati regionali è ipotizzabile per i primi giorni di gennaio, visto che il secondo comma dell’articolo 85 della Costituzione prescrive: ”Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica”. E questo va letto insieme all’articolo 83, che recita: “Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”. E in questo Parlamento così frammentato proprio i 58 delegati regionali potrebbero essere decisivi. Ma questa è una storia che vi racconteremo nei prossimi giorni.

 

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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