Berlusconi medita il passo indietro causa alleati. Asse giallo rosso tra immobilismo e rimessa
A quattro giorni dalla prima chiama presidenziale la situazione è di caos vigilato. Si attende la rinuncia del Cavaliere entro il fine settimana. Sarà lui ad indicare il nuovo Presidente della Repubblica e dovrebbe essere Draghi. Al lavoro già sul nuovo governo. Ma tutto è ancora possibile, compresa la conta in aula sul Cav alla quarta votazione
Il “gioco di rimessa” del centrosinistra che non fa nomi nè strategie e intanto prova a fare blocco con i voti di Pd-M5s, Leu e anche Sinistra Italiana. Tutti, tranne i centristi, riformisti di Italia viva e Azione. Il clima di attesa nervoso e rancoroso nel centrodestra dove i berluscones ormai guardano in cagnesco gli alleati. “Se il Cav rinuncerà, sarà solo perchè lo hanno mollato… “dice a sera un parlamentare azzurro. In crescita le quotazioni di Mario Draghi tredicesimo Presidente della Repubblica.
Questo in estrema sintesi il quadro a quattro giorni dalla prima chiama presidenziale. I 1009 Grandi elettori sono convocati lunedì alle 15. E oggi la conferenza dei capogruppo dovrebbe dare la conferma che tutti potranno votare, anche i positivi asintomatici e quelli sintomatici. Non era affatto scontato. Ed è probabile che almeno una parte degli incontri istituzionali che il premier Draghi ha avuto martedì (Mattarella, Fico e alcuni ministri come Guerini, Cartabia e Messa) siano stati dedicati a trovare una soluzione anche per gli aventi diritto che le regole sulla pandemia invece mettono fuori gioco.
In attesa del grande passo (di lato)
Il punto non è più “se” ma “quando e come”. La voce corre in modo trasversale tra senatori e deputati di aree centrodestra. Anche di Forza Italia. “Tra domani e dopo, il Cavaliere rinuncerà all’investitura ricevuta dal centrodestra” dicono in momenti diversi almeno quattro senatori di quell’area. “Bisogna vedere come lo fa - aggiungono - e su chi metterà la mano per l’investitura al Colle”. La versione prevalente è che dovrebbe fare un discorso alla Nazione, e non solo ai leader della sua coalizione, ringraziando per la stima e gli attestati ricevuti in questi mesi di campagna presidenziale. Non è il “risarcimento politico” che immaginava ma è sempre qualcosa. Dovrebbe spiegare, Berlusconi, che è soprattutto il carico di fatica ed energie che richiede la Presidenza della Repubblica ad impedirgli di andare fino in fondo nel suo “sogno” di diventare Capo dello Stato.
Smessi i panni del candidato, un secondo dopo il Cavaliere assumerà quelli del padre della patria e indicherà quella che, dal suo punto di vista, sarà la soluzione migliore. Sarà lui il kingmaker, il problem solver, che metterà i suoi voti a disposizione del candidato. Non lo farà fare nè a Salvini nè a Meloni - sarebbe un’abdicazione nei fatti - che anzi considera “coloro che non hanno mai creduto nel mio progetto” e che alla fine non sarebbero in grado di garantire i voti. Lo farà lui e soltanto lui nonostante i proclami dei due giovani leader circa “il Piano B già pronto in tasca” e “la rosa di nomi quirinabili che assicurano di avere già scritta”. “In omaggio al paese che amo” dovrebbe dire il Cavaliere, ultimo capitolo, in ordine di tempo, della saga “l’Italia, il paese che amo”.
Il patto di legislatura
Si sussurra, sempre tra Camera e Senato, che alla fine proprio Berlusconi dovrebbe indicare Mario Draghi come successore di Mattarella. Anche se il bis di Mattarella non dispiacerebbe all’anziano leader. A quel punto, si calcola prima del fine settimana, il tavolo sarà liberato dal macigno Berlusconi (e si spera che nessuno si arroghi il diritto di aver messo il Cavaliere fuori dalla partita) e, spiega una fonte di governo area centrosinistra, “potremo svolgere e risolvere l’altra parte della partita”, chi sarà il nuovo premier - se Draghi dovesse andare al Quirinale - e con quale squadra di governo. “E’ certo - dice la stessa fonte di governo - che Draghi accetterà di restare a palazzo Chigi se la maggioranza che vota il nuovo Capo dello Stato sarà larga tanto quanto quella che sostiene il governo attuale”. Una precisazione e rassicurazione fondamentale che sarebbe emersa dai vari colloqui istituzionali che il Presidente del Consiglio ha avuto martedì quando in gran segreto ha incontrato il ministro Guerini - per parlare di Ucraina, certo, ma anche di patto di legislatura e del governo del dopo - il Presidente Mattarella e il Presidente della Camera Roberto Fico individuato oltre che come il più neutro da incontrare anche colui che forse può spiegare meglio la situazione nei 5 Stelle, grande incognita di questo voto. Sarà un anno difficile per il governo che verrà (difficilmente sarà fotocopia) per le tante sfide sul tavolo - economiche, sociali, sanitarie - e perchè sarà un anno di campagne elettorali. Occorre avere un’agenda chiara di cose da fare. Su cui tutti i partiti di maggioranza diranno garantire lealtà e collaborazione. Perchè non si stare con una mano al governo a fare e con l’altra fuori a demolire.
Berlusconi resta a Milano (per ora)
Al di là delle indiscrezioni che si moltiplicano col passare delle ore, il dato certo è che il vertice di centrodestra atteso per oggi non è stato ancora convocato. Neppure per domani. E che il Cavaliere ha deciso di restare ad Arcore. Almeno fino a ieri sera. Da dove ha continuato a telefonare, sondare, valutare. Segnando in rosso le frasi degli alleati che da lunedì hanno iniziato (il primo è stato Salvini) a dire che “lunedì, il 24, avremo il nuovo Presidente della Repubblica”, che “il Piano B è pronto”. “Aspettiamo solo che Berlusconi abbia finito i suoi conti ed incontri…” ha detto Salvini. Meloni lo ha ripetuto anche ieri durante la direzione di Fratelli d’Italia: “Noi saremo compatti su Berlusconi ma abbiamo pronta una rosa di nomi alternativa”.
Al momento del passo di lato, è fondamentale capire quali saranno le indicazioni di Silvio Berlusconi, “unico vero king maker del tredicesimo presidente della Repubblica” si fa notare da Forza Italia.
“Non potrà che indicare Mario Draghi, chiunque altro di area centrodestra sarebbe inteso, o meglio frainteso, come suo erede o successore e lui, come è noto, non cerca nè l’uno nè l’altro” spiegava ieri mattina un senatore di Fratelli d’Italia. Se parli con i centristi, restano invece alte le quotazioni di Pierferdinando Casini (“l’unico che è stato a pieno titolo nella coalizione di centrodestra, un liberale democristiano, che il Cavaliere considera digeribile”). E anche quelle di Franco Frattini, 64 anni, magistrato amministrativo, due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, commissario Ue e neoeletto presidente del Consiglio di stato. In picchiata le quotazioni di Casellati. Non resta che aspettare. E vedere che succede. Consapevoli che basta una frase di troppo e una telefonata sbagliata per far saltare la difficile costruzione in corso in queste ore dalle parti di Arcore e tra i fedelissimi del Cavaliere.
Il centrosinistra e lo strano gioco di rimessa
Tutto questo racconta che la partita sul Presidente della Repubblica viene giocata nel centrodestra con Berlusconi indiscusso protagonista di queste settimane e questa è di per sè un’operazione di successo per l’anziano leader. Viene giocata, da mesi, al centro da quei mediatori e pontieri, tra cui Matteo Renzi, lo stesso Gianni Letta, Matteo Salvini e Luigi di Maio - che hanno dovuto convincere un po’ tutti che l’elezione del Capo dello Stato è prima di tutto un’operazione politica dove nessuno può fare a meno dell’altro. E che quindi occorre dialogare e non arroccarsi dietro divieti e non possumus.
Racconta anche di un centrosinistra per scelta spettatore della partita. Ieri mattina c’è stato l’ennesimo vertice a tre Letta-Conte Speranza - caffè e cornetto a casa di Conte - che si è concluso con un tweet che, ancora una volta, può essere tradotto con due parole: giocare di rimessa, attendere. E’ stato pubblicato quasi in simultanea intorno alle 10 e 30 e dai rispettivi account. “Ottimo incontro con @giuseppeconte e @robersperanza. Lavoreremo insieme per dare al paese una o un presidente autorevole in cui #tutti possano riconoscersi. Aperti al confronto. Nessuno può vantare un diritto di prelazione. Tutti abbiamo il dovere delle #responsabilità”. Non un nome, non una proposta, non una strategia. Un tweet che poteva andare bene un mese e mezzo fa e che viene bocciato sul piano comunicativo (“l’ennesima casalinata”). Che non fa fare mezza mossa alla coalizione di centrosinistra. “Uniti e compatti”: sì, ma dove? E per cosa?
Conte in difficoltà
Vero è che Conte ha grosse difficoltà nel Movimento: l’ex premier non vorrebbe Draghi al Quirinale ma al tempo stesso sa di non controllare il più grosso pacchetto di Grandi Elettori (232 voti).
Anche il clima da tweet inaugurato ieri mattina è durato poco. Nell’arco della mattinata i pentastellati, infatti, hanno fatto filtrare che dal leader M5S sarebbe arrivato un sonoro no a Draghi. E’ più che abbastanza per far detonare il caos: è chiaro che il nome del premier è sul tavolo e far emergere uno stop del genere, mentre Berlusconi è ancora in campo, mette in pericolo ogni strategia e rischia di avvantaggiare gli avversari. Puntuale quindi è arrivata la correzione di rotta. Nel vertice “non sono stati fatti nomi”proprio “per lasciare aperte tutte le opzioni”. Nel Movimento, è stato spiegato, “resta la linea già espressa più volte: serve la continuità dell'attuale governo ma non esiste alcuna strada preclusa, non esistono veti”. Anche qui nessuna proposta, nessun passo avanti. Di sicuro l’inchiesta penale su Grillo non aiuta il lavoro di Conte. In serata riunisce la cabina di regia del Movimento istituita per l’elezione del Capo dello Stato. Dover fare una cabina di regia per il Quirinale è la prova provata della frantumazione del Movimento e della scarsa leadership di Conte. Ieri sera oltre a Di Maio era presente anche Fico che il giorno prima era stato faccia a faccia con Draghi per oltre un’ora. Se sarà il caso, Conte convocherà la Cabina di regia anche tutti i giorni.
Il fronte del centrosinistra non è compatto
I tre leader vogliono “ad ogni costo” far fronte comune ma fra le truppe i dubbi crescono. “La riunione non è servita a granché, è servita a Conte per essere rimesso in sella dopo Bettini e i problemi che ha con i suoi e per far vedere che ha in mano la situazione, ma non ne siamo proprio convinti” ragionavano ieri alcuni dem. Sotto accusa la fuga di notizie sul no a Draghi fatta ad “ad uso e consumo interno, senza pensare al bene della coalizione e del Paese”. Dubbi, anche tra i dem, su Draghi e sulla linea attendista. Ieri sera Bersani, cioè Speranza, ha detto chiaro: “Con Draghi al Colle temo la destabilizzazione del governo. E poi come fa a dirigere il traffico da lassù?”. Concetti più volte espressi anche da D’Alema e Bettini. Anche dalle parti di Leu, compreso un pezzo di Pd, non gradiscono avere Draghi tra i piedi per sette anni al Quirinale. “Deve tornare la politica” dicono.
Il problema è che Letta, invece, Draghi lo vorrebbe proprio al Quirinale, un’assicurazione di sette anni e la possibilità di andare a votare il prima possibile. Insomma, un pasticcio. Con l’aggravante dell’assenza di proposte. “In questo modo, se Berlusconi è abile e tocca la testa giusta per il Colle, noi siamo fuori dai giochi” dicevano ieri due capi corrente del Pd.
I tre tenori
Nelle chat e nei conciliaboli dem tra Camera e Senato hanno cominciato a definire Letta, Conte e Speranza “i tre tenori”. Luciano Nobili (Iv) ha messo in fila i tre tweet e li ha commentati sui social: “Rocco e i suoi fratelli” immaginando che dietro questa comunicazione ci sia la regia di Rocco Casalino. I commenti dei dem sono al vetriolo: c’è chi la giudica una insopportabile vocazione minoritaria e c’è chi prevede un esito infausto per la già debolissima alleanza giallorossa, con un esplicito paragone alla sfortunata vicenda parlamentare del ddl Zan.
“Mi chiedo che senso abbia” dice un senatore piddino del Sud “far sapere a tutto il mondo parlamentare che il nostro orizzonte di riferimento si ferma all’avvocato del popolo e ad un microscopico gruppo come Leu. Se è così, siamo davvero in braghe di tela”.
Letta, in realtà, potrebbe anche tentare l’azzardo di fare implodere l’alleanza di centrodestra nelle urne presidenziali. Quello che nel 2013 Berlusconi fece al centrosinistra che, convinto di farcela, bruciò invece ben due Presidenti della repubblica. Un passaggio che ha segnato il destino del Partito democratico.