Autonomia “incostituzionale in sette parti”. La Consulta fa a pezzi la Legge della Lega
I giudici fanno a pezzi la legge sull’autonomia che resta nei fatti un contenitore vuoto. Ceccanti, analisi in quattro punti: “Referendum forse superati"
Quando Giorgia Meloni alle sette di sera sale sul palco di Perugia per dire che “il centrodestra è una vera squadra di governo grazie ad una maggioranza compatta”, la notizia è già sulle agenzie ma lei la ignora. Ben sapendo che la decisione della Consulta che fa a pezzi la legge sull’ Autonomia differenziata sarà un problema molto serio per la sua maggioranza. Perchè nel gioco di bandierine dei tre senior partner del governo - una riforma per ciascuno, non importa come e con quali “danni” sul sistema Paese e avanti uniti - è chiaro che adesso sarà la Lega a restare a mani vuote. E questo piacerà molto a Fratelli d’Italia e Forza Italia che sotto banco facevano le macumbe contro l’Autonomia di Calderoli visto che al loro elettorato tutto sommato quella riforma piaceva poco, anzi nulla.
I giudici della Consulta erano in camera di consiglio da due giorni per decidere sui ricorsi delle Regioni (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania) contro la legge perchè con evidenti profili di incostituzionalità. I ricorsi erano il presupposto dei referendum popolari.
Una legge svuotata
La Consulta ha ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge. Però ha letteralmente smontato i passaggi principali della legge Calderoli ravvisando l’incostituzionalità di ben sette profili della stessa legge: dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi. Da qui l'invito al Parlamento a “colmare i vuoti” che ne derivano. La maggioranza, cioè la Lega, canta vittoria perchè la legge è costituzionale e, come Calderoli con toni rassicuranti e ottimistici, “il Parlamento valuterà i correttivi richiesti”. Per le opposizioni “la legge è demolita” e l’unità del Paese “è salva”.
Tra i sette profili della legge ritenuti incostituzionali c’è la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Lep. Bocciato anche il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei Lep sui diritti civili e sociali senza idonei criteri direttivi con la “conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”.
No al Fisco differenziato
Stop inoltre alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l'andamento dello stesso gettito perché “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti che - dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite - non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. E’, questo, il colpo più grave e finale alla legge. Anche quello che salva l’unità e l’integrità nazionale. La Corte rimette al centro il principio di sussidiarietà. E sottolinea che la distribuzione delle funzioni legislativa e amministrative tra Stato e Regioni “non” deve “corrispondere all'esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico” ma deve avvenire “in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”.
È, dunque, “il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”. Per questo l’Autonomia, prevista in Costituzione, “deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”. E non, come lasciava intuire all’opposto il testo Calderoli, ad ingaggiare una gara che avrebbe premiato i più ricchi e i più bravi.
Discussione ampia e condivisa
La decisione della Corte è arrivata al secondo giorno di camera di consiglio, che si è riunito dopo la maxi udienza pubblica di martedì. C’è stata una discussione ampia e articolata e si è arrivati a una piena condivisione che ha portato a un accordo senza spaccature. La sentenza verrà depositata nelle prossime settimane. Il punto è capire cosa succederà adesso ai quesiti referendari, su quello abrogativo della legge (probabilmente superato dall’articolata decisione) e sugli altri che la Cassazione stessa potrebbe riformulare oppure dichiarare superati.
La sentenza ha scatenato le reazioni della politica. Le opposizioni in blocco esultano sostenendo che la riforma è stata “demolita” e che la “secessione non ci sarà”. “Bastava leggere meglio la Costituzione per evitare questo ennesimo flop con una legge che ha dei profili di incostituzionalità” commenta la segretaria del Pd Elly Schlein. Per il leader M5S Giuseppe Conte “la Corte Costituzionale frena il progetto di Autonomia con cui Meloni, Salvini e Tajani volevano fare a pezzi il tricolore e la nostra unità”. Soddisfatti anche i governatori delle quattro Regioni ricorrenti.
La versione del Carroccio
Di diverso avviso la Lega che parla di “ottima notizia” perchè ila legge ha superato l'esame di costituzionalità”. Ei rilievi, come ha promesso in serata Calderoli, “saranno facilmente superati dal Parlamento”. Per capire dove sta la verità occorre forse ascoltare il presidente della Calabria Roberto Occhiuto, Forza Italia, uno che non ha firmato il ricorso con le altre regioni solo per quiete interna al partito e non ha mai smesso di denunciare i clamorosi errori contenuti nel testo Calderoli. Tutta Forza Italia, partito a forte vocazione sudista, non ha mai amato la legge Calderoli. “Come era evidente - ha detto Occhiuto - è necessario prima mettere in sicurezza e definire i Lep (che costano miliardi e quindi non è possibile farlo, ndr). Da tempo suggerisco al governo un surplus ri riflessione e una moratoria sull’Autonomia: oggi la moratoria, con molta più autorevolezza del sottoscritto, la impone la Corte Costituzionale”.
Le mani della politica sulla Corte?
Occorre comunque aspettare il dispositivo scritto e leggerlo più volte con tanto di virgole per essere sicuri di quello che accadrà veramente. Ieri sera la Corte ha licenziato un lungo comunicato per rispondere al diritto costituzionale di un’informazione puntuale e trasparente. Ricordiamo che la Corte sta operando da un anno con 14 giudici invece di quindici; che il Presidente della Repubblica ha più volte sollecitato il Parlamento di eleggere il giudice mancante; che tre settimane fa la premier ha tentato un blitz per mandare in Corte il suo capo dell’ufficio legislativo; che a dicembre scadono altri tre giudici , in tutto saranno quindi quattro, e che la maggioranza potrà forzare la mano e nei fatti mettere le mani sulla Corte. Come ha già fatto Trump negli Stati Uniti (a fine mandato del 2020) motivo per cui è stato rieleggibile e, rieletto Presidente, sarà nei fatti “perdonato” da tutte le accuse che pendono sulla sua testa.
I costituzionalisti hanno comunque letto con estrema attenzione il lungo comunicato. E, in punta di diritto, convengono sul fatto che della legge Calderoli resta in piedi un involucro vuoto. Politicamente parlando è una clamorosa figuraccia per l’esecutivo, per chi l’ha voluta (Lega) e per chi non l’ha impedita (Forza Italia e Fratelli d’Italia). Certifica un modo di procedere pasticciato e pressapochista e mette a nudo i limiti e l’irresponsabilità di un metodo per cui una riforma per uno doveva bastare a tutti. L’Autonomia alla Lega, il premierato a Fratelli d’Italia, la separazione delle carriere a Forza Italia. Ora le Lega resta nei fatti a mani vuote. Come cercherà di rifarsi? Pensieri storti che sono stati una doccia gelata sul comizio finale di Perugia.
I quattro punti di Ceccanti
Il professor Stefano Ceccanti ha fatto una prima analisi del testo-comunicato che seppur “molto ampio e ben fatto, non è ancora una sentenza e qui anche le virgole contano, specie in relazione ai due quesiti referendari pendenti e alla parte finale, quella dove varie disposizioni della legge vengono salvate purché interpretate in modo “costituzionalmente orientato”.
Il primo punto è che fine fanno i referendum, forse superati. “Su di essi - spiega Ceccanti dovrà esprimersi la Cassazione, in dialogo coi promotori, ma ad una prima impressione molto provvisoria i punti più contestati sono stati o direttamente colpiti dalla Corte o indirettamente, in via interpretativa. Si potrebbe quindi pensare che i quesiti siano superati e che non si debba votare su di essi”.
Ciò premesso, la Corte ha detto che l’autonomia è possibile “ma decisamente non così”. L’autonomia differenziata non è di per sè incostituzionale, l’articolo 116.3 non viola i princìpi supremi (era una delle tesi in campo, ndr), però obiettivamente scardina alcune, non poche, delle modalità più discusse con cui quella legge lo aveva interpretato”.
Ceccanti osserva come per i giudici sia primaria l’attenzione agli equilibri tra Regioni e tra Governo e Parlamento. “Qui la preoccupazione è duplice, nel rapporto centro-periferia non si può pensare a trasferimenti in blocco che scardinerebbero l’equilibrio solidale, ma solo mirati. Nel rapporto Governo-Parlamento deve essere preservato il secondo evitando che deleghe generiche o fonti secondarie ne svuotino il ruolo. Non si può insomma, ad esempio, richiedere in blocco 23 materie, non è coerente con l’assetto complessivo della forma di Stato”. Una doppia cautela che si ritrova pari pari anche nelle interpretazioni della seconda parte della decisione assunta. “Va preservato - spiega Ceccanti - il potere di emendamento parlamentare, le leggi di autonomia non sono assimilabili a quelle non emendabili e ove ci siano materie senza livelli essenziali delle prestazioni la maggiore autonomia non potrà incidere sui diritti”. E’chiaro perchè la Lega, il cui obiettivo principale era trattenere risorse sui territori che le producono e decidere autonomamente su ben 23 materie ora affidate allo Stato centrale, resta a mani vuote.