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Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, ecco cosa chiedono con l'autonomia differenziata

Salvini si può permettere di perdere la battaglia oggi, a condizione di non chiudere il dossier e di poterlo riproporre domani, magari in un contesto politico più favorevole. Forse la sopravvivenza del governo Conte si gioca più sulle autonomie che sui rubli russi o sulla flat tax

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Matteo Salvini, leader della Lega
Matteo Salvini, leader della Lega

Che succederebbe, se l’autonomia del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia passasse nei termini immaginati dagli uomini della Lega? Il conto ha provato a farlo l’Ufficio parlamentare del Bilancio. Più che un conto, in realtà, è una simulazione. Un esercizio di immaginazione, perché di più - sulla base delle carte disponibili, che non precisano né risorse, né meccanismi di attuazione - non si può fare. Ma il risultato è comunque chiaro. Alberto Zanardi e gli altri economisti dell’Upb si sono limitati a considerare il capitolo istruzione (il più corposo del pacchetto autonomie) e hanno ipotizzato che l’accordo con il governo preveda di riservare alle regioni interessate una quota dell’Iva incassata sul loro territorio, in cambio dell’impegno a provvedere in prima persona alle loro scuole.

Il meccanismo

Hanno poi applicato questo meccanismo agli anni 2013-2017. In quei cinque anni, la spesa per l’istruzione, nelle Regioni interessate, è rimasta più o meno invariata. Ma l’Iva no. E’ cresciuta. In Lombardia, del 10 per cento. Risultato: la Lombardia avrebbe lucrato circa mezzo miliardo di euro di Iva in più, da spendere come vuole, non necessariamente per le scuole. Ma vuol dire anche mezzo miliardo di euro in meno per il resto d’Italia, visto che il gettito Iva, che la Lombardia avrebbe intercettato, oggi viene redistribuito in tutto il paese. Appena più bassi i guadagni fiscali per Veneto ed Emilia.

Un siluro contro la Lega

Un siluro dirompente contro il progetto della Lega. E il fatto che si tratti solo di una simulazione basata su ipotesi tutte da verificare non ne diminuisce l’impatto. Se, dopo mesi di confronti e discussioni, la Lega sta tentando di blindare un testo che delega a scelte successive i meccanismi fondamentali di finanziamento, costringendo le istituzioni preposte al controllo – come denuncia lo stesso Ufficio parlamentare del Bilancio – a simulazioni ballerine per capire dove porta la riforma, qualcosa non funziona. Lo dice anche la Corte dei conti, che si unisce all’Upb in questo cannoneggiamento del progetto, suggerendo l’opportunità (con un richiamo forse non del tutto innocente alla vicenda Tav) un’analisi costi-benefici della riforma.

In queste condizioni, con il presidente della più grossa Regione meridionale (la Campania) che tuona: “Vogliono togliere 60 miliardi di euro al Sud”, difficile che il vertice di oggi a Palazzo Chigi sulle autonomie porti a conclusioni significative. Il leader della Lega, Salvini, di fronte a quello che sarebbe un appuntamento storico per il suo partito, ha già, infatti, detto che preferisce passare il week-end con i figli. In qualche modo, però, appare come la conclusione inevitabile di una vicenda gestita in modo fumoso, con un continuo ricorso a strumentalizzazioni e forzature.

L’equivoco dei referendum

Più esattamente, si potrebbe parlare di scivolamenti progressivi dei significati. All’origine, infatti, ci sono i quesiti sottoposti agli elettori della Lombardia e del Veneto nei referendum consultivi del 2018. Ma i quesiti erano assolutamente generici. “Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni di autonomia” si limitava a chiedere un referendum. E l’altro, quello lombardo, rivendicava “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse”. Stop. Quali forme, quali risorse? Nulla ha detto, in proposito, l’elettorato, compresi i tanti militanti di sinistra che hanno votato sì. Non molto più preciso, in seguito, il testo del contratto di governo Lega-5Stelle: “il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse”.

Perequazione zero

Le Regioni, insomma, non avrebbero pagato di tasca loro. Ma questo non vuol dire intercettare quote crescenti di risorse fiscali, senza alcun rapporto con la spesa effettiva, sottraendole alla collettività nazionale, come previsto dal progetto della Lega. Allora, nota malignamente Alberto Zanardi dell’Upb, perché non prevedere che, a riscontro di quelle risorse, le Regioni si facciano carico anche di una parte degli interessi sul debito pubblico? In realtà, il costante tentativo della Lega di sottrarre la riforma ad un dibattito pubblico e ad un esame puntuale del Parlamento, fino ad ipotizzare la scorciatoia di un testo generico in Parlamento, con tutte le parti decisive da definire poi, nel chiuso di accordi con le singole Regioni, sembra confermare che anche Salvini e soci sono consapevoli della forzatura. In nome di che? L’obiettivo neanche tanto mascherato è sequestrare nella Regione e nella disponibilità della sua classe dirigente il massimo di risorse generate nella Regione stessa, a prescindere dai vincoli costituzionali sulla solidarietà nazionale. La riprova viene dal punto su cui, in questo momento, lo scontro all’interno del governo è più rovente. La questione non è l’autonomia, ma la possibilità che il suo finanziamento vada a detrimento del resto del paese. I 5Stelle propongono, dunque, un fondo di perequazione che dovrebbe assorbire e redistribuire l’extra gettito creato nelle singole Regioni (come i 500 milioni dell’Iva lombarda). Una ipotesi cui – tanto per chiarire di cosa stiamo parlando – il governatore del Veneto, Zaia, ha già opposto un secco No.

Dove rischia Salvini

Nelle condizioni politiche attuali, sembra assai difficile che la Lega riesca a condurre in porto il progetto delle autonomie regionali, così come immaginato da Zaia e Fontana, i due governatori (rispettivamente di Veneto e Lombardia) protagonisti del braccio di ferro. Ma, per Salvini, il prezzo di un flop sarebbe molto pesante. Paradossalmente, infatti, non è sulla flat tax – su cui si esercita quasi ogni giorno – o sul rapporto con l’Europa, cui torna continuamente, che Salvini gioca la sua leadership. Nonostante ne parli pochissimo, è sulle autonomie. Perché un sì o un no al progetto chiama in causa gli equilibri interni alla Lega. Più precisamente, l’appoggio al segretario da parte di azionisti decisivi del partito, come le classi dirigenti leghiste di Lombardia e Veneto, per cui l’autonomia (anzitutto finanziaria) è un passaggio fondamentale. Salvini si può, probabilmente, permettere di perdere la battaglia oggi, a condizione di non chiudere il dossier e di poterlo riproporre domani, magari in un contesto politico più favorevole. Forse, insomma, la sopravvivenza del governo Conte si gioca più sulle autonomie che sui rubli russi o sulla flat tax.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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