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Attenti a quei due, Toti e Bonaccini motori di un governissimo

La coalizione che è arrivata prima alle ultime elezioni e che, stando ai sondaggi, arriverebbe prima anche oggi, non ha i numeri per formare un proprio Governo in questo Parlamento

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Il presidente della Liguria Giovanni Toti
Il presidente della Liguria Giovanni Toti (foto Ansa)

Mesi fa, su Tiscali.it, scrivemmo che la Conferenza Stato-Regioni sarebbe stato il nuovo snodo della politica italiano.Ma così tanto, nemmeno noi che individuammo fra i primissimi questo nuovo “contropotere”, quasi una terza Camera, era difficile prevederlo. Perché, fin dai tempi della guida di Sergio Chiamparino, la Conferenza Stato-Regioni ha visto aumentare man mano le sue competenze e i referendum regionali bipartisan del Nord Italia per aumentare l’autonomia differenziata hanno contribuito a porre l’accento sul ruolo delle Regioni, con tanto di apposita ministro leghista, Erika Stefani, nel governo gialloverde, il Conte uno.

Il presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini (Foto d'archivio Ansa)

La dizione ufficiale della delega della senatrice Stefani, la più elegante ed affascinante della compagine, era “Ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie” e il fatto che la delega fosse ritenuta importante, sia pure senza portafoglio e dipendente direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri, era dimostrato anche dal fatto che il MoVimento Cinque Stelle mise lì Stefano Buffagni, attuale viceministro dello Sviluppo Economico, plenipotenziario pentastellato per la gestione delle nomine pubbliche e uomo di punta e fra i più seri e responsabili (absit inuria verbis) dei Cinque Stelle, laureato in Economia e Management alla Cattolica di Milano. Buffagni, insieme a Stefano Patuanelli che però è meno estroverso, è il migliore dei Cinque Stelle e ha anche il pregio di essere davvero molto simpatico.

Insomma, oggi il ministro Francesco Boccia nel Conte bis ha le stesse deleghe, ma nessun sottosegretario, nemmeno uno antipatico. A rendere più pesante il ruolo della Conferenza Stato-Regioni sono state le elezioni che si sono susseguite: su tutte quella dell’Emilia-Romagna a inizio 2020, con la vittoria schiacciante (rispetto alle previsioni) di Stefano Bonaccini sulla candidata leghista Lucia Bergonzoni, che probabilmente ha cambiato la storia dell’Italia recente. E poi, ovviamente, la pandemia, che ha cambiato radicalmente il ruolo delle Regioni che, avendo la competenza sulla Sanità sono diventate centralissime, a tratti più del governo.

Quindi, a chiudere il quadro sono arrivate le elezioni del 20 e 21 settembre (data peraltro sgradita ai governatori interessati in carica che firmarono in cinque, con l’unica eccezione del toscano Enrico Rossi, in modo bipartisan) che coinvolgevano sette Regioni e da cui sono usciti fortissimi soprattutto quattro neopresidenti di Regione: Luca Zaia in Veneto con la sua maggioranza bulgara o veneta con il 76,8 per cento dei voti e la sua lista civica al triplo della casa madre leghista; Giovanni Toti in Liguria, la cui lista omonima è arrivata prima con cinque punti di vantaggio sulla Lega e davanti anche al Pd; Vincenzo De Luca in Campania, diventato star anche mediatica con i vuoi video su Covid, lanciafiamme, cinghialoni e dintorni e Michele Emiliano che in Puglia ha vinto benissimo contro tutte le previsioni che lo davano in bilico.

Insomma, presidenti di Regione che non sono più emanazioni romane, ma che vivono della propria forza: Zaia è stato ministro dell’Agricoltura in un governo di Silvio Berlusconi; Toti è stato eurodeputato plebiscitato e consigliere politico ufficiale del Cavaliere; De Luca ha imposto la sua personalità sia a Roma che in Campania; Bonaccini è visto da molti come possibile segretario del Pd, punto di incontro e di convergenza fra ex renziani e la Ditta storica e Nicola Zingaretti, oltre ad essere segretario del Pd, è anche presidente del Lazio.

In più i due presidenti delle Regioni a Statuto speciale insulari, Nello Musumeci e Christian Solinas, che teoricamente nelle materie di loro competenza possono sedere anche in Consiglio dei ministri, sono anche i leader dei rispettivi partiti: “Diventerà bellissima” e il Partito sardo d’azione. In questo quadro, un asse solidissimo si è saldato su mille temi fra Bonaccini e Toti, rispettivamente presidente e vicepresidente della Conferenza Stato-Regioni, che solitamente vanno d’accordo su tutto – da questioni di politica sanitaria al modo di affrontare alcune emergenze – e che sono anche “confinanti” con Gorreto, in provincia di Genova, che confina con Ottone che sta in provincia di Piacenza e Santo Stefano d’Aveto che tocca Bedonia, in provincia di Parma, e Varese Ligure, in provincia della Spezia, che tocca tre Comuni parmensi (Bedonia, Tornolo e Albareto).

Ma quello  fra Toti e Bonaccini è molto più che un rapporto di buon vicinato, è proprio una corrispondenza di amorosi sensi. E lo si è visto in questi giorni. Sentiteli oggi. Bonaccini: "Credo che serva, nel giro di pochi giorni, come penso pretenda giustamente il presidente della Repubblica, un numero di parlamentari e senatori che garantisca che i numeri della maggioranza vengano irrobustiti. Ma non basta neanche questo: serve un programma di legislatura, anche nuovo e rafforzato, e a mio parere anche una nuova squadra di governo. Se posso dare un consiglio non richiesto al presidente del Consiglio e alle forze di maggioranza, compreso il Pd che è il mio partito: coinvolgano di più le parti sociali, gli amministratori locali. Non vorrei ci si chiudesse troppo negli uffici di Roma. C'è un Paese nel quale ci sono importanti esperienze, di governo quotidiano del territorio, che a mio parere andrebbe un po' più ascoltato”.

Ma è in quelle quattro parole “governo quotidiano del territorio” che c’è la chiave per capire l’asse Bonaccini-Toti, che potrebbero farsi rispettivamente da Dante e da Virgilio, in modo interscambiabile, in qualsiasi coalizione, a seconda che vinca il centrodestra o il centrosinistra. Ed è interessante leggere come siano quasi perfettamente sovrapponibili a quelle di Bonaccini le parole di Toti, che nelle ultime settimane, insieme alla sua fedelissima Ilaria Cavo, si è segnalato per aperture non “di destra” sui diritti dei migranti nati in Italia, sull’autocritica su Trump, sull’adesione senza se e senza ma alla campagna vaccinale e sul colore bipartisan della cultura: “La giornata di martedì in Senato – spiega Toti ci consegna la fotografia di un Paese ingovernabile. Il Premier Conte incassa 156 voti favorevoli: tecnicamente ha la fiducia, ma non ha la maggioranza dell’aula. Il Governo si salva solo per l’astensione di Italia Viva, che pure è il partito che ha aperto la crisi.

Il centrodestra si ferma a 140 voti. La coalizione che è arrivata prima alle ultime elezioni e che, stando ai sondaggi, arriverebbe prima anche oggi, non ha i numeri per formare un proprio Governo in questo Parlamento. Così, per la terza volta in tre anni, l’Italia si ritrova con un Governo formato da forze politiche che stanno insieme per necessità, incoerente per progetto politico e fragile numericamente. Tutto ciò mentre infuria la pandemia, i vaccini stentano ad arrivare, le imprese chiudono, esplode il dramma della disoccupazione, il debito pubblico sale al 170% e rischiamo pure di perdere l’occasione unica del Recovery.

Che fare? Io penso che questo non sia il momento dei “responsabili” dalla pelosa morale e dalla dubbia utilità. Credo che sia invece il momento della “responsabilità”. Per uscire dall’emergenza più difficile della nostra storia recente serve un Governo che tenga insieme le migliori energie del Paese, con un’ampia forza parlamentare, una grande capacità di dialogo con le forze economiche e sociali, una importante capacità di influenzare le politiche europee. Nessuno può chiamarsi fuori da questo sforzo collettivo, così come nessuno può considerarsi autosufficiente solo per aver preso un pugno di voti in più. Né tantomeno, con spocchiosa ipocrisia, qualcuno può sentirsi l’unico detentore della patente di democraticità, liberalismo, europeismo.

Per quando ci riguarda, noi di Cambiamo! siamo pronti a lavorare con tutti coloro che vogliono mettere al centro della politica l’impegno, la serietà, la responsabilità, la competenza, le tradizioni popolari, liberali e riformiste del nostro Paese, per troppo tempo marginalizzate. Lavoriamo per costruire un grande e nuovo contenitore dove tanti possano tornare a sentirsi a casa”.  Giovanni Toti e la sua Cambiamo! contano su cinque deputati (Stefano Benigni, Alessandro Sorte, Manuela Gagliardi, Giorgio Silli e Claudio Pedrazzini) e soprattutto tre corteggiatissimi senatori: gli ex ministri berlusconiani Paolo Romani e Gaetano Quagliariello (federato a Cambiamo! con il suo movimento Idea) e il tortonese Massimo Vittorio Berutti. Se saranno larghe intese, passeranno da Toti e Bonaccini. E’ già pronto anche il nome dell’esecutivo: “Governo di rinascita e di sviluppo”. Somiglia moltissimo al pentapartito, nel migliore dei significati possibili. Attenti a quei due.

 

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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