[L’analisi] Altro che i troll contro Mattarella. Cossiga e Scalfaro furono sotto attacco e la nostra democrazia tremò davvero
L'attacco sul web al presidente Mattarella ha nuove e inquietanti caratteristiche. Nella seconda repubblica è fortemente aumentato il peso politico del Quirinale e spesso il capo dello Stato viene trascinato nella polemica politica. Ma è nella crisi e nella fine della Prima che si consumano gli attacchi più virulenti, contro Cossiga e Scalfaro

C'è un aspetto nuovo e inquietante nell'attacco al presidente della repubblica Sergio Mattarella che ora vede la Procura di Roma indagare gli hacker per attentato alle sue libertà: quella tempesta di messaggi twitter, scatenata in poche ore, per chiederne le dimissioni nel giorno in cui era scattato il veto del Quirinale alla nomina di Savona al ministero dell'Economia rappresenta la prima irruzione nella scena politica italiana di una modalità “militare” di uso, scientifico e organizzato, dei social network: un blitzkrieg per abbattere il capo dello Stato.
IL POPOLO DEL WEB BECERO E VIOLENTO
Certo, la scorsa legislatura era stata scandita da ricorrenti campagne di odio, a folate, anche assai volgari e virulente, a botte di offese sessiste e razziste, meme provocatori e fake news, contro la presidente della Camera Boldrini e il ministro dell'Integrazione e poi europarlamentare Kyenge. Ma quando la polizia postale ha affondato i denti per colpire gli haters della Rete alla fine quasi ti veniva voglia di solidarizzare con i “teppisti”: poveracci inconsapevoli dell'inferno in cui si erano andati a cacciare, straniti e spaventati nello scoprirsi mostri sbattuti in prima pagina. Mai è stata scoperta una cabina di regia anche se le vignette più fortunate hanno raggiunto centinaia di migliaia di condivisioni. Negli attacchi al presidente Napolitano, accusato con una evidente forzatura polemica di “golpe”, per la nomina di Monti alla presidenza del Consiglio, al culmine dell'ondata speculativa sullo spread, sono invece prevalse modalità “novecentesche”: interventi diretti di esponenti politici, rilanciati dalla stampa “amica” e poi ripresi anche dal “popolo del web”.
IL PESO DELLA RETE NEL SUCCESSO GIALLOVERDE
Il peso decisivo della Rete nella costruzione dell'opinione politica non è una novità. In forme e modi diversi vi hanno fondato le proprie fortune le due forze che oggi governano insieme: i Cinque stelle usando lo strumento come organizzatore collettivo, con una modalità molto efficace di diffusione orizzontale di idee forza, miti, elementi identitari; Salvini combinando in maniera geniale il “principio del capo”, la selezione scientifica di temi e linguaggi popolari e ultrasemplificati per parlare direttamente alla “gggente”, la capacità sempre più forte di conquistare il centro della scena e dettare l'agenda politica.
QUANDO IL QUIRINALE SCENDE IN CAMPO
Nonostante i poteri costituzionali limitati, la Seconda Repubblica ha visto rafforzarsi il peso e l'influenza politica dell'inquilino del Quirinale, chiamato a scendere in campo con compiti di supplenza a fronte delle ripetute crisi istituzionali. Sia stata una tentazione o una necessità, a cui si è sottratto il solo Ciampi, questa scelta ha spesso trascinato il Presidente nell'agone della battaglia politica. Eppure mai è stata sfiorata la violenza e la drammaticità degli attacchi che furono portati, ai due capi dello Stato nel tramonto della Prima Repubblica.
SCALFARO NON CI STA E VINCE
Fu bravo a respingerli Oscar Luigi Scalfaro. Era il 3 novembre 1993 e il Presidente della Repubblica tenne un discorso non programmato a reti tv unificate. Il suo “Non ci sto”, divenuto poi proverbiale, bloccò la valanga di fango montante. Cinque giorni prima era stato arrestato l’ex potente direttore dei servizi segreti civili, nell’ambito di un'inchiesta di fondi neri e clientelismi. Riccardo Malpica accusò Scalfaro di aver percepito, negli anni in cui era stato ministro dell’Interno (dal 1983 al 1987) cento milioni di lire al mese dai fondi riservati del Sisde. Scalfaro parlò di “gioco al massacro”: quelle accuse erano una “rappresaglia” della classe politica travolta da Tangentopoli. L'accusa agli 007 di attentato ai poteri costituzionali non ebbe esito giudiziario.
LA CASSANDRA COSSIGA
Ne fu invece travolto Francesco Cossiga, che si dimise a due mesi dalla scadenza del suo mandato, nell'aprile del 1992, per “rendere un servizio allo Stato”. Era stato l'unico politico a intuire che il crollo del muro di Berlino avrebbe rapidamente travolto i fragili equilibri che reggevano la democrazia consociativa italiana, con il Pci escluso dal governo centrale ma ben incistato nei poteri locali e nel controllo dell'industria culturale, della stampa, dell'Università e la Dc da 45 anni al governo. Gli Stati Uniti non avrebbero più avuto la necessità di tollerare gli alti costi e il malcostume dilagante nell'avamposto mediterraneo. Cossiga decise perciò di aprire una sua personale battaglia per dare una scossa al sistema e favorire il passaggio alla democrazia dell'alternanza. Come tutta risposta il presidente del consiglio democristiano Andreotti autorizzò il giudice Casson a indagare su Gladio, la struttura di sicurezza atlantica in cui Cossiga aveva avuto un ruolo strategico, il Pci, divenuto Pds, ne chiese la messa in stato d'accusa per tradimento. Il muro del Palazzo resistette così alle sue picconate. Per pochi mesi: in poco più di un anno dalle sue dimissioni, sfiancati dalle stragi mafiose, decapitati dalla rivoluzione giudiziaria, la prima Repubblica e i suoi partiti si dissolvevano. Da allora nessuna forza politica ha governato per due legislature consecutive. Uno dei suoi inquisitori, Luciano Violante, anello di congiunzione tra Pci-Pds e partito dei giudici, anni dopo ammetterà: “Fossimo stati a sentirlo...”.