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Il caso Puglia, la regione di Conte perde uomini in continuazione

Gli addii ai 5 Stelle sono in aumento. E non è un problema di poco conto: perché in questa terra erano nate e cresciute molte delle battaglie storiche e qualificanti del MoVimento

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Il caso Puglia, la regione di Conte perde uomini in continuazione
Il leader del M5S, Conte (Ansa)

Taranto, abbiamo un problema. Ma anche Lecce, abbiamo un problema; Brindisi, abbiamo un problema; Bari, abbiamo un problema; Barletta, Andria, Trani, abbiamo un problema; Foggia abbiamo un problema.

Insomma, per il MoVimento Cinque Stelle tutta la Puglia è un problema oggi.

E il fatto che questo avvenga nella terra di Giuseppe Conte è quasi la versione 4.0 degli antichi problemi in Liguria a due passi dalla casa di Beppe Grillo.

E non di poco conto: perché in questa terra erano nate e cresciute molte delle battaglie storiche e qualificanti del MoVimento del 2018 e anche del 2013, quello dell’entusiasmo, di tutti i collegi uninominali vinti da Roma in giù e quindi anche in Puglia, del No a tutto, perché all’opposizione è anche più facile.

E quindi qui era nato e cresciuto il movimento e il MoVimento No Tap contro il gasdotto identificato all’epoca come il male assoluto; qui si era parlato di Xylella e del parassita degli ulivi; qui, soprattutto, erano state sposate alcune delle battaglie movimentiste a Taranto contro l’Ilva.

E qui c’è l’anima di una città divisa in due: da un lato il quartiere Tamburi, con i fumi e i dati record sui tumori; dall’altro l’azienda che dà da lavorare a moltissimi tarantini, la più grande acciaieria d’Europa. E la necessità di conciliare lavoro e salute che è sempre stata una dicotomia assoluta, addirittura coinvolgendo un politico certamente al di sopra di ogni sospetto da questo punto di vista come l’allora presidente della Regione Nichi Vendola.

Insomma, partiamo da Taranto per raccontare un MoVimento che non c’è più, o quantomeno non c’è più in quei modi e con quei toni, iniziando la storia dall’ultimo abbandono dei Cinque Stelle da parte di un parlamentare pentastellato, in questo caso un deputato.

L’ultimo addio, ormai dopo il centesimo abbiamo abbondantemente perso il conto, è stato infatti annunciato dal vicepresidente di turno di Montecitorio, il renziano Ettore Rosato, nell’ultima seduta della Camera, sotto il titolino ormai abituale “Modifica nella composizione di gruppi parlamentari: “Comunico che, con lettera pervenuta in data 15 settembre 2021, il deputato Giovanni Vianello, già iscritto al gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, ha dichiarato di aderire al gruppo Misto, cui risulta pertanto iscritto”.

E, fini qui, siamo nella consueta routine della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Ma, se questo è successo nella seduta di venerdì 17, il giorno prima, giovedì c’era stato il racconto politico di tutto questo, con toni più caldi e meno burocratici.

E, quasi per una nemesi, era toccato alla vicepresidente pentastellata di Montecitorio Maria Edera Spadoni annunciare che “Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato Vianello. Ne ha facoltà”.

Giovanni Vianello, tarantino di Grottaglie, è l’ennesimo deputato di questa provincia che lascia il MoVimento e, come sempre, come nei precedenti casi, si è andati subito sull’acciaieria ex Ilva: ”Grazie, Presidente. Il primo atto che il MoVimento 5 Stelle ha fatto con il nuovo capo politico Giuseppe Conte è presentare un emendamento al Senato per garantire la continuità produttiva dell'Ilva di Taranto: 700 milioni di euro. Notoriamente, lo stabilimento crea eventi di malattia e di morte ed è per questo che non solo è sotto sequestro ma è anche confiscato. Presidente, questa non è nient'altro che l'ultima beffa che si fa dell'ambiente e della salute delle persone. Dopo aver votato per gli inceneritori, per bruciare i rifiuti, con norme di favore per le trivellazioni, siamo arrivati a questo punto, cioè a dare soldi a un'industria che crea eventi di malattia e morte, ma, adesso, col capitale sociale che sarà per maggioranza pubblico, le perdite economiche se le accollerà lo Stato, cioè i cittadini: doppio danno! Dovevamo fare altro: si doveva chiudere quell'area a caldo, come è stato fatto a Trieste e a Genova; si doveva fare un piano di riconversione economica, tuttavia tutto questo non è stato fatto e ci sono delle responsabilità ben precise.

Ricordo bene l'ex Ministro dello sviluppo economico, Patuanelli, che a noi diceva: sono d'accordo con la chiusura dell'area a caldo, che diceva lavoriamo per questo, ma poi, nel frattempo, invece, è andato dietro al Partito Democratico, che proponeva la continuità produttiva. Questa è la realtà e i colleghi lo sanno bene. Presidente, quello che fa più rabbia è il fatto di essere arrivati vicino a risolvere un problema che riguarda la salute, l'ambiente e lo sviluppo del nostro Paese, e poi, invece, di aver fatto esattamente come tutti gli altri, nonostante tutto il lavoro che abbiamo fatto, nonostante il sudore e il sangue che abbiamo buttato. Per questo motivo io non posso, ovviamente, avallare questo provvedimento (questo decreto su Venezia), che in realtà cela 700 milioni di euro da dare all'Ilva; per questo, io non solo annuncio il mio voto contrario ma, contestualmente, annuncio anche l'uscita dal gruppo del Movimento 5 Stelle”.

Parole durissime accanto alle quali i resocontisti parlamentari hanno chiosato: “Applausi di deputati del gruppo Misto”.

Ma prima di Vianello, nella provincia di Taranto, era toccato a Rosalba De Giorgi, eletta proprio nel collegio uninominale di Taranto città e oggi nel Misto, a Nunzio Angiola, eletto nel collegio uninominale di Altamura, ma nato a Taranto, che ha seguito Carlo Calenda in Azione. E ad Alessandra Ermellino, tarantina anche lei, andata nel Centro Democratico di Bruno Tabacci. E prima ancora, nella scorsa legislatura, a due fra i primissimi fuorusciti del MoVimento, entrambi tarantini ed entrambi su vicende legate all’Ilva: Alessandro Furnari e  Vincenza Labriola, poi tornata alla Camera in questa legislatura con Forza Italia.

Ma, anche senza fermarsi a Taranto, la storia è la stessa: Nadia Aprile, eletta nell’uninominale a Casarano, oggi è nel Misto, come Giuseppe D’Ambrosio che ha vinto il collegio di Andria, Davide Galantino, eletto sul proporzionale in Puglia e poi passato a Fratelli d’Italia, così come erano sul proporzionale pugliese Veronica Giannone, oggi in Forza Italia e Paolo Lattanzio, andato invece nel Partito Democratico e Rosa Menga, giovanissima vincitrice del collegio uninominale di Foggia, ora nel Misto, e Michele Nitti, direttore d’orchestra eletto nel collegio uninominale di Lecce, ora nel Pd, e Antonio Tasso, eletto nell’uninominale a Cerignola e subito passato agli italiani all’estero del MAIE.

E anche al Senato Maurizio Buccarella, eletto sul proporzionale regionale e oggi con LeU e gli Ecosolidali, Lello Ciampolillo, pure lui eletto nelle liste pentastellate pugliesi e oggi nel Misto, l’ex ministra per il Sud nel primo governo di Giuseppe Conte Barbara Lezzi, eletta nel collegio senatoriale uninominale di Nardò e oggi nel Misto, Cataldo Minnino, eletto pure lui in Puglia e pure lui nel Misto, militare di professione come Galantino alla Camera.

Insomma, questa era la Puglia passata da No TAP a No M5S.

E il fatto che Giuseppe Conte sia pugliese è l’ennesimo passaggio su questa storia, analoga a quella di tante altre regioni, che racconteremo passo passo.

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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