[Il racconto] “Mamma mia” l’abbraccio tra Di Maio e Di Battista nella notte del giudizio tra vincitori e vinti
L’unica maggioranza possibile dai primi conti sui numeri della Camera e del Senato sembra quella fra M5S e Lega. Ignazio La Russa, da Vespa, dice che non ci crede «perché c’è incompatibilità fra i due movimenti». E voi?, gli chiedono. “Noi abbiamo sempre detto che non vogliamo far parte di nessun governo che non sia del centrodestra. L’unica cosa che potremmo fare è votare una nuova legge per tornare al voto”. Anche Paolo Romani, di FI, non ci crede: “Io non penso che la Lega si metta a fare inciuci con il M5S. La storia dei rapporti tra Lega e Forza Italia sono talmente radicati sui territori che io ritengo impossibile un’alleanza con i Cinque Stelle”
L’immagine che consacra queste elezioni arriva da un telefonino, un riquadro rettangolare dalle tinte un po’ sfocate, che rimanda l’abbraccio commosso fra Luigi Di Maio in camicia bianca senza cravatta con Alessandro Di Battista nei corridoi della sede dei Cinque Stelle con una voce in sottofondo che continua a ripetere incredula «mamma mia, mamma mia...». E in fondo non c’è niente di più autentico dopo questa strana campagna elettorale, senza comizi, senza folle radunate in piazza, ma comodamente sedute sulle poltrone di velluto davanti a un pc o alla tv.
Il voto al tempo del web ha perso la passione sostituendola con la rabbia. Ma nella notte del giudizio ci sono solo i sorrisi del trionfo, gli abbracci, gli sguardi commossi. Il primo dei Cinque Stelle che appare in tv è Alfonso Bonafede, candidato ministro della Giustizia nel governo Di Maio, e Mentana lo saluta ironicamente: «la vedo felice come una Pasqua». Ma Bonafede non perde lo stesso il sorriso: «lei al mio posto avrebbe lo stesso sorriso». L’altra immagine che ci lascia la notte del giudizio è il tavolo della conferenza stampa del pd, riempito da una selva di microfoni, ma senza neanche una persona dietro. La sconfitta è immortalata da questo vuoto, questo silenzio.
Alle 0,39, in via Bellerio, invece, spunta Giancarlo Giorgetti. Anche lui non riesce a trattenere un bel sorriso da un orecchio all’altro. Il clima di euforia nella Lega lo si avvertiva già prima ancora della chiusura dei seggi. In tutta la storia del movimento non c’era mai stato un parterre di giornalisti così numeroso. Alle 22 si respira un’aria di vittoria, che viene sussurrata sottovoce, tutta interna al centrodestra, per la battaglia conta: «Abbiamo superato Forza Italia».
Dalle stanze chiuse avvisano che Salvini sta per arrivare, ma che parlerà soltanto a risultati sicuri, dopo le 4. Però qualcosa lo dice già, quando non è ancora mezzanotte: «Una sola parola per gli italiani: grazie!». Invece, Giorgetti arriva e si siede, aspetta che la vociante platea di giornalisti assiepati confusamente davanti al tavolo della conferenza faccia silenzio, e poi dice poche parole, ma chiarissime: «Siamo soddisfatti per la Lega, per Salvini, per tutti noi, perché questo è un risultato storico. Partivamo dal 4 per cento, e i dati ci danno sopra il 14, più di dieci punti. Adesso sappiamo benissimo quello che dobbiamo fare. Parleremo per primi con i nostri alleati. Credo che la sfida di Salvini sia stata vinta».
Poi ripete, forte e chiaro: «Sappiamo benissimo quello che dobbiamo fare». I giornalisti si sa come sono fatti: guardano le virgole. E quell’inciso «parleremo per primi con i nostri alleati», scatena tutte le televisioni. Anche perchè l’unica maggioranza possibile dai primi conti sui numeri della Camera e del Senato sembra quella fra M5S e Lega. Ignazio La Russa, da Vespa, dice che non ci crede «perché c’è incompatibilità fra i due movimenti». E voi?, gli chiedono. «Noi abbiamo sempre detto che non vogliamo far parte di nessun governo che non sia del centrodestra. L’unica cosa che potremmo fare è votare una nuova legge per tornare al voto».
Anche Paolo Romani, di FI, non ci crede: «Io non penso che la Lega si metta a fare inciuci con il M5S. La storia dei rapporti tra Lega e Forza Italia sono talmente radicati sui territori che io ritengo impossibile un’alleanza con i Cinque Stelle». Poi Renato Brunetta fa il giro delle sette chiese, da Sky a Vespa, e anche lui schiera un gran sorriso: «La coalizione del centrodestra ha vinto, questo è il risultato. Dopo di che c’è stata una ottima performance dei Cinque Stelle. Ma quando faremo i conti dei seggi, vi accorgerete che il centrodestra arriverà a più di 250 alla Camera e più di 130 al Senato. E con qualche responsabile, e ce ne sono sempre in tutte le legislature, avremo la maggioranza necessaria per governare». Siete sicuri?, chiede Vespa. «C’è la fila», risponde Brunetta. Poi a chi gli chiede se il presidente del Consiglio lo farà Tajani o Salvini, lui ripete quello che i leader avevano già detto prima del voto: «Chi ha un voto in più, dovrà fare il premier, questo era l’accordo».
Mentre continua il silenzio del pd e un portavoce di Liberi e Uguali si presenta davanti al microfono per dire soltanto che se i voti sono questi ne prendano atto «e domani li studieremo con calma per dare una risposta», anche Alessandro Di Battista appare in tv, da Sky e anche lui ha un sorriso che non finisce più, mentre dice una cosa importante: «Se questi sono i dati, si tratta di un trionfo, di una vera e propria apoteosi, ma soprattutto dimostra un’altra cosa, che tutti quanti dovranno venire a parlare con noi, ultilizzando i nostri metodi di correttezza e trasparenza. Lo dico a tutela dei cittadini».
Probabilmente, non ci sarà più Matteo Renzi a fare questi colloqui. Quel silenzio, quel vuoto davanti alla selva dei microfoni in attesa, parla chiaro. Poco prima di mezzanotte dall’ufficio stampa del pd avevano fatto sapere che ci sarebbe stato un punto stampa di un dirigente del pd di lì a poco. Ma non è apparso nessuno. Solo lontano dalle telecamere, Ettore Rosato ammette la sconfitta: «Staremo all’opposizione». Renzi si dimette? «Noi pensiamo soprattutto al Paese. Alle dimissioni di Renzi non ci pensiamo». Ma la notte del giudizio ha già deciso. Hanno perso tutti, rottamatori e rottamati. Nei loro collegi perdono pure i ministri, Padoan e Minniti. Ci siamo svegliati una mattina, e la sinistra non c’era più...