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A sinistra tutti scissionisti: una storia incredibile che arriva da lontano

Tutto inizia cent’anni fa, quando il congresso di Livorno del Partito socialista italiano si concluse con la scissione e l’uscita degli esponenti del Pci. Da allora le scissioni a sinistra sono la regola

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Le scissioni a sinistra sono state tante (Foto Ansa)
Le scissioni a sinistra sono state tante (Foto Ansa)

Questa è una storia lunghissima, che inizia cent’anni fa, nel gennaio del 1921, quando il congresso di Livorno del Partito socialista italiano si concluse con la scissione e l’uscita degli esponenti del Pci.

E, da allora, le scissioni a sinistra sono la regola, un percorso lunghissimo che passa anche attraverso momenti storici: la scissione di Saragat e del Partito socialista democratico italiano a Palazzo Barberini, che portò una parte dei socialisti verso l’area atlantica e moderata, o quella dei Comunisti unitari di Famiano Crucianelli (giuro che esistevano) che ruppero con Rifondazione comunista per votare il governo di Lamberto Dini. E, alcuni di coloro che furono vittime di quella scissione, i seguaci di Armando Cossutta, firmarono la successiva con il Partito dei comunisti italiani che si staccò da Rifondazione per appoggiare Prodi.

Ma poi, come in una fiera dell’Est delle scissioni, dal Pdci se ne andarono quelli del Partito comunista di Marco Rizzo….

Insomma, raccontare l’arcipelago della sinistra è un’esperienza.

La sinistra sinistra

E lasciamo pure perdere il Pd, che recentemente ha subito addirittura tre scissioni – prima quella di Articolo 1 di Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani e Roberto Speranza, poi quella di Carlo Calenda e di Azione e quella di Italia Viva e Matteo Renzi - concentrandoci sulla sinistra-sinistra, da sempre fucina di scissioni e ricomposizioni, di sfumature e differenziazioni fin dai tempi movimentisti di Lotta Continua e Potere Operaio, ma soprattutto dell’approdo dei movimenti in Parlamento: dal Psiup al Manifesto, passando per Nuova sinistra unita che non riuscì a entrare alle Camere e Democrazia Proletaria, tutti antenati delle varie anime di Rifondazione negli anni successivi. Dove, unico caso al mondo, riuscivano a convivere stalinisti e trozkisti, che si sono sempre fatti la guerra in tutto il mondo tranne che nel partito di Fausto Bertinotti, dove a tratti stavano addirittura nella stessa corrente.

E, anche solo per restare alle ultimissime settimane, questo mondo frastagliatissimo ed affascinante è come un magma che si muove in continuazione: ad esempio, nel minigruppo di Liberi e Uguali al Senato, negli ultimi giorni ci sono state due senatrici ex pentastellate che hanno cambiato collocazione: Elena Fattori, che era indipendente, è passata a Sinistra Italiana, il partito di Nicola Fratoianni che è fra i soci fondatori di Leu. E Paola Nugnes, che era l’unica parlamentare ad avere aderito a Rifondazione comunista, è passata pure lei a Sinistra italiana.

Liberi e uguali

Ma Liberi e Uguali è un mondo straordinario, perché i parlamentari di Sinistra Italiana sono quattro (Fratoianni, Nugnes, Fattori e Loredana De Petris), ma tre votano contro Draghi e una, la presidente dei senatori del Misto De Petris, invece vota a favore della fiducia al governo.

E poi in Leu, che è un universo incredibile, ci sono oggi quattro diversi partiti, che però non sono quelli che hanno costituito il cartello elettorale di sinistra che si è presentato alle elezioni: oltre a Sinistra Italiana, a fare la parte del leone è Articolo 1, la parte degli ex diessini e piddini, che esprime Speranza e il capogruppo a Montecitorio Federico Fornaro, il parlamentare che meglio conosce e studia le leggi elettorali al mondo, quel signore molto mite, molto simpatico e dall’ottima dialettica parlamentare con la barba e un po’ robusto e paciarotto che espone la linea del partito nei telegiornali (che però danno conto sempre anche dell’opposizione di Fratoianni).

Gli indipendenti

Ma, insieme a loro e a un gruppetto di indipendenti, fra cui spicca l’ex presidente del Senato Piero Grasso, c’è “èViva” un nuovo partito formato dal senatore più giovane della legislatura, Francesco Laforgia, che inizialmente era di Articolo 1 e dal segretario di presidenza di Montecitorio Luca Pastorino, ex sindaco di Bogliasco e persona molto simpatica, che ha anche un forno artigianale a Santa Margherita Ligure, unico eletto per Possibile di Pippo Civati. Che, poi, ovviamente, ha fatto una scissione da Leu per fare un’alleanza elettorale con i Verdi, che però poi si sono separati, con Civati che si è candidato alle Europee insieme al Sole che ride, ma poi ha rotto con gli ecologisti italiani già in campagna elettorale.

E poi, sempre con loro, c’è l’ex viceministro dell’Economia e delle Finanze Stefano Fassina che oggi rappresenta un partito che si chiama “Patria e Costituzione”, di cui è l’unico rappresentante nelle istituzioni, ma prima ancora era di Sinistra Italiana e prima prima ancora, quando uscì dal Pd, fondò e aderì a un movimento che si chiamava Futuro a sinistra, ma che tradì la prima parte del nome e non ebbe futuro.

Ma fin qui è tutto abbastanza – si fa per dire – semplice, perché stiamo parlando di partiti rappresentati come gruppi autonomi o come membri delle federazioni che portano a quei gruppi nel Parlamento italiano, discorso che si può estendere anche a Strasburgo e Bruxelles, dove appare anche una rappresentanza di “Campo progressista”, due eletti nelle liste del Pd e che aderiscono al gruppo degli eurosocialisti. Sono entrambi ex di Rifondazione che puntano a un progetto di riunione della sinistra (vaste programme, direbbe il generale De Gaulle): l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia e Massimiliano Smeriglio, eurodeputato vicinissimo al presidente del Lazio Nicola Zingaretti. E, sempre eletto nel Pd e pure lui iscritto all’eurogruppo socialista, c’è anche un rappresentante di DemoS, sigla che sta per Democrazia solidale, nasce da una costola di Per l’Italia, il partito di Mario Monti (sembra un’era fa, ma non sono passati nemmeno dieci anni) ed è il medico condotto di Lampedusa: Pietro Bartolo.

Quelli del 2018

E poi ci sono quelli che sulle schede elettorali c’erano, nel 2018 alle politiche o nel 2019 alle europee, ma che nelle istituzioni non sono entrati o ci sono entrati solo a livello locale, a partire da Potere al Popolo, partito che rappresenta il mondo dei movimenti di lotta e dei centri sociali, e che comprende il centro sociale napoletano “Je so’ pazzo” e decine di piccoli partiti e partitini di sinistra estrema che però, fedeli al loro modo di essere, compongono e scompongono la loro presenza all’interno di Potere al Popolo, i cui leader sono Viola Carofalo e l’ex sindacalista Fiom Giorgio Cremaschi (al cui confronto Maurizio Landini è il capo dei moderati), come fra l’altro è connaturato a una sinistra gruppettara che trova sempre qualcuno un po’ più a sinistra.

Potere al Popolo, che comunque è un esperimento sempre vivo e frizzante, ha eletto otto consiglieri comunali e uno di municipalità, che si aggiungono al primo eletto della sua storia, un camallo genovese che si chiama Sergio Triglia, amatissimo nei suoi quartieri genovesi di San Teodoro e Sampierdarena, “la Manchester italiana”, che da solo ha superato il tre per cento e oggi fa parte anche della maggioranza giallorossa che governa quel territorio e che, tecnicamente, si chiama Municipio Centro Ovest di Genova.

Rifondazione

Poi, ovviamente, c’è Rifondazione comunista, che spesso aderisce a alleanze a sinistra.

E poi ci sono i variegati ex di Rifondazione: sulle schede fra politiche ed europee, gli elettori hanno trovato anche il Partito comunista di Marco Rizzo, ospite fisso dei dibattiti televisivi, amato anche dal pubblico di destra, un po’ come Diego Fusaro, da non confondersi con il Partito comunista italiano che stava invece nelle liste di Potere al Popolo, come Rifondazione all’epoca.

E sulle schede elettorali c’era anche il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, in un’alleanza elettorale con Sinistra Classe Rivoluzione che sulle schede portò alla lista Per una sinistra rivoluzionaria.

Mentre, fuori dal Parlamento e anche dalle schede elettorali recenti, ci sono il PMLI, che è il partito marxista-leninista italiano, il Partito comunista internazionalista e il Partito dei comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, che raccoglie l’esperienza dei CARC. E, per qualche tempo, l’ex deputata di Rifondazione Comunista Mara Malavenda fece il partito dei Cobas per l’autorganizzazione, portando in Parlamento le battaglie sindacali all’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco, con  il record di 130mila emendamenti ostruzionistici contro la Finanziaria di Prodi e battaglie d’aula che terminavano spesso con occupazioni e sgombero da parte dei commessi, una volta finita anche in infermeria.

Lotta comunista

E poi, su tutti, c’è Lotta Comunista, movimento sindacale fortissimo soprattutto a Genova, con ragazzi elegantissimi e gentilissimi che vendono per strada il suo giornale e a cui aderiscono anche elementi di punta della vita sociale della Superba, a partire dal Console dei camalli, gli storici scaricatori del porto di Genova, il capo della Compagnia Unica Antonio Benvenuti, persona squisita e a suo modo liberale anche se non è detto che lui prenda l’aggettivo come un complimento, e dall’ex capo della Fiom, i metalmeccanici della Cgil genovese, Franco Grondona.

Lotta Comunista ha due dogmi: pur essendo molto radicata nella società, anche con i “Circoli operai” che in quest’anno hanno fatto le spese e assistito chi era costretto in casa per il Covid, non si candida alle elezioni. E i suoi rappresentanti non votano neppure, astensionisti per statuto.

Ma questa di tutte le falci e martello e dintorni presenti in Italia - paradossalmente mai così numerose come dopo la caduta del muro e del socialismo reale - è solo una fotografia, un’istantanea, sapendo che il mondo delle scissioni a sinistra è eracliteo e tutto scorre e non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua di questo fiume politico.

Dalla corrente sempre impetuosa.

 

 

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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