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[Il ritratto] Zaia l’anti-Salvini e il miracolo del Nord che dopo l’alluvione ha già rialzato la testa

Prima era solo diffidenza, ma dal decreto dignità in poi, passando per Toninelli e le autostrade da sprivatizzare, dal reddito di cittadinanza ai no per le grandi opere, il no alla Tav e la Pedemontana da verificare, è tutto un mugugno, una protesta che sale, e chiama e bussa alla porta ogni giorno, perché così non va bene.

Luca Zaia (Ansa)
Luca Zaia (Ansa)

Ci ha messo due foto, una di Alleghe prima della frana e l’altra di adesso, ha fatto un tweet e anche un post su facebook: «In dieci giorni centinaia di persone si sono rimboccate le maniche per ridare la normalità ai cittadini. Questo è il Veneto!». C’è chi parla tanto e chi non perde tempo, chi aspetta il reddito di cittadinanza e chi lavora. Bisogna leggerlo fra le righe Luca Zaia, governatore del Veneto verde, verdissimo come la prima Lega, che lo tiene ancora tutto insieme legato al carro di Roma, di Salvini e Di Maio, nonostante dal decreto dignità alla legge di bilancio un mucchio di cose non piacciono per niente da queste parti. Compresi i soldi che devono arrivare per aggiustare i danni e le devastazioni portati dalla pioggia e dal vento che hanno sradicato un bosco sul crinale di una montagna e distrutto le strade dieci giorni fa, quelle strade che «noi stiamo già rimettendo a posto», come dice lui, puntando bene l’indice sul noi.

Stili profondamente diversi

Nei giorni dell’emergenza aveva già parlato chiaro: «Paghiamo molte tasse, ci aspettiamo una risposta». E quando Salvini ha annunciato i milioni di euro che il governo voleva stanziare per il Veneto, ha commentato placido, lui che non ha mai messo una felpa in vita sua, sempre in completo scuro, così diverso e così lontano dal Capitano, tutto bello azzimato, antiSalvini anche nell’immagine, con le sue giacche di sartoria, i pantaloni stretti alle caviglie stile tanghero, e i capelli ravviati al gel tipo "er pomata" un po’ lunghi dietro: «Il segnale è importante, ma se le cifre sono queste io le considero soltanto un acconto».

Le proteste “settentrionali”

Per ora va così. Le strade le mettiamo a posto noi, senza perderci in chiacchiere. Non sono molto contenti. Ma è da giugno che va così, da quando è nato il governo del cambiamento. Prima era solo diffidenza, ma dal decreto dignità in poi, passando per Toninelli e le autostrade da sprivatizzare, dal reddito di cittadinanza ai no per le grandi opere, il no alla Tav e la Pedemontana da verificare, è tutto un mugugno, una protesta che sale, e chiamano e bussano alla porta ogni giorno, perché così non va bene.

Il decreto dignità non piace al Nord

La Confindustria del Veneto era già stata la più dura contro il decreto dignità: «E’ stato scritto da uno che non ha mai lavorato in vita sua». Poi aveva dovuto intervenire lui direttamente, perché i segnali erano diventati sempre più allarmanti. Dichiarazioni sparse, ma ben indirizzate. Uno, a Salvini: «Ci auguriamo che il governo realizzi il contratto Lega-Movimento Cinque stelle, ma il nostro contratto con gli elettori vale di più». Due, a Toninelli: «Dire che dietro ogni cantiere c’è un ladro è propaganda». Tre, Di Maio e Toninelli: «Nazionalizzare le autostrade? Non mi convince per nulla. Sarebbe un bagno di sangue per la collettività». Quattro, ai Cinque Stelle: «Pedemontana? Io non la fermo. Se qualcuno se ne assumesse la responsabilità, il Veneto sarebbe parte lesa». E anche nei giorni del crollo di Genova aveva infilato un po’ di veleno: «Oggi vedo che i No Gronda sono spariti. Mi piacerebbe che i giornalisti andassero a intervistarli». Ogni riferimento ai grillini era puramente casuale...

Gente che lavora sodo

La verità è che lui non è solo il portavoce della sua gente, di questo popolo diffuso di partite Iva, di "fasotutomì", di sghei e lavoro, di camerieri e operai diventati padroncini solo con il sudore della fronte e l’olio di gomito; la verità è che lui la pensa davvero come loro, è quasi più veneto di un veneto, profondamente attaccato alla sua terra e alle sue memorie, a quella tavolata dell’infanzia lunga 8 metri dove si mettevano tutti a mangiare sotto al pergolato, i nonni, la mamma con i suoi dieci fratelli e i sei cugini, e il papà meccanico, ex migrante tornato a casa. Anche per questo, finché c’è lui, la Lega non perderà neanche un voto a casa sua.

Testimonial del leghismo buono

Luca Zaia, questo contadino in giacca e cravatta dai modi sempre garbati, quest’uomo che viene dai campi, dai vecchi mulini, dalle giornate di lavoro con l’aratro trainato dai buoi, è l’esatto opposto di Matteo Salvini e delle sue felpe, il leader metropolitano che ha fatto della competizione muscolare il segreto del suo successo, e che anche adesso che è costretto a portare la cravatta per doveri di rappresentanza appena può la slaccia e spara bordate. Salvini quando parla, eccita i suoi, li trascina. Zaia è un comunicatore, un ambizioso e raffinato testimonial del leghismo buono, non urlante. Quando Salvini cantava «senti che puzza, arrivano i napoletani», Luca Zaia salvava la vita di un albanese da un auto in fiamme e diceva ai giornalisti che aveva fatto solo il suo dovere. E ancora poco tempo fa ha postato una foto di lui abbracciato a un ragazzo di colore e quando qualcuno ha cominciato ad attaccarlo per questo, ha scritto chiaro e duro: «Il Veneto che amministro ha 517mila immigrati, gente perbene. Siamo la terza regione in Italia per numero di immigrati. Chi viene qui con un progetto di vita e sposa i nostri valori è il benvenuto. Per gli altri tolleranza zero. Spero di essere stato chiaro». E poi: «I distinguo si fanno tra le persone per bene e i delinquenti. Nessun distinguo per il colore della pelle».

Fedele alla ditta

Per ora, nonostante i mal di pancia della Confindustria veneta e tutte quelle dichiarazioni No Tav del governo contro le grandi opere, lui è saldamente fedele alla ditta e al suo leader, incollato alla sua camicia verde e agli ideali della prima Lega di Bossi, perché da lì lui viene, anche se è quasi un altro partito oggi a vederlo da qui, dalla terra di Venezia, dell’assalto al campanile, della secessione gridata ai quattro venti, della Lega di centrodestra di Silvio e Umberto. E lui lì vorrebbe tornare, a un governo di quella identità, come questo del Veneto. Solo che non si può, «e io non remerò mai contro», ha assicurato Zaia. Si marcia tutti insieme. Si viaggia, tutti insieme, anzi. Perché prima o poi a Roma dovranno rendersi conto che questo è un treno che non si può fermare, che questa è la locomotiva che traina il Paese, e che il Pil del Nord Ovest da 549 miliardi di euro e quello del Nord Est da 387, sommati insieme sono grandi come tutta la Spagna e più della industriosa Baviera. Prima o poi. Fino a quando tiene Zaia. 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, editorialista   
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