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[Il retroscena] Tessere elettorali strappate e accuse di tradimento. Il si’ al Tap scatena la rivolta contro Conte

Dopo il via libera del premier al gasdotto  gli attivisti pugliesi del Movimento si infuriano: bruciano le schede elettorali e chiedono le dimissioni ai parlamentari eletti nella Regione. Di Maio da una spiegazione: “Si deve fare perché altrimenti si devono pagare 20 miliardi di penali”, ma viene smentito anche dai suoi compagni di partito. Salvini vince ancora e rivendica il successo: “Giusto farlo, pagheremo meno il gas”. I pentastellati ancora contro la Tav sulla tratta Torino Lione, privano a fermare anche due cantieri sulla Venezia - Trieste 

[Il retroscena] Tessere elettorali strappate e accuse di tradimento. Il si’ al Tap scatena la rivolta contro Conte

­Nel M5s la tensione è così alta che che alcuni attivisti pentastellati pugliesi hanno strappato le schede elettorali stanno chiedendo ufficialmente le dimissioni dei parlamentari eletti nella regione. Il leader della Lega, l’ex gemello politico di Luigi di Maio, però, questa volta non si è curato del dramma esploso dentro al partito alleato, al punto che, più che un commento, le parole di Matteo Salvini arrivate all’ora di cena sono suonate come come una rivendicazione beffarda: “Se l'energia costa meno per famiglie e imprese è solo una buona notizia. Quindi quello che serve a fare pagare meno gli italiani va avanti”. 

E’ vero che - forse con un po’ di leggerezza - il premier Giuseppe Conte si era impegnato ufficialmente a realizzare il gasdotto davanti a Donald Trump nel corso della sua ultima visita con conferenza stampa alla Casa Bianca, ma i suoi compagni di partito hanno continuato a tirare diritto continuando a ripetere che l’opera “non è strategica”, e dunque vi si poteva rinunciare. Lo ha detto per esempio nientemeno che il vicepremier Luigi Di Maio e lo ha ripetuto in continuazione la ministra per il Mezzogiorno Barbara Lezzi. Pure il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha avviato un’istruttoria per capire se fosse possibile fermare i cantieri, ma la pressione maggiore l’ha sempre fatta Alessandro Di Battista. “Dibba” non soltanto aveva promesso in campagna elettorale che un governo pentastellato avrebbe “fermato i cantieri in due settimane”, ma ancora il 4 agosto, in una diretta Facebook, aveva sostenuto: “Il Movimento deve fare il Movimento, ribadendo i No sani che abbiamo detto, come quelli contro il Tap e contro il Tav, temi sui quali abbiamo preso i voti“. 

Il premier, invece, venerdì ha gettato la spugna. “Il Tap si farà”, ha annunciato. Non lo avesse mai fatto. Sui social, nelle chat dei meet up pugliesi, è iniziato a comparire un profluvio di video nei quali si vedono attivisti che strappano le tessere elettorali.    In uno di questi,  postato su Facebook, una donna che indossa una felpa “No Tap”, strappa la sua e scrive: "Sig. Conte, lei non può decidere per noi! Non avrete più il nostro voto!". È la Puglia l’epicentro del malcontento pentastellato, il luogo dello scontro (finale?) tra governisti e movimentisti, tra il partito di governo e quello di protesta. Qui - particolare non secondario - a soffiare sul fuoco c’è anche la concorrenza del governatore della Regione, Michele Emiliano, pronto a rivendicare invece la propria coerenza e a rinfacciare i “tradimenti” ai Cinquestelle. 

Già c’erano stati malumori dopo il salvataggio e il rilancio dell’Ilva di Taranto nonostante i pentastellati ne avessero promessa la chiusura e Beppe Grillo avesse proposto di farne un luna park. Ora, con il via libera al gasdotto, è rottura. A poco sembrano servite le giustificazioni del vice premier e capo politico pentastellato, molto simili peraltro a quelle già sentite proprio per l’acciaieria. “Ho studiato le carte per tre mesi: vi assicuro che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente”, ha detto nel corso del suo tour in Sicilia. E anche stavolta Di Maio è sembrato prendersela col suo predecessore, Carlo Calenda, che avrebbe posto il suo successore al Mise di fronte al fatto compiuto. Sarebbe per questo che “Non ci sono alternative a realizzare l’opera”. L’ex ministro dello Sviluppo Economico del governo Gentiloni, però, parla di “sceneggiata” e spiega che non esiste alcuna penale: Per lui, Di Maio “si sta comportando da imbroglione come sull'Ilva;  non esiste una penale perché non c’è un contratto”. E, paradossalmente, un gruppo di eletti coi Cinquestelle in Puglia danno più ragione a lui che al loro capo: “Anche Conte sbaglia. Non ci possono essere penali, semplicemente perchè non esiste alcun contratto tra Stato e Tap”, scrivono i senatori M5S Lello Ciampolillo e Saverio De Bonis e la deputata Sara Cunial. “Né ci possono essere costi a carico dello Stato perché, non essendoci ad oggi il rispetto delle prescrizioni da parte di Tap, non vi può essere responsabilità dello Stato”, hanno aggiunto. Questa puntualizzazione, però,  non ha impedito che finissero - come tutti i loro colleghi - al centro di una campagna social per chiedere le dimissioni agli eletti pentastellati che hanno “tradito”. 

Il Movimento No Tap ha scelto come destinatari della campagna il premier, il vicepremier e la ministra per il Mezzogiorno. Lo slogan è “No Tap, né qui né altrove”. Dibba tace, ma molti pensano che sia l’unico a poter ricomporre la frattura. Una sua ridiscesa in campo per le Europee non è più esclusa, pure se l’interessato non sarebbe entusiasta di questa prospettiva. I fronti aperti tra i due diversi M5S sono sempre più numerosi; non solo il gasdotto, ma anche - e soprattutto- il decreto sicurezza e quello fiscale. Sul primo c’è una forte resistenza dell’ala più vicina a Roberto Fico.  Non servono le ruspe ma amore e integrazione”, va dicendo il presidente della Camera e anche altri, come per esempio il comandante-senatore Gregorio De Falco, hanno espresso il loro dissenso; sul secondo si è rischiato un nuovo patatrac quando, ieri notte, si è scoperto che le “manine” si erano dimenticate di cancellare dal Dl il condono fiscale, offrendo nuovi argomenti a chi, come Elio Lannutti e Carla Ruocco, non riescono a riconoscersi nelle politiche economiche del governo. Di fronte a questi contorcimenti, il Carroccio può dire di aver vinto due volte. La Lega è riuscita ad imporre quella che è stata la sua linea fin dall’inizio sulla Tap e ha indebolito l’alleato, già sorpassato secondo tutti i sondaggi. La linea è quella espressa qualche giorno fa da Salvini: Servono “più cantieri e non meno cantieri” aveva detto soltanto qualche giorno fa, ponendosi su una posizione antitetica a quella degli alleati.

Anche per questo, ha il sapore di un “fallo di reazione” lo stop che i Cinquestelle hanno imposto ad un’altra grande opera, ancora più rilevante per l’elettorato leghista. “Da sempre noi siamo contrari alla Tav;  non è nel contratto di governo e nessuno foraggerà quest’opera”, ha garantito Di Maio. Fanno blocco contro l’alta velocità sulla linea Torino Lione la sindaca di Torino Chiara Appendino e il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. “Stiamo per completare un'analisi costi-benefici”, assicurano,  allo scoop di prendere tempo. Quale sia la filosofia lo si è capito ancora l’altroieri quando alla Commissione Trasporti della Camera dei deputati è stato sottoposto un parere scritto della deputata pentastellata Arianna Spessotto sul Contratto di programma tra Ministero dei Trasporti e Reti Ferroviarie Italiane per il periodo 2017-2021. Il testo votato da Cinquestelle e Lega prevede “il ritiro” di altri due progetti di alta velocità ferroviaria sulla linea Venezia-Trieste: non si apriranno i cantieri nella tratta Venezia-Ronchi dei Legionari e in quella Ronchi dei Legionari-Trieste.

 

Paolo Emilio Russodi Paolo Emilio Russo, giornalista parlamentare   

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