[Il retroscena] Sulle pensioni d’oro hanno vinto i Cinquestelle: ecco come saranno i tagli

Il M5s vince le resistenze della Lega e ottiene che con la Manovra si taglino i maxi assegni: il 10% per gli assegni sopra 90mila euro, il 20% tra 130-200mila euro, il 25% tra 200-350mila euro, il 30% tra 350-500mila euro, e il 40% oltre il mezzo milione. Ma per non incappare in una sentenza della Corte costituzionale il governo è costretto a escludere gli “organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”, che si adegueranno nella “loro autonomia”. In Manovra la flat tax per i pensionati residenti all’estero che ritornano in Italia. Senato al lavoro per tutto il weekend.

[Il retroscena] Sulle pensioni d’oro hanno vinto i Cinquestelle: ecco come saranno i tagli

Sulle pensioni d’oro hanno vinto i Cinquestelle. La Lega era contraria a tagliare assegni già in erogazione, e ha provato fino all’ultimo a resistere, perché Giancarlo Giorgetti ha sempre ritenuto che questo genere di intervento fosse un “autogol”. Anche il Carroccio, infatti, ha il suo buon numero di ex deputati, senatori e boiardi di Stato che non sono proprio felici di vedersi decurtare i vitalizi. Matteo Salvini prima ha  provato a prendere tempo, poi, messo alle strette dalla necessità di trovare un po’ di soldi per poter trattare con l’Unione europea, si è dovuto arrendere. La ragione l’ha spiegata chiaramente il presidente dell’Inps, Tito Boeri, “Ci è stato chiesto di studiare interventi che ci avrebbero portato a raccogliere un certo volume di risorse piuttosto che fare la procedura inversa. Potrebbe essere un segnale del fatto che qui l’esigenza non è l'equità ma di cassa”. I leghisti hanno dovuto cedere perché il governo ha bisogno di fondi per finanziare proprio la “loro” riforma delle pensioni, la cosiddetta Quota cento. 

Ecco come saranno i tagli

Così ha preso forma l’emendamento presentato dal  capogruppo del M5s Stefano Patuanelli al Senato, dove è in discussione la (nuova) legge di Bilancio. Tra i sei faldoni di proposte emendative controfirmate dai relatori della maggioranza gialloverde, ce n’è infatti uno che dà attuazione alla vecchia idea di tagliare le cosiddette “pensioni d’oro”. Il meccanismo è piuttosto draconiano e prevede cinque diversi scaglioni: il 10% per gli assegni sopra 90mila euro, il 20% tra 130-200mila euro, il 25% tra 200-350mila euro, il 30% tra 350-500mila euro, e il 40% oltre il mezzo milione. Le decurtazioni vengono effettuate sulla quota di reddito che eccede quelle soglie. Dunque, se un pensionato incassa centomila euro lordi, il taglio del dieci per cento riguarda soltanto i diecimila euro in più, si limita a mille euro l’anno. Giusto. Ben diverso l’impatto per i veri ricchi, gli ex manager o imprenditori che vantano assegni superiori ai 500 mila euro: in caso di trattamento pensionistico da un milione di euro, per esempio, si produrrebbe un taglio di ben 200 mila euro. Mica poco.

Ci saranno sorprese

L’emendamento pentastellato riserva però altre sorprese. La principale è che, per come è stato formulato, risparmia un bel pezzo della cosiddetta “casta”. Per capirci, Giuliano Amato, ex premier e poi giudice della Corte costituzionale, più volte indicato come esempio di un ex boiardo dello Stato da colpire, da questo taglio delle pensioni d’oro non sarebbe colpito. La ragione dell’esclusione sta proprio nel testo della proposta grillina che, all’articolo 142 quinquies, recita così: “Gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale si adeguano alle disposizioni nell’ambito della loro autonomia”. Lo Stato non può intervenire direttamente sui diversi organi statali che godono di autonomia finanziaria e dunque si limita ad un “invito” che, come già capitato nel passato, sembra destinato a cadere nel vuoto. Alla Camera e al Senato, per esempio, per ricalcolare i vitalizi ci sono volute due distinte delibere degli uffici di presidenza adottate sulla base del principio dell’autodichia. Una legge ordinaria, infatti, sarebbe stata più facilmente impugnabile.

Fuori il Quirinale, fuori le principali istituzioni della Repubblica. Fuori la Corte costituzionale dove i pensionati non sono moltissimi, ma certo non se la passano male. Gli ultimi dati a disposizione sono del 2013 e in quell’anno l’Alta corte pagava agli ex giudici e ai loro familiari superstiti pensioni per 5,8 milioni. I destinatari erano 20, più 9 superstiti, con un trattamento medio di circa 200 mila euro per ciascuno dei fruitori. Quando il governo di Mario Monti tentò di tagliare quegli assegni, l’intrusione fu considerata indebita e incostituzionale. Per evitare una nuova bocciatura, il governo gialloverde ha tenuto fuori dal dispositivo generale proprio gli organi dello Stato che più facilmente avrebbero potuto presentare ricorso e vincerlo. Nonostante ciò, la Lega non sembra essere pienamente convinta. “L’emendamento sul taglio alle pensioni d'oro, presentato in Senato dal M5s con la prima firma del capogruppo Stefano Patuanelli, sarà riformulato”, ha fatto trapelare un ministro leghista in tarda serata. Ancora si tratta sulle percentuali e sugli effetti delle norme. Per la cronaca, secondo chi ha proposto di calare la mannaia sulle pensioni più ricche, i “risparmi attesi” dal taglio dovrebbero essere destinati a “garantire l’adeguatezza” delle pensioni di “particolari categorie di soggetti”, non meglio precisate, che dovrebbero essere individuate con decreto del ministero del Lavoro.

Cesoia sulle pensioni non risolverà problemi

Per Carlo Cottarelli, economista, esperto di spending review e già premier incaricato di un governo tecnico mai nato, la cesoia sulle pensioni non risolverà certo i problemi della legge di Bilancio: “Non credo si possa ottenere molto; si parla di qualche centinaio di milioni”. Il taglio degli assegni non si applica ovviamente alle  pensioni di invalidità, a quelle di reversibilità e a quelle in  favore delle vittime del  terrorismo. Per un numero (ristretto) di pensionati che avranno l’assegno decurtato, ce ne saranno altri che si troveranno più soldi in tasca. È stata infatti  la Lega a proporre nella legge di Bilancio i una flat tax del 7% per i pensionati attualmente residenti all'estero ma che decideranno di trasferirsi nelle regioni del Sud Italia. Ispirata a una norma portoghese, la tassazione agevolata attrai-pensionati prevede un forfait del 7% per 5 anni per i pensionati residenti all'estero da almeno 5 anni che scelgano di di tornare o trasferirsi in Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia. Secondo quanto stimato dai tecnici, la misura non prevede costi, ma, anzi, comporterebbe un gettito per l’erario che i promotori vorrebbero distribuire a nuovi poli universitari tecnico scientifici da istituire nel Mezzogiorno d’Italia. Per conoscere gli altri dettagli della Manovra, però, bisognerà attendere lunedì: i senatori voteranno emendamenti per tutto il fine settimana.