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[L'analisi] Scandalo Carige, vi spiego perché bisogna colpire i banchieri e non le banche

Questa la bussola da seguire, ogni volta che un istituto di credito entra in una spirale potenzialmente letale

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
[L'analisi] Scandalo Carige, vi spiego perché bisogna colpire i banchieri e non le banche

Colpire i banchieri, non le banche. Questa la bussola da seguire, ogni volta che un istituto di credito entra in una spirale potenzialmente letale. Troppi gli intrecci fra una banca e l’economia che la circonda, fra una banca e le altre banche, per  rischiare che un falò anche modesto si trasformi in un incendio indomabile. L’intervento - non del Tesoro, ma dell’intero governo - a tamponare la crisi della Carige (dove i banchieri responsabili del dissesto, comunque, erano già stati azzerati) rientra, insomma, nell’armamentario della prudente amministrazione: il mercato potrà assorbire 1,3 miliardi di euro di obbligazioni, che l’istituto genovese emetterà per rinsaldare il suo bilancio, con la garanzia che, nel caso peggiore, sarà lo Stato a far fronte al debito. E, se questo non bastasse, lo Stato interverrà in prima persona, nazionalizzando la banca. Forse, anzi, c’è un eccesso di prudenza: nessuno si aspettava che si evocasse, fin dalla prima battuta, l’intervento dello Stato nell’azionariato. E’ possibile che il governo - sempre che Bruxelles dia il via libera ad un eventuale intervento diretto - abbia voluto giocare d’anticipo, chiudendo da subito le porte a qualsiasi possibile speculazione. Oppure, sanno qualcosa che noi non sappiamo.

Il mal tedesco

In ogni caso, il colpo di coda del caso Carige rimette in primo piano la necessità di una ripulitura approfondita e definitiva del sistema creditizio italiano, per evitare che si prolunghi lo stillicidio di crisi e salvataggi. Significa modificare e bonificare una volta per tutte l’ecosistema bancario. Il virus è assai meno la tentazione del gigantismo (quella che ha perduto, con la scalata all’Antonveneta, il Monte dei Paschi), di quanto non sia il vischioso intreccio di interessi, che un eufemismo definisce come il rapporto tra una banca e il suo territorio. Quello che dovrebbe essere una virtuosa conoscenza, nel dettaglio e da vicino, dell’economia locale e dei suoi protagonisti diventa il credito preferenziale agli amici degli amici, anche quando non lo meriterebbero, fino ai casi limite dei grandi debitori che siedono nel consiglio di amministrazione della stessa banca che tiene in vita le loro imprese con i suoi prestiti. Non è un vizio solo italiano. E’ lo spaccato - a livello locale - del sistema creditizio nel paese virtuoso per antonomasia, in Europa: la Germania, dove le Casse di risparmio locali sono riserva di potere dei politici locali, democristiani o socialisti. In Italia ne hanno beneficiato un po’ tutti i partiti, tranne gli ultimi arrivati dei 5Stelle, ma con la Lega in prima fila, come dimostrato nel caso delle banche venete. Perché, allora, in Italia il sistema bancario attraversa queste convulsioni senza fine e in Germania, no? Per due ragioni.

La crisi permanente

Da anni l’economia tedesca marcia a pieno regime. Questo vuol dire che le aziende sono, mediamente, in buona salute e in grado di far fronte ai propri debiti, sgravando i bilanci delle banche. In Italia, al contrario, un ristagno che parte dall’inizio degli anni ’90 e che si è trasformato, dieci anni fa, in crisi aperta ha agito come una zavorra, accumulando sofferenze e crediti non esigibili, tanto più negli istituti che avevano disinvoltamente seguito una politica di crediti di favore. Non era una situazione sconosciuta. E questo chiama in causa responsabilità precise: Banca d’Italia e Partito democratico, principalmente, che hanno governato il sistema negli ultimi anni. Ma le responsabilità non sono, come vorrebbero i grillini, a livello di copertura e spalleggiamento di singoli istituti, ma a livello di sistema. E’ la Banca d’Italia, cui spetta la Vigilanza, che avrebbe dovuto intervenire con decisione, incidendo i vari bubboni di cui non poteva non essere a conoscenza. Non l’ha fatto, probabilmente, in nome della protezione di una stabilità,  che il disvelamento di situazioni precarie in diversi istituti, avrebbe potuto compromettere, in un momento delicatissimo, come quello della crisi finanziaria globale e di quella italiana dello spread e del rischio di trovarsi fuori dall’euro. Ed ecco le ripetute assicurazioni pubbliche, negli anni scorsi, soprattutto fra il 2012 e il 2014, sulla solidità delle banche italiane, rispetto a quelle estere, europee comprese. Era vero che le banche italiane non avevano in pancia i derivati tossici che avvelenavano – ad esempio - le banche tedesche, ma sedevano su una piramide di crediti non esigibili, altrettanto tossici.

Battere i pugni sul tavolo

Queste ripetute assicurazioni di serenità hanno avuto l’effetto di anestetizzare i governi che si sono succeduti e consentire che il sistema creditizio italiano venisse imprigionato in una trappola esiziale. A livello europeo, infatti, l’Italia non si è battuta con la determinazione che sarebbe stata necessaria per congelare la riforma dei salvataggi bancari varata a Bruxelles. La riforma sgrava i contribuenti dagli oneri di un salvataggio bancario operato dallo Stato, scaricandolo sugli azionisti e i creditori della banca. Ma paesi come la Germania hanno accettato questi vincoli dopo aver ripulito – a colpi di salvataggi statali, per un totale di 250 miliardi di euro, solo per i tedeschi – il proprio sistema creditizio, mentre l’Italia doveva ancora farli. Quando, come ora, li fa, il governo si trova le mani legate dai vincoli che ha accettato a livello europeo. E’ possibile, anzi probabile o, più esattamente, questo è il probabile obiettivo dell’intervento in Carige, che l’istituto genovese finisca, per un prezzo simbolico, nelle braccia di qualche banca più grande, come è avvenuto con le banche venete e Intesa. In qualche modo, però, l’emergere dell’ennesimo bubbone è anche una occasione per una revisione approfondita dell’universo delle banche italiane. Proprio perché non hanno scheletri nell’armadio e interessi, più o meno nascosti, in questa o quella banca, i 5Stelle possono intestarsi il compito di una bonifica dei bilanci e di una sterilizzazione delle crisi.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
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