Legge elettorale: un "filo rosso" lega la forzatura di Pd e M5s, tutto dipende dall’accordo per le Regionali

Riforma proporzionale e alleanze alle Regionali. Pd e M5s stringono i bulloni di un ‘patto organico’, ma le opposizioni interne ed esterne li aspettano al varco

Di Maio e Zingaretti
Di Maio e Zingaretti

C’è un filo rosso speciale e particolare che lega il tentativo di ‘forzare’, sulla riforma della legge elettorale, da parte di Pd e M5s, a dispetto di tutti gli altri partiti, sia di maggioranza (Iv e LeU) che di opposizione (il centrodestra) e le nuove alleanze, più o meno strategiche, che Pd e M5s stanno cercando di mettere in piedi alle prossime Regionali.

Un ‘filo rosso’ lega la forzatura di Pd e M5s sul sistema elettorale e l’alleanza organica dei due alle Regionali

Il ‘filo rosso’ è, appunto, il senso di un’alleanza, quella tra Pd e M5s, che i due partiti – specialmente il Pd, ma ormai pure i 5Stelle – considerano ‘strategica’. Il ragionamento, dunque, è che se si riesce a comporre un quadro ‘unitario’, nelle regioni al voto (l’intesa è stata appena stretta in Liguria, dopo mesi di passione, sul nome del giornalista del Fatto quotidiano, Ferruccio Sansa, e potrebbe arrivare, presto, anche nelle Marche, mentre è ben lontana in Puglia), allora - è il ragionamento del Nazareno e dei vertici grillini - ‘tanto vale’ cercare di forzare la mano su un sistema tutto proporzionale anche in vista di prossime elezioni politiche.

Un sistema che, nella ‘logica’ del Nazareno (ideologo Bettini, esecutori Zingaretti-Franceschini, Delrio e Marcucci, i capigruppo dem, sostanzialmente d’accordo) come in quella dei 5Stelle (ideologo Grillo, esecutore Di Maio, i capigruppo stellati meri firmatari, le truppe divise), indica una sola strada possibile e accettabile per entrambi: stringere i bulloni di una alleanza, quella oggi governante, che deve diventare, appunto, sempre più ‘strategica’. Nelle intenzioni del Pd, a dire il vero, più che del M5s, ma tant’è.

Il risultato? Schiacciare FI sulla linea del centrodestra

E di farlo anche ‘a dispetto dei santi’, cioè schiacciando FI sulle posizioni di Lega e FdI, pronti a dare battaglia contro il colpo di mano che sta per materializzarsi in commissione prima e in Aula poi, sulla legge elettorale. Ma pure a dispetto degli alleati ‘minori’ della coalizione di governo (Iv e LeU), tutti pronti a far le ‘barricate’ sull’accelerazione che Pd e M5s vogliono imprimere sull’adozione del testo base della riforma della legge elettorale. Un proporzionale con soglia di sbarramento nazionale al 5% troppo alta per Iv (e pure per LeU) e un sistema, di tipo proporzionale, troppo lontano dai desiderata del centrodestra. Il quale ha presentato tre sistemi elettorali parzialmente diversi (il Mattarellum la Lega, un Rosatellum rovesciato FdI, un altro Rosatellum rovesciato, e appena più attenuato, per FI), ma che sostanzialmente difendono l’impianto ‘storico’ del maggioritario all’italiana, un maggioritario che, seppur bislacco (cioè con una forte dose di innesti proporzionali) ha segnato l’intera vita politica della Seconda Repubblica.

Il colpo di mano in commissione Affari costituzionali

Il ‘colpo di mano’, in commissione Affari costituzionali, in realtà, si doveva materializzare ieri, ma è stato rimandato. Infatti, Pd e M5s, su esplicita richiesta dei loro ‘capi’ (Zingaretti e anche il capodelegazione dem al governo, Dario Franceschini, hanno dato un’indicazione secca e netta, da questo punto di vista) volevano forzare la mano al presidente della Prima, Giuseppe Brescia, e far adottare, subito, il Germanicum (o Brescellum) già in commissione. Un’accelerazione secca e improvvisa che ha sconcertato, a dirla tutta, persino i grillini, teorici destinatari del ‘dono’.

Ma qui subito è scattata la rivolta. Francesco Paolo Sisto (FI) ha spiegato, con una veemente lettera indirizzata al presidente della Camera, Roberto Fico, che era inaccettabile e ingiusto votare sul testo base (cioè il Germanicum) prima ancora che FI presentasse la sua proposta di legge in tema di riforma elettorale. Va detto che FI, divisa fino all’ultimo tra proporzionalisti (area Carfagna) e maggioritaristi (tutti gli altri) ce ne ha messo di tempo, per avanzare una sua proposta, ma lo ha fatto e la richiesta di ‘abbinamento’ dei vari tempi andava rispettato perché così vuole il galateo parlamentare. Fico (e Brescia), abbastanza imbarazzanti, hanno chiesto, dunque, a Pd e M5s di soprassedere e il voto sul testo base, che doveva tenersi ieri, è slittato a lunedì.

La volontà ferrea di Zingaretti e Franceschini e del M5s, i dubbi tra i deputati dem (Ceccanti, Raciti, Fiano, etc.)

Ma lunedì, non ci sono santi, si vota e gli animi, in attesa, sono già accesi. La volontà di Pd e M5s di andare avanti, ‘a tutti i costi’, sull’adozione del Germanicum, è stata messa, nero su bianco, da Zingaretti e da Franceschini, e passata ai gruppi parlamentari. Delrio ha accettato, senza fiatare, anche i dem, solitamente critici, di ‘Base riformista’ (Dario Parrini, nel gioco a incastro del rinnovo delle commissioni parlamentari, sta per diventare presidente della ‘Prima’ al Senato), non hanno profferito verbo. Solo il professor Stefano Ceccanti si è trincerato in un insolito silenzio e riserbo, in quanto evidentemente non convinto della scelta di ‘forzare’. Perplesso risulta essere anche il capogruppo Pd in Prima commissione, Emanuele Fiano, che peraltro sarà pure relatore, in aula, del testo. E decisamente furibondo era il giovane dem Fausto Raciti (area Giovani Turchi) che ritiene che, in questo modo, il Germanicum verrà affossato, quando arriverà in aula (Raciti è un proporzionalista doc).

Le opposizioni interne ed esterne alla maggioranza seppelliranno il Germanicum a colpi di ostruzionismo

E, in effetti, il rischio proprio quello è, e cioè di vedere finire la riforma della legge elettorale in un cul de sac. La tattica delle opposizioni, come pure delle ‘opposizioni’ dentro la maggioranza (Iv e LeU) sarà quella di ‘caricare’, sul testo base che Pd e M5s si approveranno in ‘splendido isolameno’ (con il solo appoggio esterno dell’Svp) una marea mugghiante di emendamenti: saranno ben 1200 per il centrodestra (400 a testa per Lega, FdI e FI), 80 circa di Iv, non meno della metà per LeU. Morale, considerato che il termine per gli emendamenti, dopo il voto in commissione che si terrà lunedì, verrà spostato ai giorni subito seguenti, sarà impossibile portare e iniziare a votare il testo in Aula per il 27 luglio, la data in cui è già stato calendarizzato.

Morale, per discutere ed, eventualmente, approvare, il Germanicum se ne riparlerà da metà settembre in avanti: in mezzo c’è il ‘generale Agosto’, le ferie dei parlamentari e, poi, la lenta ripresa dei lavori. Molto probabilmente se ne riparlerà ‘dopo’ le elezioni regionali e l’election day del 20 settembre quando si vedrà chi ha più filo e lana da tessere. Il pronostico più facile è che, in Aula, grazie ai voti segreti (sempre possibili quando si tratta di legge elettorale) il testo base del Germanicum finisca impallinato e cioè archiviato. Ma questa è un’altra storia e, quando arriverà, si vedrà. Ciò che sarà decisivo sarà, appunto, il voto alle Regionali, sia nel computo delle sfide vinte o perse dalle due coalizioni (centrodestra da un lato, centrosinistra+M5s dall’altro) sia, anche e soprattutto, nei voti che arrideranno alle varie liste.

Le Regionali. Alleanza ‘strategica’ in Liguria e, forse, nelle Marche, ‘desistenza’ in Puglia. Il patto Pd-M5s

Dopo un pressing asfissiante, durato mesi, Zingaretti – e, soprattutto, il vicesegretario dem, il ligure Andrea Orlando – hanno chiuso il cerchio della (presunta) alleanza con M5s in Liguria sul nome che girava dall’inizio, quello di Sansa.

Dopo aver blindato il governo sul caso (e caos) Autostrade e sulla posizione negoziale italiana sul Recovery Fund, facendo slittare a settembre, come se non esistesse più, il ‘piccolo’ problemino del voto parlamentare sul Mes, il Nazareno ha deciso, davanti a un centrodestra arrembante, che doveva giocarsi il tutto per tutto. Il rischio di perdere le Regionali, come minimo, 4 a 2 (Veneto, già sicuro per Zaia, Liguria a Toti, Marche ad Acquaroli e Puglia per Fitto contro appena due vittorie date per certe, Campania a De Luca e Toscana a Giani) ha messo le ali ai vertici dem. E, come dice la canzone di Ron, “la paura dà il coraggio di arrivare fino al bosco”. Il ‘bosco’, nella fattispecie, era la dirigenza ligure dei dem che di ‘bere’ il nome di Sansa – amico personale di Grillo, giornalista di inchieste che hanno menato anni contro il Pd, figlio dell’ex sindaco di Genova – non ne volevano sapere. L’alleanza, alla fine, si è fatta, anche al costo e al prezzo di rompere con Italia Viva che, guidata dalla deputata Raffaella Paita, già annuncia che il polo dei centristi e moderati schiererà un suo candidato.

Candidato che dovrebbe essere quello del professore Aristide Massardo, cioè uno dei nomi più forti che girava, per conto del centrosinistra, in alternativa proprio a Sansa, e che, oltre a Iv, godrebbe del sostegno di altre liste minori (Italia in comune, Psi, Centro democratico, Alleati civici).

La stessa scelta che Iv ha già fatto, in Puglia, contro Emiliano e che non ha fatto, per quieto vivere, in Toscana, dove Renzi pensa che la sua lista possa fare il botto, e in Campania, dove la corsa contro De Luca sarebbe suicida. Ma l’obiettivo del Nazareno (e anche quello di Grillo…) è ‘fermare le destre’, quindi ecco il via libera a Sansa.

Ma Zingaretti, ora, non si accontenta e, da giorni, batte e ribatte sulla necessità di “fermare i fascisti” (sic), cioè il candidato di FdI nelle Marche, Acquaroli, stringendo anche lì un patto con l’M5s, che dovrebbe, però, in questo caso, cedere sul nome avanzato dal centrosinistra, Mangialardi, quieto sindaco di Senigallia e profilo non proprio appealing cui i pentastellati oppongono il loro uomo, tale Marcorelli.

In Puglia, invece, dove la candidata del M5s è già in corsa (tale Laricchia), il Pd spera che accada come in Emilia: davanti al ‘rischio’ che ‘le destre’ (cioè il buon Fitto, una vita da democristiano) espugnino la regione, i 5Stelle dovrebbero, in pratica, mettere in atto una desistenza ‘mascherata’: votare la lista M5s ma Emiliano governatore.

Il Pd ci crede, per l’M5s si rischia di “perdere uniti”

Ma i pentastellati, divisi come una mela, ove mai decidano di convergere sui candidati dem dovranno passare, come al solito, per una votazione sulla piattaforma Rousseau, voto dagli esiti, ad oggi, imprevedibili. Senza dire che i grillini pensano che, in Liguria come nelle Marche, “mettersi insieme non vuol dire vincere insieme, ma perdere uniti”. Decisiva, come sempre, sarà la ‘voce’ di Beppe Grillo che, dopo quella del premier Conte, che ha chiesto di stringere “alleanze comuni nei territori”, spingerà per il patto col Pd.

Per i dem, dunque, sarebbe già un buon risultato se si arrivasse a correre insieme in due Regioni su sei: Liguria e Marche. Il segretario Pd spera anche nella Puglia, ma i 5 stelle escludono categoricamente la possibilità di sostenere Michele Emiliano, così come non vogliono sentir parlare di Vincenzo De Luca in Campania. “Come siamo uniti contro la destra al governo, così dobbiamo esserlo nelle Regioni”, ripete Zingaretti, ma per adesso l’appello cade nel vuoto. Si attendono notizie, e parole, da parte dell’Elevato. Il rischio, come si sa, è però quello di ripetere l’infausto esperimento umbro, quando l’alleanza ‘organica’ tra Pd e M5s, più altri, si risolse in un imbarazzante fallimento. Così pure, allo stesso modo, ‘forzare’ sulla riforma della legge elettorale, potrebbe essere, per il Pd, a settembre, un altro fallimento. Ma il Signore, come si sa, spesso acceca chi vuol perdere.