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Regionali, finisce 2-1 per il centrosinistra. Vince il modello “sindaco che parte dal programma”

Trionfo di De Pascale in Emilia Romagna. Vince a sorpresa la sindaca di Assisi Proietti. Entrambi non hanno accettato nè veti nè imposizioni dai 5 Stelle e hanno voluto i centristi a cominciare da Renzi e lo hanno rivendicato. Fratelli d’Italia tiene ma perde voti. Male la Lega in entrambe le regioni. Salvini sperava nell’effetto Trump. In Umbria non c’è stato l’effetto Bandecchi. Schlein più forte dopo questo appuntamento. Sempre più amara la Liguria

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Regionali, finisce 2-1 per il centrosinistra. Vince il modello “sindaco che parte dal programma”
Foto Ansa

Hanno vinto i sindaci del Pd, comunque civici del centrosinistra, personalità forti che non hanno accettato veti e diktat: “Volete me? Si fa allora come dico io”. Potremmo anche dire che dopo la Pennsylvania e la Liguria, il Pd respira un po’ e si ritrova. Finisce 2 a 1 per il centrosinistra. Il centrodestra perde l’Umbria, il centrosinistra conquista a mani basse l’Emilia Romagna. E al Nazareno adesso si mangiano ancora di più le mani per quello che è successo un mese fa in Liguria. Poteva essere 3 a zero per il centrosinistra. Nel Pd, che in Emilia Romagna ha sfiorato il 40 per cento e sta cannibalizzando le altre forze alleate, ora il pensiero è uno solo: mai più un diktat 5 stelle. Che anche in queste due elezioni tocca percentuali ad una cifra, sotto il 5 per cento.

Tutte le sfide del doppio voto
Ci sono tante sfide e altrettanti termometri in questo turno elettorale nelle due regioni Emilia Romagna e Umbria che chiude il ciclo dei tre appuntamenti autunnali: ovviamente la tenuta del centrodestra rispetto a quella del cantiere del centrosinistra; l’importanza strategica del centro, di Italia viva e Azione nell’ambito del centrosinistra; la leadership delle due leader, Giorgia Meloni ed Elly Schlein nelle rispettive metà campo; il peso dei singoli partiti per misurare le distanze e soprattutto il potere contrattuale quando poi si va trattare sui dossier che contano, dalla legge di bilancio alle riforme.

Possiamo già dire, al di là del successo clamoroso del Pd e della parziale tenuta di Fratelli d’Italia, che il voto sia in Emilia Romagna che in Umbria segna la disfatta di Salvini, della Lega e dei Cinque Stelle. Registra l’importanza del centro nella coalizione. Decreta la crisi della stagione dei fenomeni acchiappavoti. Il Vannacci umbro, l’imprenditore e sindaco di Terni Stefano Bandecchi, non ha saputo fare la differenza. L’uomo noto per parlare delle donne come “prede” e dei voti elettorali come fossero un chilo di pane (“Comunisti di merda, io i voti me li compro” ha detto giusto una settimana fa) si è fermato sotto il 2 per cento, sotto Noi moderati, e non ha avuto il ruolo di traino che Forza Italia, quando ha insistito per averlo in coalizione, pensava potesse avere.

De Pascale, in nuovo “papa” del Pd?
Sono due fotografie entrambe nette e nitide. Entrambe forniscono preziose istruzioni per l’uso alla segretaria Elly Schlein. Ha stravinto il modello De Pascale, il neo governatore di appena 39 anni, in politica da quando ne aveva 19, allevato alla scuola dell’ex Bonaccini e di un Pd inclusivo e progressista che vuole la gamba del centro forte tanto quanto quella di sinistra. L’immagine che conta, che traccia la linea e dice tutto è quella di Michele De Pascale che alle 17 arriva sul palco del comitato per celebrare la vittoria con il padre putativo Stefano Bonaccini e la segretaria del Pd Elly Schlein. Compaiono tipo “trinità”, forti di un bottino per la coalizione pari al 56%  che stacca di quindici lunghezze l’avversaria Ugolini e di un “tesoro” di partito pari quasi al 40%,  un gradimento di lista che dovrebbe blindare una volta per tutte il ruolo del Pd come azionista di maggioranza del centrosinistra.

“Grazie a tutti - ha detto De Pascale - grazie a questa alleanza  molto grande ma anche molto coesa”. La premier Meloni lo ha chiamato per congratularsi e lui ha subito chiesto un patto “repubblicano” per ridare sicurezza al territorio. “la mia gente non ne può più di stare sveglia ogni volta che piove”. Parole preziose, che pesano, che segnano un impegno netto, chiaro. De Pascale, ad esempio, ha voluto i renziani nella sua lista e non ha accettato diktat nè censure come successe in Liguria alla vigilia della chiusura delle liste. Il Movimento 5 Stelle si attesta intorno al 4,3%, un dato non molto dissimile da quello di cinque anni fa. Questo vale oggi il Movimento nella regione dove è nato e poi esploso nel 2013.

La propaganda non paga
Il voto in Emilia Romagna insegna che aver aizzato le “camice nere” e puntato il dito contro le “zecche rosse e comuniste dei centri sociali”; aver ironizzato sulla regione “congelata da quarant’anni di governi di sinistra che adesso ha finalmente la possibilità di scongelarsi e volare” (lo ha fatto Meloni probabilmente ignorando che l’Emilia Romagna è la regione traino dell’Italia),  non ha pagato. Così come non ha pagato aver strumentalizzato da un anno e mezzo a oggi la ricostruzione nel post di ciascuna alluvione proprio pensando di capitalizzare consenso per queste elezioni. Citofonare al sottosegretario Bignami, per rinfrescarsi la memoria.  L’estremismo non paga in questa regione - e forse neppure in Italia - e alla fine i cortei di Casa Pound con quello che ne è seguito sono paragonabili quattro anni dopo alla citofonata che Salvini fece a favor di telecamere a casa del presunto spacciatore (poi arrestato). I toni “accesi” e quotidiani del segretario della Lega su ogni dossier - giustizia, immigrazione, autonomia, codice stradale, gestazione per altri e chi più ne ha più ne metta -  dovevano, secondo le previsioni di Salvini, aiutare la ripartenza e il recupero della Lega rispetto a Fratelli d’Italia e mettere “la giusta distanza” rispetto a Forza Italia.

Il vento di Trump dagli Stati Uniti, il nuovo ruolo di Orban nell’Unione europea e quindi delle famiglia dei Patrioti, la crisi della commissione Von der Leyen 2  e la crescita delle destre sue amiche in Europa: Salvini si è spesso confidato con i suoi durante questa campagna elettorale un po’ schiacciata dal voto americano che era il momento di spingere “per recuperare”. Spingere su alcuni temi come giustizia e immigrazione che poi sono gli stessi di Trump. Gli è andata male. La Lega si è fermata al 7,7% in Umbria dove esprimeva la sua candidata (Tesei) e senza fare paragoni spietati con il 2019 (Salvini toccò il 31%) che è un’era geologica fa, basti qui dire che Forza Italia è al 9,7%, cinque anni fa era la metà al 2,7%. In Emilia Romagna la Lega si è fermata al 5,3, Forza Italia è al 5,6 . Fratelli d’Italia tiene (23,7%) ma perde voti rispetto alle Europee. Percentuali che non sono solo causa dell’effetto-Ugolini, la candidata centrista, ex sottosegretaria nel governo Monti voluta da Tajani. Anzi. Ugolini è stata forse penalizzata dai toni di una campagna elettorale che non erano neppure la sua cifra. 

L’amaro in bocca per Salvini
Meloni sapeva già tutto questo e non è un caso che abbia disertato il comizio finale a Bologna lunedì scorso. Decise di parlare collegandosi da palazzo Chigi. L’intervento ruotò sul fatto che “finalmente questa regione congelata e messa in freezer da quarant’anni di governi di sinistra, aveva l’occasione di riscattarsi e ripartire”. Metafora infelice vista che se c’è una regione che funziona, fattura e produce Pil  questa è l’Emilia Romagna. La premier è in Brasile per il G20, l’ultimo con Biden, il primo vertice dopo che gli Stati Uniti hanno dato il via libera a Kiev per usare i missili in territorio russo. E’ una nuova fase della guerra, fase assai pericolosa perchè nessuno può perdere, nè le democrazie nè la democratura di Putin e Trump è troppo concentrato su se stesso per avere una visione d’insieme e di lungo periodo.

Il piccolo voto regionale italiano è comunque per la premier  motivo di importanti riflessioni. Anzi, preoccupazioni. Fratelli d’Italia tiene ma perde voti rispetto anche alle Europee ed è chiaro che se non c’è la sua faccia in campo il potere di attrazione del partito è assai ridotto. Gli alleati sono troppo deboli e in una coalizione questo sbilanciamento danneggia gli equilibri. Salvini ha sbagliato tutti i calcoli: non solo non c’è stato il recupero sognato ma è andata addirittura peggio del previsto.  Su cosa mai potrà sfogare adesso la sua ansia di rivalsa? E che danni collaterali possono fare alla coalizione le sue campagne? Donatella Tesei in Umbria era la sua candidata, l’ha voluta confermare a tutti i costi perchè nel 2019 l’allora senatrice consegnò a Salvini la prima regione rossa. Era novembre, tre mesi prima c’era stato il Papeete ed era nato il governo giallorosso. Anche simbolicamente la caduta di Tesei è un pessimo auspicio. La fine di un’epoca?

Il sorriso e la forza di Proietti
Ha vinto invece Stefania Proietti, la civica sindaca di Assisi al cui portone sono andati a bussare tutti i leader del centrosinistra, anche Renzi e Calenda e lei ha detto sì avvisando che non c’era spazio per obiezioni. “Il nostro è un progetto inclusivo che parte dal programma” ha detto ieri sera felice e sorridente. La davano tutti per spacciata. Neppure il Pd ci credeva. I sondaggi erano fermi sul testa a testa. E’ finita 51,1% per Proietti, cinque lunghezze avanti a Tesei (46,6%). “Al primo posto - ha continuato - abbiamo messo la Sanità che dobbiamo riportare nei territori da dove in questi anni è stata tolta per mandare avanti quella privata”. In Emilia Romagna De Pascale ha potuto dichiarare la vittoria alle cinque del pomeriggio. Per Proietti c’è voluto un po’ di più, le sette di sera. La segretaria Schlein ha fatto in tempo a festeggiare a Bologna e poi a Perugia. Non pervenuto Conte, nè di qua nè di là. 

Meloni è a Rio al G20, il suo consenso è sempre alto ma ha molto sui cui riflettere. Soprattutto sulla Lega. Schlein tornerà oggi a Roma e adesso ha molto chiaro quali sono i confini dell’alleanza di centrosinistra per costruire un cartello di opposizione. Esce più forte da questo voto e ha chiaro adesso cosa fare: l’alternativa politica si costruisce intorno ad un programma. Senza distinzioni. Con molta chiarezza. Giuseppe Conte ha il congresso fondativo dei 5 Stelle. Ma non è più fondamentale. Molto di più lo sarà riconquistare quel 45% che non è andato a votare. L’astensione resta il partito più “forte”. Un italiano su due è in cerca di una nuova offerta politica. 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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