Il Presidente e il virus: quando la storia si ripete
Donald Trump non è il primo Presidente degli Stati Uniti a essere colpito da un virus, né il primo a minimizzarne gli effetti. La vicenda di questi giorni, infatti, ricorda molto da vicino quella del Presidente Woodrow Wilson
E così la storia si ripete. Non è dato sapere se sia uno di quei casi nei quali, come celebremente sostenuto da Marx, la prima volta essa si verifica come una tragedia e la seconda come farsa. Certo è però che Donald Trump non è il primo Presidente degli Stati Uniti a essere colpito da un virus, né il primo a minimizzarne gli effetti. La vicenda di questi giorni, infatti, ricorda molto da vicino quella del Presidente Woodrow Wilson assai ben descritta in un articolo di Meilan Solly apparso lo scorso 2 ottobre sul sito dello Smithsonian Magazine.
Indietro nel tempo
Siamo nel 1919, il mondo è appena uscito dalla Prima Guerra Mondiale solo per entrare nel tunnel di una delle più terribili pandemie della storia, quella causata dal virus H1N1, meglio noto come influenza Spagnola. Il virus contagerà circa un terzo della popolazione mondiale e farà registrare tra i 20 e i 50 milioni di morti.
Negli Stati Uniti, dove si conteranno circa 105 milioni di contagi e 675mila morti, la Spagnola circola ovunque. Alla Casa Bianca, tuttavia, le dedicano scarsa attenzione, presi come sono dalle ultime fasi della guerra prima, e dalla definizione dagli assetti post-bellici dopo. Il Presidente Woodrow Wilson e il suo gabinetto non ritengono necessario offrire al paese alcun tipo di guida o indicazione in merito.
Come ha ricordato John M. Barry, autore de “The Great Influenza: The Story of the Deadliest Pandemic in History” (La Grande Influenza. Storia della pandemia più letale della storia) è il Presidente a dettare la linea: «Wilson voleva che ci si concentrasse sullo sforzo bellico. Riteneva che qualsiasi notizia negativa potesse danneggiare il morale».
In privato, tuttavia, Wilson riconosce la gravità della minaccia posta dal virus, che d’altra parte aveva già colpito alcune delle persone che lo circondavano, tra cui la sua segretaria personale, sua figlia maggiore e alcuni agenti del Secret Service, ovvero di coloro che vegliavano sulla sua sicurezza. Secondo il Washington Post dell’epoca la Spagnola aveva persino contagiato una pecora che viveva nel giardino della Casa Bianca.
Paris ville fatale
Era solo questione di tempo. Il 14 marzo del 1919 Wilson arriva a Parigi per i colloqui di pace che devono definire le condizioni che le potenze vincitrici imporranno alla Germania e agli imperi centrali e delineare il futuro assetto europeo e delle colonie. Dopo un paio di settimane però il Presidente statunitense si ammala. Il momento, purtroppo non è dei più opportuni. «Il Presidente si è ammalato gravemente di influenza proprio quando l’intera civiltà sembrava essere in bilico» – scrive il medico della Casa Bianca, il dottor Cary T. Grayson, in una lettera ad un amico.
Ammettere la verità non viene ritenuto prudente e così lo stesso dottor Grayson e lo staff del Presidente dichiarano che a causa del «tempo piovoso e freddo» il Presidente Wilson si è preso un bel raffreddore. Non c’è motivo di dubitare di loro e così il 5 aprile l’agenzia di stampa Associated Press riporta che Wilson «non è stato colpito dalla Spagnola».
«Sono circondato da spie francesi»
La realtà invece era che Wilson, non solo era stato contagiato, ma era stato colpito duramente dalla malattia. Il Presidente aveva la febbre a 39 e mezzo, non riusciva a stare seduto nel letto, era scosso da violenti attacchi di tosse e lamentava dolori gastrointestinali.
Quello che in genere era un uomo prevedibile nelle sue azioni, cominciò a sembrare disorientato lasciando tutti interdetti. Sbraitava ordini sorprendenti, urlava per la scomparsa di arredi che nessuno aveva rimosso ed era addirittura arrivato a convincersi di essere circondato da spie francesi.
«Potevamo solo immaginare che qualcosa di strano stesse avvenendo nella sua mente» – dichiarò in seguito Irwin Hoover, allora maggiordomo capo della Casa Bianca – «Una cosa era certa: dopo la malattia non fu più lo stesso».
La storia al bivio
Dal punto di vista politico la malattia era arrivata in uno dei momenti peggiori possibili. Come ricorda lo storico David Petriello: «durante la conferenza di pace essa ebbe su di lui un impatto drammatico».
Nelle prime settimane del negoziato Wilson aveva reso chiaro di ritenere che le potenze vincitrici dovessero “andarci piano” con la Germania, anche per facilitare il successo del progetto della Lega delle Nazioni, a cui il Presidente tanto teneva. I Francesi, tuttavia, guidati dal primo ministro Georges Clemenceau, erano per un approccio assai più duro: gli imperi centrali e soprattutto la Germania erano responsabili della guerra e della devastazione che ne era conseguita e dovevano pagare a caro prezzo.
Il confronto era iniziato da pochi giorni quando il Presidente statunitense fu colpito dalla Spagnola che lo sfibrò fisicamente. Alla fine l’influenza passò, ma dopo la malattia Wilson mise da parte le sue resistenze e cedette alle richieste degli alleati europei. Il risultato furono le dure condizioni di pace del Trattato di Versailles.
Naturalmente è tutto da dimostrare che un Presidente in piena forma avrebbe fatto altre scelte, spendendosi con più energia perché prevalesse un approccio più morbido e opponendosi con maggior vigore alle richieste francesi. Tuttavia, quel che è certo e che, come scrive ancora Barry nel suo “The Great Influenza”: «la malattia di Wilson lo indebolì fisicamente al punto più cruciale dei negoziati».
Epilogo
Sei mesi dopo l’attacco di Spagnola, di cui nonostante tutto Wilson non riconobbe mai pubblicamente l’esistenza e la gravità, il Presidente ebbe un infarto che lo lasciò paralizzato nella parte sinistra del corpo e parzialmente cieco. Invece di rivelare al mondo ciò che era successo, la moglie, Edith Wilson, decise di tenere nascoste le condizioni del marito e, grazie alla mancanza di procedure costituzionali certe in caso di malattia del Presidente, tenne le redini dell’Amministrazione imbarcandosi in quelli che in molti definiscono una “presidenza segreta”.
Segreta tuttavia non doveva esserlo poi molto se il Senatore Albert Fall poté dichiarare: «abbiamo un governo in sottoveste! Wilson non governa! È la Signora Wilson il Presidente!». La denuncia non ebbe però grande effetto: nonostante il miglioramento delle condizioni del marito, Edith Wilson continuò a sostituire il Presidente fino alla fine del mandato, nel 1921.
Le procedure che stabiliscono e regolano casi e modalità del passaggio dei poteri dal Presidente al Vice-Presidente sono state introdotte solo nel 1967 con l’approvazione del 25° emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti.