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Pd e 5Stelle sempre più ai ferri corti. Conte cerca lo strappo con Draghi. E Di Maio dove va?

Draghi torna dagli Usa e trova i guai in casa: l’atteggiamento verso il governo è molto critico da parte di Conte, E il Movimento di Beppe Grillo sui territori conta sempre meno

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Pd e 5Stelle sempre più ai ferri corti. Conte cerca lo strappo con Draghi. E Di Maio dove va?

 

 

 

 

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, torna dagli Usa avendo incassato indubitabili successi. Fedeltà atlantica ribadita, certo, ma anche la ‘voce’ dell’Europa che, per suo tramite, si è fatta sentire: “Ora Usa e Russia si parlino” ha detto il premier in modo deciso. “L’Italia – e la Ue – cercano la pace”, il concetto, anche se non a tutti i costi”, ma partendo dalla “volontà degli ucraini”. Descrivere, perciò, un premier ‘asservito’ alla volontà di potenza di Washington, insomma, non sta né in cielo né in terra. Persino Matteo Salvini omaggia il premier che “sta ricercando la pace”. Ma i guai e le spine, per il governo, sono tante.

 

L’informativa in Aula ai 5Stelle non basta…

 

Ma i 5Stelle non se ne danno per intesi. Messe le mani avanti (“Non voglio far cadere il governo”), Conte continua a dire che il premier ‘deve’ venire in Parlamento (“Io durante la pandemia ci andavo ogni dieci giorni” aggiunge perfido). Il problema è che Draghi, in Parlamento, ci andrà eccome. Sarà in Aula il 19 maggio per una informativa in entrambe le Camere. Ma ai 5Stelle non basta. Inutilmente, il deputato e costituzionalista dem, Stefano Ceccanti, si perita di spiegare, in punta di diritto, che “il Parlamento dovrà votare sulla Nato allargata a Finlandia e Svezia, ma non sul decreto interministeriale di aiuto alla legittima difesa dell’Ucraina perché sono ancora pienamente  vigenti, come fondamento giuridico e politico, fino al prossimo 31 dicembre le risoluzioni molto puntuali votate alle Camere l’1 marzo scorso che prevedono anche ‘la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione’ e che sono stati poi trasfusi nella legge n. 28 del 5 aprile” chiude Ceccanti.

 

I 5Stelle, però, insistono. La capogruppo al Senato, Mariolina Castellone, chiede ufficialmente che si tratti di ‘comunicazioni’, al termine delle quali si formulano ‘risoluzioni’, e dunque si vota, non di una semplice informativa. Insomma, vogliono vedere scorrere il sangue, mettendo ai voti una loro risoluzione che affermi in modo esplicito il divieto all’invio di altre armi. La conseguenza sarebbe la spaccatura della maggioranza e, ovviamente, la crisi di governo.

 

L’M5s punta a mandare sotto il governo?

 

L’M5s non se ne perita, insiste, intigna, rintuzza e, se non ci riusciranno questa volta, a spuntarla, con un voto sull’invio delle armi, sono pronti a mettere in difficoltà il governo nel voto sulle risoluzioni in vista del Consiglio europeo del 30 maggio, quando si dovrà votare per forza. Inoltre, anche su altri temi (inceneritori, transizione ecologica, Ilva di Taranto, persino sul catasto) il logorio cui i 5S sottopongono Draghi è costante.

 

Il pranzo tra Letta e Conte è servito a poco

 

Nel Pd iniziano ad averne abbastanza. Da questo punto di vista il pranzo tra Letta e Conte ha visto i due leader di partito ognuno fermo sulle sue posizioni. Il dialogo (due ore) sarà anche stato “cordiale”, ma i due non si sono trovati d’accordo su quasi nulla. Le distanze sono rimaste tali sui temi clou: termovalorizzatore a Roma e invio delle armi all’Ucraina. Tanto che le due note fotocopia registrano il nulla di fatto: “sono state trattate le varie questioni, anche quelle che hanno visto le rispettive forze politiche su posizioni non pienamente convergenti”. I due leader, proseguono le fonti dei due partiti, “non si sono nascosti le tensioni di queste ultime settimane ma hanno ribadito l'intenzione e determinazione a continuare il percorso di dialogo”. Io - ha chiarito Letta al termine dell'incontro - l'ho considerata una ottima discussione, le divergenze le assumiamo, ma abbiamo voglia di andare avanti insieme". Letta, insomma, non si dà per vinto e vuole salvaguardare due fronti: le alleanze alle amministrative (dove però il contributo del M5s alla forza del centrosinistra è spesso e volentieri ininfluente o evanescente, come vedremo) e il futuro campo largo alle prossime politiche.

 

Dimaiani pronti allo ‘strappo’ con Conte?

 

Ma l’incidente è dietro l’angolo. La sensazione è che, al primo voto utile, il M5s ‘strapperà’ con Draghi sulla guerra per intercettare i favori di una opinione pubblica sempre più ‘neutralista’. Ecco perché i deputati dem compulsano sempre più frequentemente i ‘dimaiani’ (Sergio Battelli, presidente della commissione Affari Ue alla Camera, su tutti) e chiedono rassicurazioni: se Conte ‘strappa’, con il governo, sulla guerra, voi che fate, lo seguite? Pare che la rassicurazione ci sia stata e pure bella pesante: “Se Conte rompe con Draghi su un tema dirimente come la guerra e sul quale Di Maio è esposto in prima persona, nella linea atlantica, noi non possiamo seguirlo”.

 

Il sottotesto vuol dire che Di Maio darebbe vita a gruppi parlamentari autonomi. E con quelli non solo il Pd potrebbe allearsi tranquillamente, alle prossime politiche, ma – come per magia – rientrerebbe anche il ‘no’ all’alleanza con i 5Stelle di Calenda e di Renzi. L’ex renziano Andrea Marcucci, rimasto nel Pd a fare il battitore libero, lo ha detto chiaramente: “Se candiderei Luigi Di Maio nel Pd? Mi risulta che sia iscritto al M5S, dopo di che Di Maio è molto maturato e ha dato buona prova di sé al governo. Se il Pd deciderà di avere delle autorevoli personalità esterne, in questo caso sì”. Insomma, se una parte del Pd è pronta a ‘caricarsi’ Di Maio in un collegio uninominale, portandogli i voti, figurarsi se non sarebbe pronto a un’alleanza organica con dei 5Stelle ‘atlantisti’ che darebbero vita a un loro partito autonomo, liberandosi da un partito, il M5s di Conte sempre più ‘travagliesco’.

 

Il dibattito sulla legge elettorale come monito

 

Fantapolitica? Forse. Ma anche i molti pruriti e ‘desiderata’ dem per dare vita a una nuova legge elettorale di tipo proporzionale, che oggi giace nei cassetti del Parlamento, risponde a tale obiettivo: “in queste condizioni date, andare al voto in alleanza con il M5s di Conte è un suicidio e perderemmo tutti i collegi con il Rosatellum. Con un proporzionale, ognuno corre per sé e le alleanze si fanno dopo, a seconda di chi ha vinto”.

 

C’è chi dice che Letta sia pronto a tirare fuori dal cassetto una proposta, sul sistema proporzionale, subito dopo il voto delle comunali, e chi dice che, invece, “non se ne farà nulla” sia perché “Enrico è un convinto bipolarista sia perché la Lega non ci starà mai, a cambiare la legge elettorale”. Quello che il Pd, però, non può tollerare è che i 5Stelle giochino, in modo ambiguo, sulla pelle del governo, sulle alleanze locali e, anche, nel fare concorrenza al Pd e al centrosinistra sui temi del pacifismo e dell’ecologismo, verniciandosi con i colori della bandiera arcobaleno e dei verdi per sottrarre voti, consensi, rendite di posizione.

 

L’altolà di Nardella: “basta con le giravolte”

 

Ieri, uno stop alle posizioni ambigue e ondivaghe dei 5Stelle è arrivato anche dal sindaco dem di Firenze, Dario Nardella, che, intervistato da Repubblica, ha messo i piedi nel piatto: “Ai 5Stelle dico: patti chiari e amicizia lunga. Basta giravolte su politica estera, giustizia sociale e diritti civili, oppure niente alleanze con il Pd”.

 

Nardella, inoltre, lancia le candidature di una serie di sindaci, modello di buongoverno (Lepore a Bologna, Gualtieri a Roma, Gori a Bergamo, Ricci a Pesaro, etc.) che “potrebbero fungere da catalizzatore di liste civiche”. Un di più di civismo che potrebbe fungere da contrappeso, nell’alleanza di centrosinistra, all’assenza del M5s o, almeno, del grosso delle truppe contiane. Anche perché, secondo Nardella, se è vero che, alle prossime elezioni, “Letta dovrà giocarsi la carta dei sindaci”, è anche vero che “solo lui può federare il centrosinistra”. Lui e non Conte, cioè.

 

Ricci: attenti alla legge elettorale che ci sarà

 

Certo, Nardella è un battitore libero, di area riformista, e non è detto che Letta la pensi uguale. Ma anche il coordinatore dei sindaci dem, oltre che presidente dei comuni di centrosinistra di Ali, il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, lancia un warning ai 5Stelle che si base su quale sistema elettorale ci sarà al momento del voto. Ricci dice che “La ricerca identitaria che sta facendo il M5s si scontra con l’attuale sistema elettorale. Invito tutti ad abbassare i toni perché se si fa una legge elettorale proporzionale con lo sbarramento al 5% ogni forza politica potrà concentrarsi sulla sua proposta identitaria, sia dal punto di vista valoriale che dal punto di vista programmatico. Se invece rimane questa legge elettorale bisogna attutire gli angoli e gli spigoli perché dovremo fare una coalizione e, dunque, per essere credibili come coalizione non si può litigare fino all’ultimo giorno come si fa già a destra. Quindi, calma e gesso. Se vogliamo davvero europeizzare il sistema politico e concentrarci su proposte più identitarie e programmatiche occorre cambiare la legge elettorale. Se non si ha la forza e il coraggio di farlo bisogna avere una logica coalizionale perché senza coalizione si perde e chi (leggi i 5Stelle, ndr.) punta ad avere uno 0,5% in più rischia di rendere meno credibile e meno vincente la coalizione di appartenenza. Questo vale per tutte le forze politiche, sia per i 5Stelle che per le forze centriste e liberali. Attenti. Se resta questa legge elettorale invito tutti ad abbassare i toni perché bisognerà tutti insieme allearsi in un campo largo in vista delle prossime elezioni. Altrimenti, se si vuole giocare in maniera identitaria, bisogna cambiare la legge elettorale”.

 

Insomma, Ricci invita i 5S a un ‘bagno di realismo’ e a ragionare di politica, non a fare propaganda. Il problema è che i 5Stelle, che pure dicono di volere la legge elettorale proporzionale, sono deboli ovunque, nei sondaggi nazionali e nei territori. Ecco perché spesso vanno a rimorchio, come una sorta di ‘sanguisuga’ del Pd…

 

M5s assente in molti dei comuni al voto

 

Infatti, se si va a guardare nelle città al voto, l’apporto dei 5Stelle alle possibili rimonte del centrosinistra è assai scarso, se non residuale. In molti centri l’M5s non si presenta proprio, in altri lo fa alleandosi con liste minori o senza simbolo. A Monza, per dire, dove il M5s prese il 7,5%, questa volta neppure si presenta. In Sicilia, nel 2018 granaio di voti per i 5Stelle (quasi il 50%), su 120 comuni alle urne il prossimo 12 giugno, la lista col simbolo intero del M5S ci sarà solo in tre (3) comuni: Palermo, Messina, Scordia, in provincia di Catania. Oltretutto mai da soli, ma sempre in alleanza con il centrosinistra. Infine, c’è il caso del cupio dissolvi di Parma. La storia è nota: nel capoluogo emiliano vinse, per la prima volta, un sindaco a Ste5lle, Federico Pizzarotti. Poi questi ruppe con Beppe Grillo, ma Pizzarotti venne comunque rieletto nel 2017 correndo da solo contro tutti. Questa volta la sua lista è alleata con il centrosinistra, ma il M5S no. Un disastro che oggi Pizzarotti commenta così: “il Movimento sui territori è venuto meno ed rimasto solo come movimento di opinione nazionale. Ora, con queste amministrative, scompare del tutto”.

 

La scelta di andare col Pd non sposta consensi

 

Comunque, anche per tamponare la caduta libera del M5s alle amministrative, si è scelto di allearsi quasi ovunque con il centrosinistra. Su 26 capoluoghi di provincia al voto, in 18 casi il M5S affianca il Pd. Ma in questi 18, i candidati sindaco diretta espressione del Movimento sono pari a zero. A conferma della totale debolezza e della propria subalternità, rispetto agli alleati. A Belluno e Verona il M5S si limita a sostenere i candidati della coalizione, mettendo qualche proprio attivista in liste civiche collegate a essi.

A Cuneo e Lucca le lancette dell'orologio si sono fermate a cinque anni fa e il Movimento va da solo. A Como ci si orienta su un'alleanza civica alternativa al Pd. A Piacenza invece si testerà un esperimento di sinistra radicale e ambientalista, con i 5 Stelle assieme a Sinistra Italiana e Verdi, in competizione con i dem. Nato come Movimento legato alle battaglie sui territori, il Movimento, oggi, nei territori, è debolissimo. Nel frattempo gli esperimenti di governo dei comuni sono falliti quasi tutti: a Roma, Torino, Livorno, Ragusa, nessun sindaco stellato è stato rieletto.

 

La domanda, dunque, diventa facile facile: se il M5s ‘vale’ così poco e si pone in tale radicale alternativa alla linea del Pd di sostegno al governo Draghi, cui prodest preoccuparsi di assicurargli ‘bottini’ di facili vittorie nei collegi e sicure ricandidature che sarebbero ‘a carico’ del Pd quando il suo reale apporto è così basso e, soprattutto, così politicamente controproducente? La domanda, al Nazareno, iniziano a porsela…

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