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“Armiamoci e partiamo!”: i parlamentari italiani che vogliono correre in Ucraina in un impeto pacifista

Il ministro degli Esteri Di Maio prova a dissuaderli dal gesto. E intanto a discutere del decreto Ucraina erano in nove, su 630

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Il ministro degli Esteri, Di Maio (Ansa)
Il ministro degli Esteri, Di Maio (Ansa)

Un improvviso afflato pacifista ‘contamina’ il Parlamento italiano, almeno a parole. Infatti, lunedì scorso, a discutere del decreto Ucraina (era solo la discussione generale ed era lunedì, certo, il che presuppone l’antico vizio dei parlamentari italiani di non presentarsi in Aula, di lunedì…) erano solo in … nove (su ben 630!). Per la precisione, nell’aula praticamente vuota, si trattava di Filippo Sensi (stakanovista dell’aula), Alberto Losacco e Alberto Pagani, tutti del Pd, Iolanda Di Stasio (M5s), Jessica Costanzo (Misto-Alternativa), Federico Mollicone e Giovanni Russo (entrambi di FdI), Antonio Tasso (Maie-Psi) e Maria Tripodi (FI). Un decreto legge urgente, riguardante le disposizioni più immediate sulla crisi in Ucraina, dopo quello per il sostegno militare, che mira a mettere in campo i primi strumenti idonei ad affrontare l’emergenza internazionale. Peccato che l’aula fosse deserta.

Eppure, trenta parlamentari italiani vogliono andare in Ucraina a ‘testimoniare’ per la pace

Invece, a testimoniare lo sprezzo del pericolo dei nostri onorevoli, ecco la notizia che oltre trenta parlamentari italiani – per ora privi di nomi e cognomi, quasi tutti, ma non tutti, come vedremo (tra i pronti a partire, abili e arruolati, ci sono Grimaldi, Rauti, Mantovani, ma anche gli europarlamentari Majorino e Bonafé - erano pronti a partire per l’Ucraina per tersimoniare la loro volontà di pace, ma almeno per ora la Farnesina li ha bloccati. È stato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a scrivere ai presidenti di Camera e Senato chiedendo di fermare la missione organizzata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. L’ultima parola ad ogni modo non è ancora detta perché, come spiega il segretario dell’associazione, Gianpiero Cofano, «siamo sempre in contatto con la Farnesina e ci rendiamo conto della situazione, ma dobbiamo valutare se sia necessario andare comunque». Con tanto di parlamentari al seguito, ovviamente.

La proposta pacifista della comunità Papa Giovanni XXIII

La proposta era partita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII – associazione pacifista cattolica da sempre impegnata su questo fronte - lo scorso 8 marzo: con una lettera si invitavano i parlamentari a prendere parte a una delegazione pronta a partire per l’Ucraina, con l’obiettivo «di essere al fianco della popolazione e creare uno spazio di evacuazione dei civili ucraini intrappolati sotto il fuoco dell’esercito russo», in particolare per provare a raggiungere «un gruppo di trenta bambini orfani per evacuarli».

Il niet di Di Maio: “sareste a rischio della vita, non solo di una strumentalizzazione”…

«Pur comprendendo le buone intenzioni dell’iniziativa, con una lettera del Capo dell’Unità di Crisi, abbiamo ricordato agli organizzatori l’estrema pericolosità della situazione nell’intero territorio dell’Ucraina, Paese martoriato dalla guerra e verso il quale la Farnesina sconsiglia viaggi a qualsiasi titolo», scrive, a brutto muso, dopo che ieri si era diffusa la notizia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ai capigruppo di Camera e Senato e a Fico e Casellati invitandoli a farsi da portavoce presso i parlamentari del suo ‘niet’.

Di Maio precisa che è particolarmente sconsigliata la partenza ad «un gruppo importante e visibile di parlamentari e giornalisti, che possono rappresentare un obiettivo sensibile e al tempo stesso generare un meccanismo di emulazione». La preoccupazione è che «nell’attuale contesto la loro presenza potrebbe essere facilmente strumentalizzata a scopo bellico o di disinformazione, con conseguenze pesanti per il nostro stesso interesse nazionale».

Il ministro degli Esteri precisa poi che "nell'attuale contesto" la presenza dei parlamentari sul suolo ucraino "potrebbe essere facilmente strumentalizzata a scopo bellico o di disinformazione, con conseguenze pesanti per il nostro stesso interesse nazionale. Ciò potrebbe inoltre arrecare grave pregiudizio ai cittadini italiani e stranieri tuttora intrappolati nel Paese".

Già ci sono 35 italiani intrappolati in Ucraina

Infatti, l’altro problema è che la Farnesina, da giorni (anzi, da settimane) non riesce ad evacuare 35 nostri connazionali, al netto di giornalisti, inviati sul campo e troupe di radio e televisioni, che sono rimasti bloccati nel territorio ucraino, in varie città, oggi sotto le bombe, e ai quali è stato ‘consigliato’, per ora, di “rimanere dove si trovano” perché anche solo il viaggio di ritorno in Italia sarebbe “troppo pericoloso”, per loro.

Insomma, non è proprio il caso di aggiungere problema a problema, considerando anche che i parlamentari italiani potrebbero diventare un fin troppo facile ‘bersaglio’ per le truppe russe occupanti o, Dio non voglia, essere coinvolti in scontri o rapimenti da cui sarebbe, poi, difficilissimo uscire e altrettanto intervenire.

Il No al viaggio in Ucraina dei parlamentari italiani è, dunque, secco, da parte di Di Maio e motivato con la lettera di cui si diceva e inviata ai presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati.

Preoccupazioni, quelle del titolare della Farnesina, rese ancora più evidenti dall'uccisione del giornalista americano Brent Renaud, ucciso, pochi giorni fa, a Irpin, da militari russi. 

Ma l’associazione pacifista insiste e rilancia

Ma Gianpiero Cofano, segretario della Comunità Papa Giovanni XXIII, conferma la missione in Ucraina, almeno della sua associazione, che i parlamentari vadano o no: “L'intervento della Farnesina e dello stesso ministro Di Maio vanno nell'ottica di leggere la situazione dal punto di vista dei rischi, perché quanto accaduto ieri ha fatto alzare il livello di allerta. La Farnesina ha fatto il suo lavoro. I parlamentari stanno continuando ad aderire, noi saremo operativi a Leopoli e stiamo facendo tutte le valutazioni del caso. Non abbiamo assolutamente cancellato la missione - spiega - C'è una richiesta di adesione -sottolinea- anche da parte di tanti altri soggetti della società civile, stiamo facendo le opportune valutazioni per capire tempi e logistica. Ovviamente terremo in considerazione le raccomandazioni della Farnesina”.

Pronta, anche qui, la controreplica di Di Maio: "Tramite l'Unità di Crisi - conclude il ministro degli Esteri - abbiamo assicurato alla Comunità Giovanni XXIII la disponibilità a fornire ogni assistenza per sviluppare, in sicurezza, altre iniziative umanitarie e di assistenza, anche appoggiandosi alla nostra ambasciata che, con grande difficoltà e in segno di vicinanza con il popolo ucraino, continua ad operare da Leopoli”.

La missione potrebbe, dunque, essere rinviata di qualche giorno, ma non fermata. "Vogliamo portare un messaggio di pace: chiediamo la fine delle ostilità, quindi di riaprire quanto prima un dialogo partendo dal cessate il fuoco. E proveremo a portare in Italia le persone più fragili, bambini e disabili - aggiunge sempre Cofano - La possibilità di mettere a disposizione un aereo ci sembrava la cosa migliore".

Chi sono i parlamentari che vogliono partire

Ma chi sono i parlamentari che hanno già aderito all’iniziativa della comunità Papa Giovanni XXIII? Pochi si espongono con nome e cognome, anche in seguito alla dura presa di posizione di Di Maio.

È pronto a partire il deputato 5S, Nicola Grimaldi (medico campano, classe 1980): "Dall'organizzazione mi hanno comunicato l'idea di rimandare solo temporaneamente, di qualche giorno, la partenza - dice il grillino, medico e volontario dell'Associazione Medica Internazionale di Lourdes (Amil) - Ci è stato detto di temporeggiare un attimo per avere contezza di chi parteciperà e dell'evoluzione del conflitto. Io sono tra i parlamentari che ha dato la disponibilità, prima di tutto perché sono un medico e poi perché sono un volontario dell'Amil”. Pronta a partire era anche la senatrice di Fratelli d’Italia Isabelli Rauti (figlia di uno dei leader storici dell’Msi, Pino Rauti) e molti altri.

Mentre ha deciso di rinunciare, la senatrice M5S Maria Laura Mantovani (modenese, classe 1965, tecnico di elaborazione dati), perché "l'indicazione delle autorità è di non andare, quindi non mi sembra ci siano più le condizioni". Hanno dato la loro disponibilità a partire anche due eurodeputati del Pd. La toscana Simona Bonafé, vicepresidente del gruppo del Pse e segretario del Pd in Toscana, e l'eurodeputato del Pd, Pierfrancesco Majorino (milanese, classe 1973, ex consigliere comunale a Milano, una vita passata nei collettivi giovanili studenteschi e universitari, cuore che batte a sinistra, da sempre in prima fila nell’accoglienza) che giovedì sarà, in ogni caso, “in Polonia per verificare le condizioni dei profughi. Ovviamente - specifica - tutto quel che si fa, va concordato con le autorità” riconosce Majorino, in modo assennato, almeno.

Il curioso caso del deputato leghista Comencini

Per tanti parlamentari che vogliono andare a manifestare in difesa dei diritti e della libertà del popolo ucraino, c’è però anche chi vuole partire per manifestare in difesa della… Russia di Putin! Come il deputato della Lega, Vito Comencini, trentacinquenne veronese che ora si trova a San Pietroburgo, città originaria della moglie Natalia e che si dice pronto a raggiungere il… Donbass per fornire il suo aiuto umanitario non agli ucraini ma ai “profughi civili giunti dalle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk” che per lui sono più importanti degli ucraini perché “già autonome e già riconosciute” (solo da Mosca, ndr.) “come la Crimea” dove “il popolo ha voluto l’annessione (a Mosca, ndr.)”. non a caso, del resto, Petrocelli, in Parlamento, ha votato contro l’invio di armi al popolo ucraino. Lui difende la libertà dei russi…

Il collegamento con Zelensky invece si farà

Altra questione, molto meno ‘hard’ e problematica, almeno per i rischi e la vita stessa dei nostri parlamentari, che in Ucraina sarebbe decisamente a rischio, è il collegamento video che il Parlamento italiano vuole organizzare – come richiesto da molti gruppi parlamentari – con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

Non c'è ancora una data ufficiale, ma quando ci sarà "la comunicheremo", precisa il presidente della Camera, Roberto Fico, che ha "confermato il lavoro" avviato per far intervenire in collegamento il presidente dell'Ucraina Zelensky proprio con la Camera dei deputati. "Non è una cosa immediata, semplice. Appena l'ambasciata ucraina mi dirà, vi riferirò" il giorno del collegamento, spiega ancora Fico. Il quale, a sua volta, ha anche sconsigliato ai parlamentari viaggi in Ucraina, come ha fatto il ministro Di Maio.

"Io, nella giornata di ieri, ho già fatto chiamare tutti i presidenti dei gruppi parlamentari per sconsigliare il viaggio in Ucraina. Da presidente della Camera, chiedo di non partecipare, se possibile. Poi spetta alla buona volontà di ognuno", commenta Fico.

L'accoglienza dei profughi ucraini, invece, per il presidente della Camera rappresenta una vera emergenza. "L'Italia sta dando una prova straordinaria. Gli italiani stanno aprendo le loro case ma lo stanno facendo anche le associazioni sportive grazie al lavoro del Coni. L'accoglienza va fatta in modo strutturato e organizzato per rispondere alla grandissima ondata di richieste. I sindaci hanno ben presente il loro territorio e quelli delle città metropolitane possono organizzarla nel modo migliore", osserva Fico. Il presidente della considera "giusto aiutare l'Ucraina a difendersi" con le armi, "il Parlamento sulle risoluzioni è stato unito. Detto questo, la diplomazia è fondamentale. È l'unica cosa che noi possiamo portare fino in fondo. La pace è il nostro bene comune più grande", aggiunge. Mentre l'aumento della benzina "è un problema fondamentale e importante. Dobbiamo riuscire a contrastarlo e contrastare anche chi fa il furbo".

Ma se ha ragione Fico e “la pace è il bene più grande”, cercare di fare i pacifisti a tutti i costi, rischiando la vita e mettendo a rischio la stessa diplomazia italiana, impegnata a lavorare per una tregua umanitaria tra le parti, non è l’idea più giusta e più sana che i parlamentari potessero avere. Si spera che, in questi giorni, ci ripensino. E pensino a fare il loro lavoro. In Parlamento.

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