Meloni e lo spettro del rimpasto, un pericoloso gioco che si intreccia con le regionali del 2025
Riecco il rimpasto. Non è un mistero che Giorgia Meloni sarà costretta a introdurre questo nuovo vocabolo nel dizionario della destra italiana
Se ne riparla ai piani alti dei palazzi della politica dove si conoscono le sorti di un esecutivo. Riecco il rimpasto. “Non è più tabù”, ammette una prima linea del governo. Non è un mistero che Giorgia Meloni sarà costretta a introdurre questo nuovo vocabolo nel dizionario della destra italiana di ultima generazione: rimpasto. Non avrebbe mai voluto pronunciare questa parola che rimanda a un modus operandi della Prima Repubblica. Non importa che l’immagine del gabinetto Meloni all’esterno potrà essere scalfita. “La memoria degli italiani è corta, l’importante che si faccia un rimpasto per accrescere la qualità del governo” sostiene un peso massimo del melonismo. La verità però è un’altra. Il rimpasto può diventare un gioco pericoloso dentro una maggioranza che già di suo è divisa. “Come si potranno coniugare le richieste di Salvini e quelle di Tajani?”, si domanda un senatore che conosce le dinamiche del palazzo. Inoltre «una volta aperto il vaso di Pandora può succedere qualsiasi cosa». Insomma, non è più qualcosa che si può ascrivere alla fantapolitica. Perché alcuni fatti impongono alla presidente del consiglio di cambiare passo.
Le dimissioni di Fitto
Ai primi del mese di dicembre Raffaele Fitto rassegnerà le dimissioni da ministro degli Affari europei. Lo farà subito dopo il voto del Parlamento di Strasburgo al bis di Ursula von der Leyen. Meloni è abituata ad affrontare le questioni una volta che si presentano. Fitto prenderà parte all’ultimo consiglio dei ministri che si terrà lunedì, dopodiché saluterà i colleghi ed entrerà a pieno titolo a svolgere la funzione di vicepresidente della commissione europea. Deleghe pesanti, quelle che lascerà sul tavolo l’ex democristiano: Pnrr, Sud, politiche di coesione e Affari comunitari. Un’affaire, quello della successione a Fitto, che si intreccia con l’inchiesta giudiziaria che coinvolge la ministra del Turismo Daniela Santanché anche perché fra qualche giorno è prevista l’udienza a Milano che potrebbe portare al rinvio a giudizio per falso in bilancio sul caso Visibilia.
Rimpasto
Ecco perché si riaffaccia la parola impronunciabile: rimpasto. Certo, Meloni potrebbe decidere di prendere altro tempo e affrontare la questione tra Natale e Capodanno. Una sorta di verifica che coinvolgerebbe altri dicasteri. I ministri in black list sono diversi. In queste settimane è emersa una squadra di governo che spesso e volentieri ha fatoto delle uscite fuori dal registro istituzionale. L’ultimo a sollevare un polverone è stato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Ma la lista degli attenzionati è più lunga.
Che cosa significherebbe
Un rimpasto vero e proprio significa sedersi al tavolo con i due vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, e provare a ragionare sul da farsi. Incastrando il tutto con le regionali del 2025. Le deleghe di Fitto potrebbero ad esempio essere affidate a uno dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio, ovvero a Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano. Oppure a un nome di peso come Maurizio Leo, oggi viceministro all’Economia con la delega del Fisco. Altri candidati possono essere Marco Osnato, oggi presidente della commissione Finanze, o il viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli. Senza dimenticare quella che a Palazzo Chigi viene definita la soluzione preferita, una tecnica come Elisabetta Belloni che darebbe un ulteriore standing alla compagine di governo.
Un gioco pericoloso
Un gioco pericoloso che si intreccia con gli appetiti degli alleati. Forza Italia, per dire, ha ormai lo scettro di secondo partito della maggioranza. Rappresenta il mondo moderato e ha un peso specifico consistente in Europa con il Ppe. Non a caso la vicesegretaria azzurra Debora Bergamini ha utilizzato queste parole: «La nomina di Fitto è un successo di cui ha merito Antonio Tajani». Gli azzurri da punto dei riferimenti dei popolari hanno avuto un peso nella scelta finale su Fitto. Il vicepremier Tajani si è servito della moral suasion per rasserenare i socialisti e i liberali. Ragion per cui c’è chi sostiene che gli azzurri potrebbero richiedere a Meloni una delle deleghe di Fitto e avrebbero già un profilo da mettere sul tavolo: l’europarlamentare Letizia Moratti, già ministra, già presidente della Rai, una figura riconosciuta anche a Bruxelles e Strasburgo.
Tra i papabili Mario Conte, attuale sindaco di Treviso
Evidente che in tutto questo Meloni se la dovrà vedere con Matteo Salvini. Il vicepremier e leader della Lega non intende cedere il Veneto. Se non sarà Zaia per limite del terzo mandato dovrà essere comunque un leghista, è la tesi del numero uno di via Bellerio. Tra i papabili Mario Conte, attuale sindaco di Treviso, e Alberto Stefani, segretario regionale della Lega Veneto. Senza dimenticare Forza Italia che proprio in Veneto rivendica la poltrona per Flavio Tosi.
E così il rimpasto potrebbe essere più complicato del previsto. Ridiscutere tutte le caselle non è uno scenario pensabile perché rallenterebbe l’azione di governo. Ma un ritocco sì. Intervenire su quattro-cinque ministeri può essere un’operazione che potrebbe ridare una spinta all’esecutivo. In queste ore Meloni studia il timing per un ritocco alla squadra di governo. Si dice tra Natale e Capodanno, perché in quei giorni i riflettori si spengono e le famiglie sono tutte concentrate a tagliare il panettone e il pandoro. Potrebbe così servirsi della conferenza stampa di fine anno per annunciare le modifiche. Oppure aspettare l’inizio del nuovo anno per mettere mano alla faccenda. La questione è complicata. Salvini reclama il ministero del Turismo per un leghista, come Massimo Garavaglia e Gian Marco Centinaio. Caselle cui è interessata anche Forza Italia. Addirittura c’è chi sussurra che Salvini potrebbe richiedere la poltrone del Viminale. E Matteo Piantedosi? L’attuale ministro dell’interno potrebbe ricompensato con la candidatura a governatore della regione Campania.
Ecco perché si prefigura un grande caos
Meloni avrà quest’arduo compito. A meno che non voglia ancora una volta rimandare a data da destinare. Anche perché un rimpasto - con quattro/cinque ministri da sostituire - significa salire al Colle e presentarsi alle camere per il voto di fiducia. Eppure questa volta sembra quasi naturale che si vada nella direzione del rimpasto. Resta solo da capire come chiamarlo se non rimpasto. A Palazzo Chigi sono alla ricerca di un neologismo.