Meloni davanti al bivio europeo. Ecco perché sceglierà il bis a von der Leyen
Giovedì 18 luglio è il d-day per la governance europea. L’europarlamento è chiamato se confermare il bis a von der Leyen. La fumata nera sarebbe una brutta battuta d’arresto per le credibilità della compattezza europea. La premier: “Farò quello che più utile al Paese”. La frattura con Salvini e le altre destre
Sarà fisicamente lontana da Strasburgo. Del resto è un capo di governo con un’agenda fitta di impegni di politica estera: mercoledì Giorgia Meloni sarà a Tripoli per prendere parte al Trans mediterranean migration forum dove si parla di immigrazione, legale e illegale, che è la spina nel fianco del governo; il giorno dopo sarà nel Regno Unito a Blenheim palace per il vertice della Comunità politica europea. Nelle stesse ore a Strasburgo l’Europarlamento deciderà la governance della prossima legislatura, difficile e piena sfida. Giovedì Ursula von der Leyen vedrà o meno confermato in suo bis. In caso positivo la complessa macchina europea partirà. Se sarà invece fumata nera, si aprirà un periodo buio, segnato dalla presidenza di turno ungherese con Orban nel ruolo di cavallo di Troia per l’asse Putin-Xi in attesa, e nella speranza, che Trump torni a novembre alla Casa Bianca.
Ago della bilancia
L’ago della bilancia di tutto questo rischia di essere Giorgia Meloni e il suo tesoretto di 24 voti all’europarlamento. Il bivio è di quelli che non lasciano spazio ad errori. La premier italiana ne è consapevole e in cuor suo ha già deciso: ufficialmente lo comunicherà “martedì, dopo l’incontro a Strasburgo con il gruppo Ecr”; ufficiosamente ha già deciso e darà mandato ai suoi eurodeputati di votare von der Leyen perché, come ha spiegato in conclusione del vertice Nato, “in qualità di Presidente del Consiglio italiano il mio unico obiettivo è portare a casa per l’Italia il massimo risultato possibile”. Come presidente di Ecr, invece, la decisione sarà presa dopo l’incontro von der Leyen previsto martedì, ultimo atto nella fitta agenda di incontri per la presidente già incaricata dal Consiglio europeo (25 capi di stato e di governo, tuti tranne due, Italia e Ungheria) ma che necessita del voto di almeno 361 eurodeputati. “A valle di quello che lei dirà, Fratelli d’Italia dialogherà con le altre delegazioni di Ecr e decideremo che cosa fare” ha aggiunto Meloni dovendo essere conseguente con il voto di astensione del 27 giugno. Ma sapendo già che dovrà votare von der Leyen e far parte del suo esecutivo. E’ chiaro che il governo italiano ha bisogno di avere a Bruxelles una commissione amica e alleata, disposta a chiudere un occhio sul deficit, ad avere un po’ di mano larga sul patto di stabilità. Altrimenti Meloni e Giorgetti non riusciranno a scrivere la legge di bilancio.
Il precedente del Pis
“Valutiamo non le persone ma le cose che si devono fare. Non abbiamo nulla contro von der Leyen, abbiamo qualcosa da dire però contro la piattaforma politica degli ultimi cinque anni” ha chiarito ieri Nicola Procaccini che oltre ad essere capodelegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles e anche uno dei fedelissimi della premier. Fonti di Fratelli d’Italia fanno anche notare come nel 2019 il Pis polacco, membro di Ecr, votò a favore di von der Leyen, anzi fu decisivo per la sua rielezione, ed in cambio ha ottenuto il Commissario all’agricoltura, uno di quelli di maggior peso nel contesto europeo. In generale, la linea sarebbe quella di lasciare libertà di voto.
Archiviato il summit Nato con “buona soddisfazione” non solo per l’azione di supporto all’Ucraina ma anche per il riconoscimento del ruolo strategico del fianco sud (Africa) e la possibilità che l’incaricato di zona sia italiano, l’agenda ora è tutta concentrata su Bruxelles e i suoi top jobs.
Le tensioni in maggioranza
Sullo sfondo restano le tensioni interne alla maggioranza tutte legate agli schemi europei. Meloni non le ha mandate a dire a Matteo Salvini ogni volta sempre più critico sull’invio di armi a Kiev. “Se noi non avessimo mandato i sistemi di difesa antiaerea i missili sarebbero partiti ugualmente, colpendo molta più gente, come abbiamo visto qualche giorno fa all'ospedale di Kiev”. La premier ha cercato di ridimensionare le distanze politiche con i partiti di destra di nove paesi europei che hanno aderito al nuovo gruppo dei Patrioti di Orban e Le Pen, scippando ai “suoi” conservatori il posto sul podio dopo Popolari e Socialisti. Un brutto colpo per la premier, anche perché l’amico Abascal l’ha lasciata per i Patrioti. “Mi corre l'obbligo di ricordare - ha sottolineato - che i tre partiti che compongono la maggioranza in Italia, pur stando insieme praticamente da 30 anni, sono sempre stati in gruppi europei diversi”.
La dialettica, di cui la premier è abile consumatrice, non è sufficiente a mascherare le difficoltà. Dove stare, cosa fare, entrare a pieno titolo nel governo europeo, istituzionalizzarsi? Oppure scegliere l’opposizione e mettersi fuori dai giochi? E’ chiaro che per Meloni la scelta è obbligata: "Devo fare il massimo per il mio paese e il governo”. È questo un passaggio importante nella crescita e formazione della sua leadership. Un passaggio che prevede di tagliare i ponti con la destra di cui è stata finora compagna di viaggio. Anche in Italia. Detta in modo molto sintetico, e quindi parziale, Meloni “sceglierà” Forza Italia e “lascerà” la Lega. E questo avrà conseguenze anche sulla convivenza in maggioranza. Specie se von der Leyen, una volta confermata, dovesse far scattare il cordone sanitario rispetto al gruppo dei Patrioti e quindi negare loro un ruolo in Commissione.
Il pallottoliere europeo
Adesso e nei prossimi giorni almeno fino a giovedì, occhi e orecchie sono tutti sul pallottoliere europeo. Ursula von der Leyen è stata molto attiva in queste due settimane nei corridoi del Parlamento europeo. Ha incontrato tutti i gruppi parlamentari, mancano La Sinistra e Ecr che vedrà lunedì e martedì a Strasburgo. Ha avuto anche molti colloqui con eurodeputati singoli. Sulla carta la leader tedesca può fare affidamento sui 401 della maggioranza Ursula: la somma di popolari (188), socialisti (136) e liberali (74). Sono quaranta voti sopra la maggioranza assoluta richiesta (361) per il banco di prova di giovedì prossimo. Ma non sono sufficienti. Perché nei fatti non tutti la voteranno. Sei irlandesi dei liberali (insieme a qualcuno dei tedeschi) hanno già detto no. Così come una parte dei popolari francesi (almeno tre su sei), quattro sloveni (che fanno capo all'ex premier Janez Jansa). Qualche scontento anche nei socialisti che pure la voteranno. E anche tra i Popolari. Insomma, almeno una ventina di deputati della maggioranza sono da considerarsi fuori dalla maggioranza. La percentuale dei franchi tiratori viene stimata al 15% e sarebbero una sessantina. Dunque servono voti. I Verdi (53 voti) sono disponibili ma un pezzo del Ppe non vuole neppure per sbaglio questa alleanza. Ecco che sono decisivi i 24 voti di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni lo sa bene. E per quanto molto ridimensionata dopo il voto francese e le manovre a destra, è intenzionata a capitalizzare il più possibile il suo potere contrattuale.