Mattarella bis sì, ma non Mattarellum. Ritorna, tra i partiti, la voglia di proporzionale
Partiti divisi, ipotesi rimpasto e legge elettorale: il governo Draghi riparte con le incognite del post-scorie Quirinale
ll premier ha convocato il consiglio dei ministri lunedì. Ma il capo dell'esecutivo, fallita l'ascensione al Quirinale, si ritrova con forze politiche in affanno, richieste di incontri e le elezioni alle porte. Dopo una settimana di sbornia e tensione a mille, i partiti (a testa bassa) cercano di rientrare nei ranghi. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, anche lui protagonista attivo degli ultimi sei giorni di convulsioni parlamentari, ha deciso di dare un segnale e lunedì ha convocato il consiglio dei ministri (le agenzie di stampa assicurano che ci sarà anche giovedì, però).
Resta da capire come le forze politiche, massacrate e dilaniate dalle rese dei conti interne, potranno sedere al tavolo dell’esecutivo. Dal centrodestra passando per i 5 stelle fino al Pd, non c’è fronte che non esca dalla lotta per il Quirinale con le ossa rotte ed è inevitabile che a subirne lo strascico sarà anche lo stesso governo. I leader, quelli che ne escono più sconfitti di tutti, garantiscono che si andrà “avanti più compatti di prima”. Ma dagli annunci ai fatti, come si è appena visto nell’Aula di Montecitorio, la strada è lunga e ricca di insidie.
Con quale spirito condurrà ora Draghi l’ultimo anno di legislatura? Di sicuro i dossier sul tavolo (dalle norme Covid a quelle sulla giustizia a quelle sull’economia) sono tanti, per non parlare delle decine di traguardi da raggiungere sul percorso del Recovery plan. Sullo sfondo, infine e soprattutto, la campagna elettorale permanente che i partiti porteranno avanti nei prossimi 12 mesi. Neanche sono finite le trattative per il Colle, che già sono svolazzate qua e là richieste di rimpasto e una decina di smentite. Quello che è sicuro è che i leader si sono messi in coda per chiedere incontri privati al premier (in testa ci sono Salvini e Conte) e tutti avranno le loro priorità da presentare poi agli elettori.
In attesa del giuramento di Mattarella, tutti i partiti si riposizionano e si leccano le ferite…
In attesa del giuramento di Sergio Mattarella previsto per giovedì pomeriggio si apre la resa dei conti negli schieramenti e all'interno dei partiti. Mentre il rieletto presidente della Repubblica metabolizza in famiglia il peso – fisico e mentale - del suo bis, i leader politici si leccano le ferite causate dall'incapacità di esprimere un presidente.
Salvini assediato dai suoi, la Meloni isolata
Chi più, chi meno. Certamente di più Salvini, che non ne ha azzeccata una, di mossa, e che oggi terrà un Consiglio federale della Lega per cercare di ricompattare i suoi. Giorgetti resterà ministro, anche perché Draghi lo vuole lì, ma il fronte dei governatori del Nord inizierà a farsi sentire. ‘Mattane’ tipo uscite dal governo non sono previste né ammesse, ma la ‘tentazione’ di Salvini di smarcarsi continuerà a essere forte. Non otterrà di certo la sostituzione della Lamorgese dal Viminale, ma prima o poi potrebbe ‘strappare’ e uscire dal governo.
La Meloni, la sola che ha impedito ai suoi di votare Mattarella (“Non trattateci troppo male…” imploravano i meloniani, sabato sera, alla Camera all’indirizzo dei cronisti, consapevoli di essere tornati da dove venivano, cioè nell’angolo), resta dov’è all’opposizione, ma il centrodestra è in pezzi e i rapporti con la Lega e con Salvini, oltre che con gli azzurri, che guardano sempre di più -compresi gli ex amici di Salvini Tajani e Ronzulli - alla galassia centrista e sono molto tentati dal dare vita a una ‘federazione’ non con la Lega (come doveva essere fino a ieri) ma con i centristi (Udc, totiani di Coraggio Italia, forse persino con Renzi) sono ormai ai minimi storici. Insomma, il centrodestra è a pezzi, e ai materassi, e lo sa bene.
Gli errori marchiani di Conte e il c. di Letta…
Anche Conte ha sbagliato, praticamente, tutto, cercando di infilarsi in un asse gialloverdenero che, su Frattini come sulla Belloni, è stato stoppato e, ora, subisce la controffensiva di Di Maio che potrebbe arrivare fino a una scissione. Di certo, Conte è isolato, nel suo partito, e solo ‘riprendendosi’ Di Battista potrebbe provare a uscire dall’angolo, anche se questo vuol dire pagare il prezzo della rottura con il governo. Ma anche Di Maio, mai così popolare tra le ‘truppe’ come oggi, potrebbe rischiare grosso, in caso di scissione, perché simbolo (e soldi) resterebbero a Conte e, per lui, è presumibile solo un’evoluzione in modalità, a sua volta, liberale e neo-centrista.
Certamente meno, invece, ha sbagliato Enrico Letta che – nonostante la ‘scivolata’ sulla Belloni, impedito dal resto del partito che, su quella strada, era già pronta alle barricate - rivendica la scelta del Pd di puntare silenziosamente su Mattarella sin dall'inizio delle trattative e, come rivela la capogruppo del Pd alla Camera, Deborah Serracchiani, di averlo fatto ‘crescere’, in modo ordinato e scientifico, votazione dopo votazione. Al netto del fatto che non è vero (è stato una sorta di ‘intergruppo’ parlamentare di Grandi elettori dem come M5s, centristi e pure del centrodestra ha organizzarsi, sua sponte, per votare Mattarella), la novità del giorno – cioè già di domenica scorsa - è che Enrico Letta attacca l'attuale legge elettorale confermando che sarà un tema da affrontare “per permettere ai cittadini di scegliere gli eletti ed eliminare la peggiore legge elettorale che c'è mai stata, il Rosatellum”. Anche qui, a dirla tutta, si esagera: se il Rosatellum, mai dichiarato incostituzionale e neppure mai sospettato di esserlo, è la ‘peggiore legge elettorale della storia’, non si capisce come dovrebbe essere definito il Porcellum, che invece incostituzionale lo è stato dichiarato eccome.
Riparte l’eterno dibattito sulla legge elettorale
Ma restando alla legge elettorale - tema con cui i partiti si baloccheranno da qui a fine legislatura, dato che non vi sarà alcun rimpasto di governo (alla fine la posizione di Draghi si è di molto rafforzata) e, però, vi saranno molte scissioni (nel M5s è, di fatto, già alle porte, tra Di Maio e Conte) e riposizionamenti tattici e strategici (FI si sta progressivamente sganciando dal centrodestra, i rapporti tra Lega e FdI sono ai minimi termini, grandi i movimenti in corso in area centrista) – dal giorno stesso dell’elezione di Mattarella è diventato il nuovo oggetto di dibattito e polemica, nella scena politica italiana. Ora, va detto che, in questi giorni, si muovono e parlano, con un profluvio di dichiarazioni, solo i proporzionalisti.
Stante, infatti, la netta ostilità di Fratelli d’Italia e il silenzio, tattico, della Lega, mentre persino FI mette le mani avanti e sostiene che, a dispetto dei santi, “non è all’ordine del giorno”, la voglia di proporzionale contagia tutti i partiti.
Heri dicebamus… La pdl sul Germanicum giace, in commissione, da più di un anno
Formalmente, il dibattito sulla legge elettorale è fermo al 9 gennaio 2020, cioè da due anni, quando fu depositato in Commissione alla Camera il Germanicum, sostenuto dall'allora maggioranza giallo-rossa: si tratta di un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%, che lo rende appunto simile al modello tedesco che è stato scritto, materialmente, dal presidente della I Commissione, Giuseppe Brescia (M5s), ma che poi finì in un cassetto perché, già in commissione, non c’erano i numeri per approvarlo. All’epoca, si mise di traverso Iv, mentre Pd-M5s-LeU erano a favore e l’intero centrodestra, ai tempi compatto, era contrario.
Come sempre accade, il dibattito attuale, appena ripartito, si articola tra due scelte di fondo, vale a dire proporzionale o maggioritario, benché le due impostazioni possono essere declinate in vari modi o anche miscelarsi, come per l'attuale legge, il Rosatellum, col 64% di collegi plurinominali proporzionali, eletti su liste bloccate, e il 36% di collegi uninominali maggioritari.
Gli schieramenti contrapposti e i dubbi del Pd
A favore del proporzionale si schierano, subito e chiaramente, M5s, Leu, e Coraggio Italia. Nel Pd la maggior parte delle correnti (Base riformista, Area dem, i Giovani turchi) sono a favore di tale modello, ma il segretario Letta si era sempre dichiarato per il maggioritario; tuttavia, da ieri si è detto disposto a ragionare su un nuovo impianto, a partire dall'eliminazione delle liste bloccate, pur senza esplicitare modelli.
Italia Viva è ancora in fase di definizione della posizione, visto che quando fu depositato il Germanicum, Renzi affermò di preferire un sistema che assicuri di conoscere il vincitore la sera stessa delle elezioni; ma di recente è sembrato aprire all'ipotesi proporzionalista. Ma è anche vero – ragiona ora Renzi con i suoi – che prendere 50 seggi con un maggioritario, perdendo tutti i collegi uninominali, se nascesse un vero rassemblement di centro dal 10% dei voti può essere più conveniente che prenderne 30 con un proporzionale alla tedesca. Insomma, Renzi, come sempre, deciderà all’ultimo e in base alle ‘convenienze’ del momento, sapendo cioè se ha in tasca un mega-gruppone di centro o meno.
A dividere il campo dei proporzionalisti è pure la soglia di sbarramento, che M5s vuole sia “alla tedesca”, mentre gli altri la chiedono più bassa. Difficile, però, che – ove mai passasse un sistema puro, un vero proporzionale con le preferenze – la soglia di sbarramento possa essere inferiore al 5% perché altrimenti il sistema politico va in frantumi ancora di più di quanto già non sarebbe.
Il fronte dei maggioritaristi, sempre di meno
A favore nel maggioritario c’è Giorgia Meloni e tutto Fdi, e finora anche la Lega, benché nel partito guidato da Matteo Salvini si stia aprendo un "partito" favorevole al proporzionale, perché eviterebbe contenziosi nella divisione dei collegi uninominali e consentirebbe comunque di tenere unito il centrodestra, anche se dopo le elezioni.
In Forza Italia, Berlusconi ha ribadito appena due settimane fa di prediligere il maggioritario, ma anche tra gli azzurri si sta facendo più forte la voce dei proporzionalisti, soprattutto se prenderà piede l’operazione di sganciamento da Lega-FdI.
Invece, i centristi di Toti sono scatenatissimi a favore del proporzionale. A batteria, parlano tutti. “Oggi è nato il proporzionale che serve a tutti, anche a Giorgia Meloni", sfotte il senatore Gaetano Quagliariello, vicepresidente di 'Coraggio Italia', in un'intervista all'Huffington Post. “E' evidente – osserva - Quagliariello - che sia se si vogliono ricostruire le coalizioni, sia se si pensa ad aggregarle dopo il voto, è fondamentale ricreare le identita' dei partiti. Un sistema elettorale che non sia impostato sui collegi oggi serve a tutti, compresa la Meloni e Salvini. Prevedo l'interessamento del Pd, di M5S, dei centristi e pure di FdI. Si può discutere del sistema francese o spagnolo ma adesso si tratta di salvare il sistema dalle sue macerie”.
Un altro centrista, e uomo saggio, Osvaldo Napoli, osserva: “Centrodestra e centrosinistra sono esistiti per un ventennio solo in virtù di leggi elettorali maggioritarie. Sono stati cioè due contenitori artificiali che hanno messo insieme forze tra loro molto diverse e costrette ad allearsi a causa del sistema elettorale. Anche il centrodestra è un'amalgama mal riuscito. Serve all'Italia ritrovare una forza centrale, concreta e riformista, alternativa alla sinistra ma distinta e distante dalla destra. Una forza che vada a colmare il vuoto pauroso di offerta politica perché la domanda di equilibrio e di moderazione è forte nel Paese. Per questo occorre una rapida riforma della legge elettorale in senso proporzionale, con collegio unico nazionale e preferenze”. Un altro totiano, pur se ‘nuovo’, l’ex Cinque Stelle, Emilio Carelli si allarga ancora di più: chiede il rimpasto, per far entrare CI nel governo oltre che una legge elettorale in senso proporzionale.
Il problema maggiore, però, ce l’ha il Pd: soffia forte il vento del proporzionale, già finita in cantina la ‘vocazione maggioritaria’…
Il problema di fondo, però, ce l’ha il Pd. Dopo una stagione intera passata a tenere alte le bandiere del sistema maggioritario e del bipolarismo (il Pd, del resto, è nato su tale assioma), ora la virata proporzionalista colpisce. E forse non è un caso che un intenditore di sistemi elettorali, oltre che raffinato costituzionalista, Stefano Ceccanti, che di solito parla ad libitum, sull’argomento, oggi, tace. La sua ostilità alla virata proporzionalista è netta, anche perché Ceccanti è un convinto bipolarista. Parlano, invece, gli esperti di molte correnti che molto contano nella geografia interna dem.
Il presidente della I commissione Affari costituzionali del Senato, Dario Parrini (è di Base riformista, ma è molto ascoltato da Letta) dice: “sul piano delle regole istituzionali il Paese ha per varie ragioni urgente bisogno di un sistema proporzionale con sbarramento alto (5%, non di meno), accompagnato da meccanismi che rispetto a quanto avviene oggi diano molta più voce ai cittadini nella selezione degli eletti (preferenze). Scongelare l'offerta politica, anziché irrigidirla, è ormai un'esigenza strutturale”.
Il coordinatore dei sindaci dem, Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, ci va giù pure lui sparato: “Il sistema politico è entrato profondamente in crisi e va riformato, partendo da una nuova legge elettorale” dice ai microfoni di Radio Immagina. "Il Pd deve essere protagonista di questa nuova fase politica che si sta aprendo”, dice Ricci. La legge elettorale più adatta, secondo Ricci, è il proporzionale, “con sbarramento al 5% e doppia preferenza uomo-donna. Garantirebbe una semplificazione del quadro e consentirebbe ad ogni partito di presentarsi con un proprio programma e identità. Al tempo stesso, darebbe anche una prospettiva al governo Draghi, evitando che le forze politiche che sostengono la maggioranza indeboliscano il governo stesso". “Lo sbarramento – azzarda Ricci - introduce un criterio maggioritario nel proporzionale e garantisce governabilità. Infine, la doppia preferenza uomo-donna aumenta la parità di genere, come abbiamo visto nei consigli comunali e regionali e avvicina i cittadini agli eletti”.
A nome degli ex renziani di Base riformista, la corrente del ministro Guerini e di Luca Lotti, parla il suo coordinatore, il senatore Alessandro Alfieri: “La riforma della legge elettorale in senso proporzionale è un tema che noi riformisti del Pd conduciamo da tempo. Il segretario Letta, rispondendo a un mio intervento in Direzione, ci disse che avrebbe aperto il dossier dopo l'elezione del Colle ed è stato di parola. Ora bisogna fare presto e fare bene”, esorta Alfieri, aggiungendo una previsione: “sul proporzionale conviene anche al partito di Matteo Salvini fare un'attenta riflessione perché Salvini non è più il leader del centrodestra. Al di là di Forza Italia noi registriamo che lo spazio in Parlamento sia più ampio di qualche mese fa, sul proporzionale…”.
Liste bloccate o preferenze? Temi importanti
Ma Gianclaudio Bressa, senatore Pd del gruppo Per le Autonomie e membro della Affari Costituzionali a palazzo Madama, che di leggi elettorali ne ha viste (e scritte…) parecchie, di area Franceschini, lascia aperto un rebus non da poco: “Bisogna fare un proporzionale vero con una soglia di sbarramento significativa sennò si ripete il Rosatellum togliendo solo la parte maggioritaria della legge. Poi c'è tutto un altro capitolo di discussione: come vengono eletti i parlamentari: le preferenze o le liste bloccate?”.
Particolari tecnici di estrema rilevanza che potrebbero cambiare non poco la geografia degli eletti che, è bene ricordarlo, vedrà il prossimo Parlamento eletto con 600 parlamentari e non più 945, quindi con un saldo negativo di ben -345. Ma forse, così, ci si porta davvero troppo avanti...
Non a caso, il senatore Federico Fornaro, capogruppo di Liberi e Uguali alla Camera, altro esperto del ramo, premesso che “con una legge proporzionale il governo si fa dopo le elezioni, ma si fa nella chiarezza e nella trasparenza del Parlamento, evitando di imbarcare nelle coalizioni tutto e il contrario di tutto per vincere le elezioni, salvo poi non avere compattezza”, ammette che “non c'è un'unica soluzione, cioè l’automatico ritorno delle preferenze, perché, ad esempio, potrebbe funzionare il collegio uninominale di partito sul modello elezioni Senato ante 1992 o quelle delle provinciali”, prosegue Fornaro. “E poi ci sono questioni legate alla cosiddetta governabilità e alla parità di genere. Non c’è più tempo da perdere, si inizi un confronto aperto e costruttivo tra le forze politiche”, conclude il senatore Fornaro. I partiti, nei prossimi mesi, avranno di che divertirsi…