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[Il retroscena] Martina il kamikaze contro Renzi. E anche Franceschini lo sfida a duello. Nel Pd è scontro finale

Martina e gli altri big del Pd all’attacco dell’ex segretario, che ha imposto la rottura delle trattative col M5S in diretta tv, rendendo inutile la direzione di giovedì. Dopo il nuovo tonfo in Friuli e le accuse incrociate, la riunione si trasformerà nello scontro finale tra il senatore di Firenze e tutti gli altri big dem, Dario Franceschini su tutti. Il segretario reggente pronto alle dimissioni, viene invitato a resistere, ma è pronto a farsi sfiduciare per poter convocare un congresso in autunno e mettere fuori gioco l’ex premier.

Matteo Renzi, Maurizio Martina  e Dario Franceschini
Matteo Renzi, Maurizio Martina e Dario Franceschini

Quello che si annuncia il prossimo giovedì ha tutta l’aria di essere un vero e proprio show down. La direzione del Pd in programma per dopodomani, al netto delle posizioni degli altri leader, assume sempre di più le sembianze di un duello. Da una parte Matteo Renzi, dall’altra Dario Franceschini. Saltato il ruolo dell’arbitro che tutti avevano assegnato a Maurizio Martina, la sfida potrebbe trasformarsi in una rissa, se è vero che sulla linea del ministro dei Beni Culturali, favorevole alla trattativa coi Cinquestelle, ci sarebbero anche altri due suoi colleghi importanti come appunto il ministro dell’Agricoltura dimissionario e quello dell’Interno, Marco Minniti. La tensione ormai è così alta che l’appello “a tutti di abbassare i toni” che ieri pomeriggio Lorenzo Guerini si affanna a ripetere rischia di sembrare patetico. 


Partiamo dall’inizio: dopo il tonfo delle Politiche che ha ridotto ai minimi termini il Pd, Renzi si è dimesso da segretario. Prima, però, grazie a liste infarcite di fedelissimi, l’ex premier aveva fatto in modo di garantirsi ad ogni buon conto la golden share dei gruppi parlamentari. Per evitare ulteriori spaccature e in attesa di un congresso, tutti i big avevano chiesto al vicesegretario uscente, Maurizio Martina, di “reggere” il partito in questo momento così delicato.
Chiuso il “forno” dei Cinquestelle col centrodestra, aperto quello di Luigi Di Maio col Pd, il “reggente” è andato a sentire quello che aveva da dirgli il leader dei pentastellati. Non ha detto “sí” all’accordo, ma nemmeno lo ha rifiutato a prescindere. Proprio per discutere di questa offerta e di ipotetiche compatibilità nei programmi da utilizzare come base per un accordo di governo M5S - Pd, è stata convocata la direzione di dopodomani. Con Martina nelle vesti di mediatore tra chi era sembrato favorevole comunque a un’intesa politica, come Emiliano, e chi, come Renzi, aveva opposto un rifiuto pregiudiziale, arrivando a lanciare un hashtag minaccioso (#senzadime) che una parte del gruppo dirigente ha vissuto come una provocazione. 


Già dall’indomani del 4 marzo, Franceschini aveva preso una linea dialogante, suggerendo di trattare coi pentastellati fino dalle prime battute della legislatura, quando c’erano da eleggere i presidenti di Camera e Senato e poi i relativi uffici di presidenza. I maligni sospettavano persino che il ministro ambisse alla presidenza della Camera, nonostante le continue smentite dell’interessato. Mentre Franceschini e gli altri “trattativisti” come i due colleghi ministri e l’intera corrente che fa riferimento a Michele Emiliano si preparavano al confronto, Renzi ha scelto di entrare a gamba tesa. “Spazio per un accordo col M5S? Mi sembra impossibile. Di Maio premier? Ha preso il 32 per cento, non il 51… E comunque non saremo l’alibi per non fare il reddito di cittadinanza e tutte le altre promesse che hanno fatto”, ha detto ospite in tv, dopo settimane di (apparente) silenzio durante le quali però non ha mai smesso di agire da segretario ombra dando l’impressione di voler segare il terreno sotto i piedi di Martina. 


Nella trasmissione di Fabio Fazio, L’ex premier ha fatto una battuta che è sembrata una stilettata al reggente e a una parte dei suoi: “Chi ha perso deve andare all’opposizione, non trattare poltrone. Non si può immaginare che i giochi dei caminetti romani valgano di più dei voti degli italiani”, rivendicato pubblicamente i “suoi” numeri, cioè il controllo granitico che continua a mantenere su deputati e senatori.

Il dibattito su come e se trattare coi Cinquestelle si è dunque chiuso due giorni prima di cominciare. Normale che si siano infuriati tutti coloro che ci avevano messo la faccia e che, magari, speravano di riuscire a rimediare una di quelle “poltrone”, che, secondo il senatore di Firenze, sarebbero alla base di tutto. "Ritengo ciò che è accaduto in queste ore grave, nel metodo e nel merito. Così un partito rischia solo l'estinzione e un distacco sempre più marcato con i cittadini e la società", il commento piccato quanto mai Martina. Il reggente è stato per diverse ore sul punto di dimettersi.
Complice il nuovo risultato negativo del Pd in Friuli, le dimissioni avrebbero fatto precipitare il partito in un caos superiore a quello attuale, già a livelli da record. Ecco perché tutti i big dem, compreso i renziani, lo hanno pregato di rimanere al suo posto ancora un po’. Dimissioni? “No, assolutamente. Il tema è un altro”, ha smentito poi parlando con l’Ansa. L’ex segretario aveva avvertito il reggente della sua partecipazione tv, ma, chiaramente, non gli aveva anticipato i contenuti del suo “ritorno” in diretta su Rai1.


Il più avvelenato sembra proprio Franceschini. E pensare che era stato lui, nel 2014, a contribuire alla “rottamazione” dell’allora premier Enrico Letta e lo aveva fatto per conto proprio di Renzi. “E' arrivato nel Pd il tempo di fare chiarezza. Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato in un Signornò', disertando ogni discussione collegiale e smontando quello che il suo partito stava cercando di costruire. Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più”, ha scritto su Twitter il ministro. Quello che tutti si aspettano ora è la resa dei conti ra i due. Franceschini ha più che mai le spalle coperte, stavolta. Stanno dalla sua anche personalità che di ex dc hanno ben poco, come Nicola Zingaretti o Andrea Orlando e Piero Fassino. Tutti convinti della necessità di un chiarimento”, attraverso un voto in direzione. Ma su cosa?

Molti scommettono sul fatto che Martina sia pronto a fare da “kamikaze”. Il “reggente” dovrebbe svolgere una relazione con la quale proporrà una linea diversa da quella di Renzi e chiedere un voto su quella. Difficile che ottenga la maggioranza, dal momento che il senatore di Firenze ha sulla carta 117 voti sui 209 membri della Direzione. Al netto di possibili defezioni, la bocciatura della relazione di Martina obbligherebbe però ad anticipare il congresso al massimo per l’autunno, mentre l’ex segretario puntava alle primarie a inizio 2019, giusto qualche mese prima delle Europee. Di sicuro per Renzi, in difficoltà a ricandidarsi così vicino alla sconfitta elettorale e fresco di dimissioni, questa non sarebbe una buona notizia.


“Invito tutti alla calma, ad abbassare i toni. È un dibattito, il nostro, in cui ci sono opinioni note, anche giudizi diversi sui passaggi che sono di fronte al Paese. Giovedì ci confronteremo come si confronta un partito come il nostro, ma adesso, per favore, proviamo ad abbassare i toni”, ha provato a dire Lorenzo Guerini, ex braccio destro del Rottamatore, tornato nel ruolo di paciere. Il suo appello, però, rischia di cadere nel vuoto. “Sono stato eletto in un collegio. Ho il dovere, non solo il diritto, di illustrare le mie scelte agli elettori. Rispetto chi nel PD vuole andare a governare con #M5S, ma credo sarebbe un grave errore'", ha rincarato la dose Renzi, ripubblicando ieri sera su Twitter il video dell'intervista fatta ieri con Fabio Fazio. Subito dopo ha garantito che sarà presente pure lui alla direzione.

Intanto su Instagram condivideva un altro video. “Due mesi fa il Partito Democratico chiudeva la sua campagna elettorale con questo solenne impegno preso davanti agli elettori. Rispetto chi la pensa diversamente ma credo sia nostro dovere essere coerenti con quel messaggio. Ecco perché noi non potremo mai votare la fiducia al Governo Di Maio. Non si tratta di una ripicca ma di rispettare la volontà di chi ci ha votato. Di rispettare la democrazia, insomma”, ha scritto a corredo. Una cosa è sicura: nel giorno in cui l’M5s crollava in Friuli e Matteo Salvini rivendicava un incarico di governo per se’, la stragrande maggioranza degli esponenti dichiaravano o twittavano contro i propri compagni di partito.

Paolo Emilio Russodi Paolo Emilio Russo, giornalista parlamentare   

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