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Maggioranza nei guai sui migranti. Il centrosinistra vince a Udine ma finisce in trappola in Parlamento

I paradossi della scena politica italiana. A sorpresa il campo largo del centrosinistra vince a Udine. Ma in Parlamento Verdi-Sinistra e M5s mettono nell’angolo il Pd con due ordini del giorno contro il termovalorizzatore a Roma

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Foto Ansa
Foto Ansa

La maggioranza in tilt al Senato sull’immigrazione tanto che il decreto Cutro andrà in aula tra oggi e domani senza mandato al relatore. Cioè governo e maggioranza, ur avendo numero schiaccianti, non sono riusciti a votare gli emendamenti in Commissione. Non c’è accordo su quasi nessuno del centinaio di emendamenti della maggioranza, soprattutto quelli della Lega, meno che sulla “cancellazione” per qualcuno, “stretta” per altri della protezione speciale. Ieri nelle varie votazioni, prendevano la parola per lo più solo Pd e Sinistra-Verdi con la maratona di Valente, Giorgis (Pd) e De Cristofano (Av-sinistra). “Ce la cantiamo e ce la suoniamo” scherzava ieri sera Valeria Valente nella pausa spuntino prima della notturna. Arrivare in aula con il testo base e il rischio di dover mettere ancora una volta la fiducia, è una sconfitta parlamentare per il governo di Giorgia Meloni. Ad ogi modo ci ha pensato ancora una volta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita di Stato in Polonia, a riportare la questione immigrati nell’unici contesto in cui deve stare: “L’Europa deve superare le vecchie regole dell’asilo”.

Le opposizioni, invece…

 Le opposizioni possono invece gridare vittoria a Udine dove il “campo largo” - della serie “toh chi si rivede” - e l’uomo giusto - il rettore Alberto De Toni hanno strappato al ballottaggio la città al centrodestra e ad un frastornato  Pietro Fontanini, il sindaco uscente, leghista, convinto, soprattutto dopo la stravittoria delle Regionali, di avere la conferma in tasca. Attenzione però: le stesse opposizioni che a Udine hanno trovato un accordo, a Roma si fanno la guerra. E rischiano addirittura di spaccarsi plasticamente in aula per colpa dell’inceneritore di Roma. Ebbene sì, avete capito bene: il termovalorizzatore, sempre lui, l’alibi a suo tempo perfetto per togliere la fiducia  a Draghi. 

Una politica impazzita. Peggio della maionese quando non hai il polso abbastanza fermo per amalgamarla.  Così variabile e instabile, poche idee e quelle poche strumentalizzate o figlie della propaganda, che diventa impossibile tracciare un percorso. A destra quanto a sinistra. Il centro, che pretende un suo spazio, deve riorganizzarsi dopo l’impennata autodistruttiva di Carlo Calenda. Così diventa prematuro e sbagliato parlare di “prima vittoria della segreteria Schlein” o di “effetto Schlein”. Così come non avrebbe senso parlare di “inizio di logoramento” per il governo Meloni. Certamente i fatti hanno tutti un proprio peso che alla fine faranno pendere la bilancia da una parte o dall’altra.   

Udine: un caso o un nuovo inizio?

Difficile dire se Udine con la vittoria del campo largo (Pd, M5s, Terzo Polo e Liste civiche) sia un caso o un nuovo inizio.  E’ un fatto di grande peso che dopo cinque anni di governo del centrodestra, con la guida del sindaco leghista, Udine sia tornata al centrosinistra. L’ex rettore De Toni (era rettore anche Furio Honsell che guidò la città dal 2008 al 2018,) ha ribaltato le previsioni e al ballottaggio ieri ha dato cinque punti percentuali (52,8 contro il 47,2) al sindaco uscente convinto di sbrigare una pura formalità. “Udine ha scelto di cambiare. Non posso dire che ora ci rimboccheremo le maniche per lavorare perché le maniche sono già  rimboccate dal primo giorno di questa lunga campagna elettorale” ha commentato 'a caldo' De Toni. Amarezza per Fontanini: “Al ballottaggio sono mancati i voti del centrodestra. Lascio un comune con i conti super in ordine e molte opere pubbliche già pagate”.

Salvini si sta letteralmente mangiando le mani. Anche perchè stava alzando la testa grazie ai primi segni di logoramento dello strapotere di Fdi e questa sconfitta non ci voleva.

La segreteria del Pd tanto era stata silente rispetto alla sconfitta alle regionali in Friuli due settimane fa (era appena arrivata e non sarebbe stato giusto addebitarle il deludente risultato), quanto ha invece cantato vittoria ieri. Sbagliato la prima. E a maggior ragione la seconda.  Anche Schlein non resiste alla personalizzazione. Delle vittorie, s’intende. “Una vittoria costruita grazie a un bel lavoro di squadra” ha commentato in una nota la segretaria del Pd.

La segretaria, prima della sconfitta alle regionali, aveva parlato del Friuli come di un laboratorio. Se l'esperimento in Regione si è scontrato con la forza di Massimiliano Fedriga e del centrodestra unito, a Udine la coalizione larghissima del centro sinistra (divisa alle regionali) ha invece funzionato. La domanda ora è se una coalizione larghissima porta più voti della sommatoria di quelli dei partiti o, al contrario, se tutto dipende dal nome da mettere in campo e da quanto fatto o non fatto dall'amministrazione.

La doppia insidia

Ma questa sarebbe già una domanda politicamente “normale” e “logica”. Che non trova spazio nelle dinamiche delle politica effimera dei giorni nostri. Ed ecco che nelle prossime ore in Parlamento si prepara una doppia insidia per il  Pd di Elly Schlein. Entrambe hanno a che fare con il termovalorizzatore di Roma. Parliamo della macchina mangiarifiuti - e che  produce energia - che dovrebbe salvare la Capitale dall’annoso e mai risolto problema della spazzatura e della raccolta nella Capitale. Che tra l’altro costa moltissimo ai cittadini che non riescono a dovere un servizio decente. 

A rilanciare il tema è un ordine del giorno, a firma del gruppo di Alleanza Verdi -Sinistra, al decreto che riorganizza la governance del Pnrr e in queste ore alla votazione finale alla Camera. L’ordine del giorno chiede di  impegnare il governo “a revocare i poteri commissariali e sospendere le procedure autorizzative  e di gara” del costruendo termovalorizzatore. L’ordine del giorno ha potere di indirizzo e non decisionale. Ma è chiaramente un’azione di disturbo da parte di Verdi e Sinistra rispetto al Pd che a Roma ha appoggiato senza se e senza ma il sindaco Gualtieri che poco dopo il suo arrivo ruppe gli indugi e optò per la soluzione termovalorizzatore. Rompendo così con i 5 Stelle.

La seconda insidia porta la firma del Movimento 5 Stelle, anche loro tutti insieme appassionatamente nel campo largo di Udine ma l’uno contro l’altro in Parlamento. Il Movimento 5 Stelle ha intenzione infatti di agganciare al medesimo provvedimento sul  Pnrr un altro ordine del giorno che impegna il governo “ a fermare l’iter dell’impianto e a togliere i poteri da commissario straordinario attribuiti a Gualtieri.

Per il Pd nessuna exit strategy

Entrambi gli ordini del giorno saranno votati subito dopo la fiducia, tra oggi e domani. E’ evidente che entrambe queste votazioni costringeranno i deputati del Pd e la loro segretaria a prendere una posizione. Non si può essere stanchi, nè andare in ferie,  meno che mai a fare comizi in qualche occasione pubblica. Non è un mistero che nell’idea di Pd di Elly Schlein ci sia spazio per chi giudica il termovalorizzatore come un pericolo per la salute pubblica. Esattamente quello che pensano Verdi e 5 Stelle. Ma è altresì noto che il Pd di Letta ha sostenuto in ogni modo la scelta di Gualtieri. Ancora una volta, l’astensione non sarebbe una scelta ma una fuga. Cosa faranno i deputati Pd? Non si sa. Se si spaccassero o non votassero, sarebbe un colpo che potrebbe far perdere consensi al partito di Elly Schlein, portando alla luce un dissidio interno che c’è, esiste sul termovalorizzatore e su alti temi e che viene finita tenuto sotto la cenere. Di sicuro Movimento 5 Stelle, Av-Sinistra voteranno i propri ordini del giorno. Il Terzo Polo (i gruppi parlamentare sopravvivono ai leader) voterà decisamente no ad entrambi. “Non c’è opera più urgente per Roma del Termovalorizzatore. E non c’è opera più green. Sostenerne la realizzazione senza se e senza ma è un dovere civico". Il cerino potrebbe quindi restare nelle mani dei dem, proprio il partito del sindaco di Roma, che dovranno decidere da che parte schierarsi. E stavolta senza la possibilità di una exit strategy.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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