[Il retroscena] M5s e Lega litigano su tutto: dalle accise alla Rai è scontro perenne nel governo
Non solo porti e immigrazione, sul decreto dignità gli uomini di Salvini e Di Maio non riescono a trovare l’accordo nemmeno sui dettagli. I pentastellati fanno dichiarare “inammissibili” alcune proposte di modifica concordate con gli alleati e firmate addirittura da membri del governo. Il risultato è che la discussione in Aula slitta ancora e i senatori dovranno lavorare fino quasi a Ferragosto. Intanto, sotto la cenere cova lo scontro sulla legittima difesa

I leghisti hanno tentato di manomettere il decreto Di Maio depotenziando l’aumento degli oneri per i rinnovi dei contratti a tempo determinato ed esentando alcune categorie come colf, badanti e babysitter? I Cinquestelle allora consumano a stretto giro la loro vendetta nei confronti del partito di Salvini dichiarando addirittura inammissibili due emendamenti ai quali i leghisti tenevano molto. La storia della (ri-)scrittura del “Decreto dignità”, formulato da Luigi Di Maio, rivisto poi quattro volte, e oggi passato finalmente alle Commissioni Bilancio e Lavoro della Camera dei deputati è quella di uno scontro continuo tra due forze politiche alleate che però sembrano unite soltanto dall'obiettivo di chiudere il prima possibile e di mandare il Parlamento in vacanza con almeno un provvedimento approvato.
Il tormentone del Dl dignità
Gli ultimi fuochi si sono visti proprio lunedì sera e ieri, martedì, quando si è trattato di decidere quali modifiche accettare e quali no tra quelle proposte al testo redatto dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, il suo primo atto significativo. Era stata la Lega, con Matteo Salvini, a iniziare le danze con il tormentone che “il provvedimento era da migliorare”. I leghisti si erano spaventati per le reazioni degli imprenditori, piccoli e grandi, loro elettori, che vedevano come fumo negli occhi alcuni aggravi sia fiscali che burocratici introdotti dalle misure del “Dl dignità”. Spaventati dalla reazione della loro base, avevano concordato un pacchetto di emendamenti coi Cinquestelle per attenuarne la portata. I grillini hanno prima abbozzato, ma poi, a mente fredda, si sono vendicati. I due presidenti delle Commissioni avevano avuto il mandato di falcidiare le 890 proposte di modifica presentate in modo da velocizzare i tempi della discussione e riuscire a far approvare il testo alla Camera e al Senato entro venerdì 10 agosto. Col favore della notte, nel lungo elenco dei 180 emendamenti giudicati “inammissibili” sono spuntate misteriosamente due proposte che per il Carroccio erano decisive. Una era stata sottoscritta addirittura da un membro del governo, il sottosegretario al Mef, Massimo Bitonci. La proposta leghista era una sfida alla linea “anti casta” del sottosegretario all’Editoria Vito Crimi e puntava a stanziare risorse in favore delle tv locali, un canale di comunicazione (e di propaganda) molto apprezzato e utilizzato dai leghisti. Secondo i calcoli dei tecnici, avrebbe garantito nientemeno che cinquemila posti di lavoro. “Inammissibile”, recita il bollettino.
Il fallo di reazione grillino
Che non si tratti di un semplice passaggio tecnico, ma di un fallo di reazione grillino, lo dimostra la decisione di giudicare inammissibile anche un altro testo, che non sarà dunque nemmeno messo ai voti, presentato ancora da un deputato del Carroccio, Alberto Gusmeroli. La proposta leghista puntava a cancellare la stretta sulle sigarette elettroniche permettendo la vendita online di liquidi con o senza nicotina e dimezzando l’accisa dal 50 al 25%. Non ne parla proprio: “Inammissibile per estraneità della materia”. Pare che il doppio “no” non sia passato inosservato dalle parti del Viminale, dove sono molto preoccupati di non lasciare troppo spazio ai Cinquestelle. Il ritrovato protagonismo dell’altro vicepremier sul decreto che porta la sua firma e il colpo di mano di Roberto Fico sui vitalizi hanno immediatamente provocato il controsorpasso nei sondaggi del Movimento sulla Lega, anche perché, contemporaneamente, proprio con quel testo il partito di Salvini ha pagato un prezzo pesante presso il suo elettorato.
Nervi tesi
Ecco perché, al di là delle dichiarazioni di facciata, i rapporti tra Cinquestelle e Lega restano tesi e anche decisioni in apparenza di importanza secondaria - come quelle prese nelle Commissioni - stanno creando difficoltà al percorso della maggioranza. Da giorni, del resto, il governo giallo-verde dà l’impressione di essere in disaccordo su tutto. E’ passata meno di una settimana da quando Giuseppe Conte, su suggerimento di Di Maio, ha convocato un vertice a Palazzo Chigi per le nomine al quale Salvini ha platealmente dato forfait, negando addirittura di essere a conoscenza dell’incontro. Tentando così, inutilmente di sottrarsi all’effetto di immagine di un vertice sulle poltrone all’insegna del vecchio “manuale Cencelli”. Poi tutti insieme si sono visti però per opporsi alla proposta del loro collega ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per la Cassa depositi e prestiti.
Lo scontro sulla legittima difesa
Un altro scontro che cova sotto la cenere è quello sulla legittima difesa. Il ministro dell’Interno deve portare a casa la legge a tutti i costi, avendone fatto un cavallo di battaglia, insieme con le altre forze del centrodestra, fino dalla campagna elettorale. Anche per questo, viene continuamente punzecchiato da Forza Italia e da Fratelli d’Italia perché si sbrighi, ma il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si oppone. Una mediazione - a tempo - è stata raggiunta in commissione, dove i pentastellati hanno avuto buon gioco nel chiedere di prendere tempo con la scusa di “audire” giuristi e professori e di poter svolgere una ricerca sulle normative vigenti.
Porti chiusi o aperti
Un altro contrasto venuto alla luce nelle scorse settimane tra Lega e Cinquestelle è stato quello sulla chiusura dei porti, che ha visto protagonisti Matteo Salvini e Danilo Toninelli, con il ministro pentastellato delle Infrastrutture e dei Trasporti, competente in materia di porti, che ha dovuto misurarsi con il protagonismo del titolare dell’Interno. Giusto ieri il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, lo ha però “vendicato” ribadendo che mai i porti italiani saranno chiusi per le navi della Nato o della Ue impegnate nelle missioni umanitarie, come invece aveva detto di voler fare il segretario della Lega.
Il pressing di Mattarella
Quando non litigano tra di loro, a mettere sale sulla coda dell’alleanza ci pensa Sergio Mattarella, che proprio una settimana fa è andato in pressing sul premier perché sbloccasse - scavalcando i suoi due vice - la situazione della nave Diciotti, della Guardia Costiera, che i due leader politici erano d’accordo di non far attraccare in Sicilia. E che, più di recente, ha lamentato che le nomine del Parlamento nel Consiglio Superiore della Magistratura abbiano ignorato del tutto le donne.
La patata bollente Rai
Ieri sera si è registrato un altro duro scontro al vertice dedicato alla nomina dei vertici Rai. L’incontro a Palazzo Chigi, annunciato dal premier, vedeva la partecipazione dei suoi due giovani vice e proprio del titolare della Cassa, azionista della Tv di Stato. “L’incontro è andato bene, ma non abbiamo ancora chiuso”, ha ammesso Di Maio uscendo di lì. Ancora una volta al centro dello scontro ci sono il suo partito e il Carroccio. I pentastellati “portano” come amministratore delegato l’ex direttore di La 7, Fabrizio Salini, mentre i padani propongono per la presidenza di viale Mazzini Giovanna Bianchi Clerici, già parlamentare e poi membro del Cda Rai. Tria, ancora una volta, si sarebbe trovato in mezzo ai due. Al tavolo, oltretutto, si è discusso l’intero pacchetto-Viale Mazzini, pure delle direzioni più delicate.
Ferie corte per i parlamentari?
Il risultato di queste tensioni continue è che il lavoro del governo va a rilento perché ogni singola decisione deve essere soppesata sulla base delle rispettive convenienze politiche dei due partiti, condivisa, spesso modificata. Il caso più clamoroso resta proprio il Decreto dignità, quello che si presentava come il principale provvedimento discusso dall’insediamento del governo, dopo quasi due mesi di surplace. L’esame dell’Aula della Camera è stato rinviato alla prossima settimana, quando Montecitorio sarà impegnato in un vero e proprio tour de force con tanto di sedute notturne. I deputati hanno salvato forse il weekend, ma mercoledì e giovedì prossimo dovranno tirare l’alba nei pressi dell’Aula. Può andare persino peggio però ai Senatori, che il governo non vuole mandare in vacanza prima di avere approvato almeno questa legge. Roberto Calderoli ieri sera, a fine seduta, di fronte allo sguardo incredulo degli eletti, ha annunciato che dovranno continuare a votare fino a venerdì 10 agosto: l’agenzia di viaggi del Senato ha ricevuto una marea di disdette.