[Il retroscena] Il primo a “tradire” il contratto Lega - Cinque Stelle è Tria: le risorse diminuiscono anziché aumentare

Il ministro dell’Economia durante l’illustrazione delle sue linee guida al Parlamento svela i piani per finanziare la controriforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza: “Congeleremo tutta la spesa pubblica per tre anni”. Il blocco riguarda anche la spesa per il Servizio Sanitario, che è in costante aumento, e che dovrà dunque essere tagliata. Il Patto di governo firmato da Di Maio e Salvini prometteva però l’esatto contrario: “Dobbiamo recuperare integralmente le risorse già tagliate e togliere i ticket”. Rischia di essere un autogol: gli elettori di M5s e Lega sono i più scontenti della sanità italiana

Giovanni Tria
Giovanni Tria

 

Si era capito subito dopo il giuramento che il ruolo del guastafeste del governo di M5s e Lega sarebbe toccato a Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, tecnico, aveva subito gelato gli entusiasmi dei (più) giovani colleghi Matteo Salvini e Luigi Di Maio pronti a fare deficit pur di portare a casa subito flat tax, abolizione della Fornero e reddito di cittadinanza: “Non aumenteremo il deficit”. Chi tiene la cassa, si sa, è una specie di contro-premier, che ha diritto di veto su quasi tutto. A Tria oggi tocca un altro compito che gli sarà decisamente ingrato: sarà il professore che era stato amico di Renato Brunetta il primo a violare il Contratto per il governo del cambiamento. 

Il famoso accordo stipulato tra i due partiti che si erano sfidati alle elezioni, definito da tutti (ancora ieri da Giulia Sarti) “dominus” dell’esecutivo sarà stracciato almeno su un punto, quello che riguarda la sanità. Due giorni fa il titolare del ministero che è stato di Giulio Tremonti e poi Pier Carlo Padoan si è presentato davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato per presentare il proprio manifesto di politica economica per i prossimi anni, le cosiddette “linee guida”. 

Tria, che di mestiere era un docente di Economia all’Università La Sapienza, è stato tutt’altro che esplosivo, ma ha fatto tutto quanto in suo potere per rassicurare le istituzioni europee rispetto al fatto che l’Italia non sforerà i parametri e non farà più deficit, nonostante M5s e Lega avessero promesso di farlo in campagna elettorale e nonostante il contratto di governo preveda misure molto onerose per le finanze pubbliche come la controriforma delle pensioni e la famosa misura universale di contrasto alla povertà, il reddito di cittadinanza.

 Come fare? “Intendiamo bloccare del tutto la spesa corrente, dando fiato a quella per gli investimenti fino ad oggi penalizzata nelle politiche di bilancio”, ha spiegato il ministro, come emerge testualmente dai resoconti. Per recuperare risorse i tecnici di via XX settembre intendono congelare la spesa pubblica, evitando che aumenti in linea con l’inflazione. 

Congelare  è sinonimo di tagliare: l’inflazione corrode anno dopo anno il valore del denaro e un euro di oggi tra un anno consentirà di comprare prodotti per soli 96 centesimi. Tutti sanno che il proprio stipendio non mantiene il medesimo potere di acquisto anno dopo anno. Il governo stima di riuscire a recuperare 33 miliardi di euro in tre anni.

Sembra una cosa astrusa, ma non lo è affatto: si traduce, per esempio, nel blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici e in quello dei pensionamenti. Solo nel 2018 lo Stato dovrà spendere 171 miliardi di euro per le buste paga dei suoi collaboratori. Il governo intende fermare anche la dinamica dei costi per tutte le pubbliche amministrazioni: chi ha speso un euro l’anno scorso non potrà spendere nemmeno un centesimo in più nei prossimi. 

Della “spesa pubblica corrente” della pubblica amministrazione che viene congelata fa ovviamente parte anche la spesa per la sanità. Cosa diceva sul tema il contratto di governo? L’esatto contrario. “Recuperare integralmente le risorse economiche sottratte con le diverse misure di finanza pubblica”, si può leggere testualmente. Per “recuperare integralmente” le risorse già tagliare e “rifinanziare il fondo sanitario nazionale” erano previste anche delle specie di coperture: lotta agli sprechi e alla inefficienza, revisione della governance farmaceutica, centralizzazione degli acquisti, informatizzazione e digitalizzazione del Ssn. 

Congelare la spesa sanitaria è una operazione ancora più strong rispetto al congelamento di altri tipi di spese o delle stesse buste paga dei dipendenti pubblici.  La spesa sanitaria ha infatti una crescita fisiologica: l’invecchiamento della popolazione, l’allungamento (per fortuna!) dell’aspettativa di vita media e l’accreditamento da parte del Sistema sanitario di farmaci sempre più sofisticati e dunque  costosi comportano un suo aumento sistematico e ineludibile. 

Lo sa bene l’attuale ministro della Salute, Giulia Grillo, che da capogruppo pentastellata in commissione Affari Costituzionali, tenne un durissimo intervento in Aula contro il Def scritto da Matteo Renzi che prevedeva alcuni tagli: “Nuovi tagli sono inaccettabili. Il Sistema sanitario è tutto a rischio: “Già oggi, di fatto, lo Stato non garantisce i livelli essenziali di assistenza ovunque, figuriamoci come potrà farlo ora con 2,6 mld di risorse in meno”. Oggi la ministra sembra destinata a sottoscrivere altri tagli, come se il suo fosse un governo qualunque, come hanno fatto prima il centrodestra e poi il centrosinistra.  

Torniamo al contratto. Bisogna “finanziare la sanità prevalentemente con il sistema fiscale e ridurre al minimo la compartecipazione dei singoli cittadini (ticket)”. M5S e Lega avevano promesso di abbassare e forse addirittura togliere del tutto i ticket, riportando il sistema alle origini, quando era totalmente e sistematicamente gratuito per tutto. Per farlo, però, evidentemente non ci sono le risorse.  

Dove sta, allora, il cambiamento? Questo “tradimento” del programma sul tema della sanità potrebbe costare molto caro ai due contraenti del patto per il governo. A dimostrarlo i dati raccolti dal Censis e diffusi nel recentissimo Welfare Day 2018. Gli studiosi hanno interpellato gli italiani, rilevato che sono sempre più “rancorosi” verso il Servizio sanitario e che, tra tutti, quelli più arrabbiati sono gli elettori del Movimento 5 Stelle (41,1%) e della Lega (39,2%). Quello stesso “rancore” incide meno sugli elettori dei partiti che oggi sono all’opposizione, quelli di Forza Italia (32,9%) e quelli del Pd (30%). L’81% degli elettori ha valutato anche lo stato di salute del sistema sanitario quando, pochi mesi fa, è andato a votare. 

Comunque vada, poteva sempre andare peggio. Chissà come avrebbero reagito gli elettori se fosse partito veramente il governo di Carlo Cottarelli. Mister Spending Review, l’unico ad avere avuto un incarico pieno prima del presidente del consiglio in carica, sostiene che siano possibili tagli di ben altra entità al sistema sanitario pubblico. L’economista nel suo testo datato 2015 scrisse che “nella sanità sono possibili risparmi almeno tra i tre e i cinque miliardi di euro senza stravolgere il sistema”.