[Il ritratto] Da Bisaglia e Forlani fino a Berlusconi. Le mille giravolte di Casini, finito per caso nel Pd e pronto ad un mezzogiorno di fuoco con Bersani
Dicono che Pierfredi è un uomo che ama scegliere. E le scelte si pagano. Prima, non torna con Berlusconi. Poi spinge l’Udc ad appoggiare entusiasta Mario Monti. Nel 2013 si candida addirittura con lui. Finiti i tempi, 2001 e dintorni, in cui diceva che «noi al contrario della sinistra dobbiamo vincere le elezioni. La sinistra le vince a tavolino con i ribaltoni o con l’intervento del potere giudiziario. La vera anomalia non è Berlusconi, ma che Forlani sia ai serivizi sociali e D’Alema a Palazzo Chigi. Rispetto a questo la proprietà di Mediaset è un piccolo e trascurabile dettaglio». Dopo invece tuona: «La verità è che Berlusconi mira solo a far soldi. Non gli interessa l’ideologia. Se n’è accorto prima Craxi. Ora tocca a noi». I casi della vita ormai lo hanno trascinato dall’altra parte, nel centrosinistra
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Pierferdinando Casini in politica è un po’ come in amore. Qualche volta cambia. Il suo curriculum è un lungo peregrinare ai bordi del potere, ogni tanto inseguendolo, ma pure lasciandolo, o venendo lasciato, non è che si capisce bene. Così, il Pierferdi che finisce in Emilia capolista contro Bersani come alleato del Pd nello scontro all’Ok Corral fra Renzi e D’Alema, fa lo stesso effetto del cattolicissimo ex democristiano, ormai più che sessantenne, paparazzato sullo yacht dell’amico petroliere Ugo Brachetti Peretti mentre si abbandona a tenere effusioni con una giovane colombiana che secondo quei pettegoli di Chi ricorda tanto Mara Carfagna. Il tempo passa, e ne ha di storie da raccontare la vita fortunata di Pierferdinando, figlio primogenito di Tommaso, insegnante di lettere e dirigente locale dc, e Mirella Vai, bibliotecaria.
Lì dentro, ci sta tutto questo Paese, che non bada tanto alle idee, ma agli interessi delle fazioni e all’incoerenza delle passioni, a quel turbinar di cuori che rende credibile l’inverosimile, cioé che uno creda veramente a quel che dice. Da noi non funziona così. Molte volte si parla per divertimento, a seconda del tempo che fa. E’ difficile da spiegare, ma noi riusciamo a capirlo benissimo. Perché siamo tutti così.
Così, se il 27 dicembre Casini in un’intervista al Corriere assicurava che non aveva deciso se presentarsi alle elezioni o no, lasciando intendere che era più no che sì, non dobbiamo stupirci se il giorno dopo aveva già fondato una lista per appoggiare Renzi. Il fatto è che poco prima, a settembre, era appena stato nominato presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, un incarico che aveva preso molto sul serio e che gli toglieva tempo per candidature e rotture varie: «Guiderò la commissione senza timidezza, per indagare le responsabilità personali o istituzionali». Anche se - guarda caso - il 5 aprile aveva definito quella stessa commissione «un impasto di demagogia e pressapochismo che al di là delle migliori intenzioni non produrrà nulla di buono per le istituzioni», arrivando a sentenziare: «lasciamo le inchieste alla magistratura senza ingerenze del Parlamento». Difatti.
La verità è che Casini va capito. Era democristiano autentico, formatosi perdipiù nella corrente dorotea guidata da Antonio Bisaglia, cioé la dc della dc, e la democrazia cristiana era così. Ti lasciava fare quello che volevi, tanto poi c’è il perdono, e ti diceva quello che volevi sentirti dire. Sta di fatto che a 25 anni Casini è già consigliere comunale a Bologna, e 3 anni dopo, nel 1983, viene eletto alla Camera con 34mila voti, che è un grande successo, badate bene. Fa carriera e diventa uno dei più stretti collaboratori di Arnoldo Forlani. Ma la sua vera storia comincia con la seconda Repubblica. Fino a quel momento, lui è un bravo ragazzo democristiano, sposato con Roberta Lubich, con la quale mette al mondo due figlie, Benedetta e Maria Carolina. Ma sta per cambiare tutto nella sua vita. In politica, assieme a Clemente Mastella, altro leader dalle idee molto chiare e lineari, prende posizione contro la maggioranza del partito, proponendo un’alleanza con Lega, Msi e FI. Poi fa che uscire da quella dc sempre più in crisi, travolta da tangentopoli e scossa dalle indagini per mafia su Andreotti. Fonda il Centro Cristiano Democratico e appoggia il primo governo Berlusconi. E con lui passa all’opposizione dopo il voto del ‘96.
Mentre Mastella comincia a insegnargli qualcosa e sbarca armi e bagagli nel centrosinistra, lui aspetta il suo turno assieme a Silvio. Nel 2001 stravincono e viene eletto presidente della Camera. Nel frattempo è cambiata anche la sua vita personale. Nel ‘98 s’è separato, e adesso frequenta Azzurra Caltagirone, figlia di Francesco Gaetano, ricco e potente costruttore edile, padrone di giornali e altre piccolezze. Grande storia d’amore, of course. Può darsi che gli abbia montato un po’ la testa, va a capire. Nel 2006, assieme a Fini ipotizza una designazione alternativa a Berlusconi. Fini, abbiamo visto che fine ha fatto. Ma lui è democristiano. Certe cose, le dice solo dopo: «Berlusconi tratta gli alleati come un padrone del 700 trattava gli schiavi». Fini, invece, le dice prima. Però, nel 2008 rompe definitivamente con la Casa della Libertà. Il giudizio di Bossi è come sempre approfondito e forbito, anche se poco lusinghiero: «Casini è uno stronzo. E’ quel che rimane dei democristiani, di quei furfanti e farabutti che hanno tradito il Nord». Berlusconi invece dice che per lui è come un figlio e spera che ritorni. Non sottovalutate Casini. S’è sposato con Azzurra, 27 ottobre 2007, nel palazzo comunale di Siena, sala degli affreschi del Buon Governo, 120 invitati e come regalo di nozze una donazione benefica al Policlinico Umberto I. E’ un uomo potente, un politico in ascesa, con le spalle coperte. E l’Udc sta bene, grazie alle elargizioni di Caltagirone, uno degli uomini più ricchi d’Italia.
Solo che dicono di Casini che lui è un uomo che ama scegliere. E le scelte si pagano. Vabbé che scegliere è molto poco democristiano. Ma ormai la dc è sepolta. E Casini sceglie. Prima, non torna con Berlusconi. Poi spinge l’Udc ad appoggiare entusiasta Mario Monti. Nel 2013 si candida addirittura con lui. Finiti i tempi, 2001 e dintorni, in cui diceva che «noi al contrario della sinistra dobbiamo vincere le elezioni. La sinistra le vince a tavolino con i ribaltoni o con l’intervento del potere giudiziario. La vera anomalia non è Berlusconi, ma che Forlani sia ai serivizi sociali e D’Alema a Palazzo Chigi. Rispetto a questo la proprietà di Mediaset è un piccolo e trascurabile dettaglio». Adesso invece tuona: «La verità è che Berlusconi mira solo a far soldi. Non gli interessa l’ideologia. Se n’è accorto prima Craxi. Ora tocca a noi».
I casi della vita ormai lo stanno trascinando dall’altra parte. Il potente Casini finisce nel gossip più invadente quando Vittorio Feltri avanza il sospetto che lui abbia ingravidato la colf rumena. Che fosse uno scherzo oppure no, la crisi comincia da lì. Nel febbraio 2013, mentre l’Udc precipita nei voti all’1,78 per cento e nell’indigenza, con le casse sempre più vuote, i maligni fanno notare come pure Azzurra non sia andato a votarlo, avendo preferito delle rilassanti vacanze alle Maldive. La separazione è lì alle porte, 2015. E l’anno dopo è già divorzio.
Il bel ragazzo, prediletto da tutti, è quasi sbattuto fuori. Conterà anche l’ideologia, come ha rimproverato a Berlusconi, ma una bella posizione ha la sua importanza. Così Pierferdinando è tornato nella mischia. Sulle spalle di Renzi ha qualcosa in comune da rimpiangere. Stanno cadendo le stelle. Bei tempi, quando ci eravamo illusi. I giovin attori in Italia non sono mai andati da nessuna parte. Qui contano i vecchi lupi dalla pelle dura, come D’Alema, che se appena lo tocchi salti in aria. Al confronto, Casini è solo un pivello. Doveva imparare da lui: non si gioca col potere. Quando lo si prende lo si tiene stretto, a qualsiasi prezzo. E basta.