La “rappresaglia” di Giorgia, brutto segno per Fdi, per il centrodestra e anche per il governo Draghi
Ieri mattina l’annuncio dell’acquisto del senatore Malan da Forza Italia. E’ la risposta per “lo scippo” del posto nel cda Rai. Meloni lancia una doppia sfida, a tutta la coalizione. Draghi disinnesca Conte sulla giustizia ma si ritrova il centrodestra in subbuglio

Il centrosinistra alle prese con il ritorno in campo dell’avvocato del popolo e il riposizionamento dei 5 Stelle. Il centrodestra deve fare i conti con le “rappresaglie” di Giorgia Meloni. Per l’efficacia della navigazione del governo Draghi, può darsi che la seconda sia più destabilizzante del primo. Infatti se Conte ieri ha tutto sommato tenuto bassi i toni del suo “ritorno” a palazzo Chigi - oggetto di numerose vignette satiriche, magistrale Giannelli con il bacio della poltrona da premier - e derubricato il muro dei 5 Stelle sulla giustizia a “piccole modifiche” alla riforma Cartabia “per evitare sacche di impunità”, la scippo di Meloni di un senatore a Forza Italia come vendetta per la “perdita” del consigliere nel cda Rai sta agitando molto le acque nel centrodestra. Il rischio è che Lega o Forza Italia siano a loro volta indotti a reagire per evitare che si crei un precedente. Non ci può essere coalizione se passa la regola della rappresaglia. Soprattutto Fratelli d’Italia che già, secondo molti osservatori, “specula consenso” stando all’opposizione in un governo di unità nazionale necessario in un momento difficile per il paese, potrebbe spingere Lega o Forza Italia ad alzare bandiere per rivendicare identità e posizionamento. Insomma, disturbare la navigazione del governo Draghi.
Tutta “colpa” della Rai
Giorgia Meloni ha convocato, domenica pomeriggio per lunedì mattina, una conferenza stampa a Roma nella grande sala al piano strada in via della Scrofa. Una convocazione improvvisa e inattesa ma certamente, è stato il pensiero di tutti, legata a quanto successo mercoledì scorso quando il Parlamento ha rinnovato il cda Rai e sono stati eletti i quattro membri indicati da Pd, M5s (Di Majo, quota Conte, e la cosa è stata vissuta come un’imposizione da deputati e senatori), Simona Agnes in “quota” Forza Italia, Igor De Biasio (Lega) e Francesca Bria per il Pd. Un patto di maggioranza da cui sono rimasti fuori Leu (che poi è andata su Bria) e Italia viva che avrebbe preferito Stefano Menichini. Fratelli d’Italia aveva un suo candidato, l’uscente Giampaolo Rossi, a cui però Lega e Forza Italia hanno preferito Simona Agnes, una donna, giornalista e figlia d’arte. Una tecnica, si potrebbe dire. Non un nome a caso. Il governo, con un’accelerazione anti-stallo (i partiti non decidevano) ha confermato Marinella Soldi alla presidenza e Carlo Fuortes nel ruolo di amministratore delegato. Da allora Fratelli d’Italia ha gridato allo “scippo”, ha denunciato un patto Lega-Forza Italia “contro l’alleato Fratelli d’Italia ma anche l’unico partito di opposizione” e ha promesso guerra senza confini. Rappresaglie, appunto.
Su due fronti: attacco a Forza Italia
Come quella avvenuta ieri in occasione della conferenza stampa. Meloni, sguardo incattivito e puntuto, ha attaccato gli alleati su due fronti. A Forza Italia strappa un pezzo storico del partito, il senatore Lucio Malan, da 25 anni e sei legislature fedele a Silvio Berlusconi e numero due a Palazzo Madama. C’è un di più di cattiveria quando Meloni dice di accogliere Malan “con orgoglio”. E pazienza se Berlusconi fece molto a suo tempo per la giovanissima Giorgia e le seppe dare fiducia nominandola ministra poco più che trentenne. Gratitudine, memoria e riconoscenza non sono, a quanto pare, doti richieste in politica.
“Ci sono cose da chiarire nel centrodestra, nessuno ha lavorato in questi anni come Fratelli d'Italia per l’unità della coalizione. Però servono lealtà e rispetto reciproco” ha rivendicato Meloni sapendo che in questa sfida ci può essere un errore fatale. Non ne fa, ovviamente, una questione di poltrone ma di “tenuta delle istituzioni”: “I membri del cda Rai sono scelti dai partiti e non dal governo. Le forze politiche si devono assumere la responsabilità di una roba senza precedenti. Non è mai accaduto che l'opposizione non fosse rappresentata nel servizio pubblico. Non ne faccio una questione di poltrone, ne faccio una questione di tenuta delle istituzioni”.
Non ”. Il dubbio della leader di Fratelli d'Italia è che “si lavori per farci perdere la pazienza. Noi continuiamo a lavorare per la compattezza del centrodestra. Vorrei, a questo punto, sapere se ci credono anche gli altri”.
Attacco alla coalizione
Regolati i conti con Forza Italia (che ha imposto la sua candidata a Rossi), Meloni ha attaccato sul secondo fronte, quello della coalizione di centrodestra a cui chiede, quasi pretende, “un chiarimento”. Perchè, diversamente, potrebbero anche saltare gli accordi a livello locale per le amministrative. Sembra più un bluff che una vera sfida. Comunque la leader di Fratelli d’Italia avverte: l'accordo in Calabria sulla candidatura di Roberto Occhiuto alla guida della regione e' in forse. “E' frutto di una delle regole che sono saltate (la spartizione territoriale per cui il sud va a Forza Italia, ndr) e quindi va fatta la valutazione su quale sia il candidato più competitivo”. Sull’arrivo di Malan, su cui solo i fedelissimi erano stati informati e i vertici di Forza Italia a cose ormai fatte, Giorgia Meloni ha sottolineato in conferenza stampa che “siamo attrattivi”. Lasciando intendere che ci sarebbe la coda di parlamentari pronti a saltare il fosso. Gente, soprattutto, che sa di non avere chance di essere candidata di nuovo e cerca un posto in lista altrove. Ma che difficilmente lo troverà: chi tradisce una volta, può farlo di nuovo, anzi, lo farà quasi sicuramente. E con un Parlamento ridotto di un terzo, i cambia casacca sono destinati ad avere comunque poche o zero chance.
Senza nascondere l'irritazione, la leader di destra ha comunque rilanciato e insistito sulla necessità di un chiarimento: “Continuo a credere nel centrodestra ma voglio capire se ci credono anche gli altri perchè troppe cose sono accadute che mi fanno temere”. Ma chissà se invece la rappresaglia di Fratelli d’Italia non diventi nel tempo un boomerang. In fondo, tutto questo è solo per una poltrona.
La scelta di Malan
A dir la verità sono sembrate un po’ deboli e confuse le ragioni che hanno spinto Malan a lasciare Forza Italia. In conferenza stampa non è entrato nel dettaglio. Ha parlato di “troppo poca discontinuità tra Cote 2 e Draghi” , di imbarazzo al momento di votare tanto che molte volte si è già astenuto . Ha raccontato di non averne parlato prima con Berlusconi (“Ma ci sentiremo presto”) e di aver comunicata la decisione ad Anna Maria Bernini, sua capogruppo, solo in mattinata. “Non mi sento più di sostenere col mio voto questo governo” ha detto accusando FI di aver tollerato o chiuso gli occhi davanti a troppe cose una volta entrato in maggioranza, a sostegno del governo Draghi “troppo simile al precedente”. Da qui i voti in dissenso o i non voti espressi di recente. Ma è sull'approccio del premier Draghi rispetto alle osservazioni delle chiese (cattolica e non solo) sul disegno di legge Zan che è maturato lo strappo. “Il governo se n’è tenuto troppo fuori - ha denunciato - mentre le Chiese hanno diritto ad avere un'interlocuzione e il governo deve dare una risposta”. Di tutto questo, ovviamente, Malan non aveva fatto cenno al suo gruppo.
La non risposta degli alleati
Nel "centrodestra di governo” la consegna è ignorare il più possibile la mossa di Meloni e la scelta di Malan. Questo al netto dei rapporti personali: la capogruppo di Forza Italia al Senato ha saputo quasi in diretta quello che sta succedendo. E così molti altri nonostante le tante legislature passate insieme. Giallo anche sulla telefonata con Berlusconi: pare che Malan non abbia neppure tentato di mettersi in contatto con Arcore.
Quasi lapidario l'unico commento di Matteo Salvini, in tour a Bologna: “Mi rifiuto di pensare che una poltrona in Rai valga il centrodestra. Il pluralismo nell’informazione Rai sarà garantito con o senza posto in consiglio di amministrazione”. Ufficialmente il partito appare sereno e sembra fare spallucce. Anzi, nei corridoi parlamentari qualche leghista fa intendere che in fondo un distacco concreto della Meloni dal resto del “centrodestra di governo” sarebbe preferibile. In questo modo la rivale sarebbe “distinta e isolata” e la strada sarebbe finalmente libera per portare avanti il progetto della federazione con i forzisti molto caro a Salvini.
Calabria blindata
Anche i vertici di Fi restano in silenzio. A nome dei colleghi rimasti orfani di Malan interviene solo il vicepresidente del gruppo, Massimo Mallegni. In una nota ha espresso “l’amarezza e la meraviglia”, ha ricordato le “responsabilità assegnate al senatore” e soprattutto gli ha rammentato di essere sempre stato “libero di esprimere i propri convincimenti”.
Forza Italia non ha preso bene l’addio e on ha gradito la mossa di Fdi bollata come “rappresaglia post-Rai”. Allo stesso tempo sa bene che se Meloni si sfilasse dall'accordo calabrese, la corsa di Occhiuto non sarebbe a rischio. Sulla carta, nella terra che fu di Jole Santelli, per l'attuale capogruppo di FI alla Camera le chance di vincere sono alte. E il suo nome è forte e condiviso. E quindi, a fine giornata, sorge il dubbio che Meloni possa “aver osato oltre le proprie possibilità”.
Per il governo Draghi quella di Meloni è una rogna in più in un quadro già complesso tra riforma della giustizia, guerra di emendamenti (oggi è il d-day tra riforma giustizia e ddl Zan), decreti da convertire (sei entro agosto) e decreti da approvare (due entro luglio, riforma fiscale e concorrenza). Tutti provvedimenti che devono essere blindati prima dell’inizio del semestre bianco. Di cui tutto questo è solo l’assaggio.